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 2019  novembre 11 Lunedì calendario

Una mostra su Fouquet e Bruegel il Vecchio

Una Madonna dalla pelle di alabastro, che si staglia innaturalmente a contrasto, con una corona di gemme e perle e con il Bambino non meno niveo in grembo, su uno sfondo carico, rosso e blu, di serafini e cherubini - quasi creatura d’un altro mondo, assisa con il suo mistero su un trono tempestato di pietre preziose. E una megera dall’aria allucinata, armata di spada pugnale elmo pettorale e di una minacciosa pentolaccia, che corre verso la bocca dell’inferno tallonata da un codazzo di donne bellicose, con uno scrigno sotto il braccio e onusta di gioielli arraffati, in un cupo paesaggio popolato di demoni e figure fantasmagoriche, illuminato sul fondo da una città in fiamme. Sono la cosiddetta Madonna del latte (per via del turgido seno sinistro scoperto) di Jean Fouquet e Margherita la pazza di Pieter Bruegel il Vecchio. Capolavori enigmatici, realizzati poco oltre la metà del XV secolo, l’uno in Francia l’altro nelle Fiandre, si ritrovano ora insieme a Anversa, fino alla fine del 2020 nel Museo Mayer van der Bergh.
La mostra «Madonna incontra Margherita la pazza» è l’evento culminante della seconda tappa di «Maestri fiamminghi», il progetto triennale partito in Belgio nel 2018 con Rubens e, a ritroso, proseguito quest’anno con Bruegel per chiudersi nel 2020 con van Eyck. Ma è anche l’occasione per scoprire i due grandi collezionisti ottocenteschi che stanno dietro i capolavori esposti, e che con la loro passione contribuirono in modo decisivo alla rivalutazione critica dell’arte fiamminga più antica.
Come scrisse nel catalogo della sua collezione, Florent van Ertborn, borgomastro di Anversa dal 1817 al ’28, si era ripromesso di riscattare «i maestri venuti prima di Rubens» dall’oscurità a cui li aveva condannati la luce univocamente concentrata sui fasti della pittura barocca. Popolarissimi ai loro tempi, riprodotti in innumerevoli copie e incisioni, Bruegel e gli altri «Primitivi» erano ormai negletti. Quando morì, nel 1840, van Ertborn lasciò alla sua città un corpus di oltre cento opere, dieci delle quali, approfittando della temporanea chiusura per ristrutturazione del Museo Reale di Belle arti di Anversa, sono ora esposti nel vicino Mayer van der Bergh. C’è una elegante e pensosa Santa Maria Maddalena di Quentin Massys, una lussureggiante Adorazione dei Magi del Maestro dell’Adorazione di Anversa, un Paesaggio con la fuga in Egitto di Joachim Patinir in cui la Sacra Famiglia è ridotta a un dettaglio minuscolo su uno sfondo-pastiche di incombenti vette alpine mischiate alle colline del Brabante. Ma soprattutto c’è Fouquet, il più importante pittore francese del ’400.
Parte destra di un dittico che nel pannello di sinistra (ora alla Gemäldegalerie di Berlino) presentava la figura del committente e del suo santo protettore, la Madonna del latte è modellata sulle sembianze della bella Agnès Sorel, amante di Carlo VII di Francia, con gli angeli rossi e blu a simboleggiare il fuoco del divino amore e la misericordia. La tavola fu dipinta dopo un soggiorno di Fouquet in Italia, di cui risente gli influssi nell’impostazione triangolare della Madonna e nella sintesi figurativa dell’insieme, geometricamente giocato su tondi e ovali. La pervade tuttavia un che di alieno, una sorta di magica atemporalità che la rese indigesta anche quegli estimatori dei Primitivi a cui van Ertborn si appoggiava e che gliene sconsigliavano l’acquisto. Come lo storico dell’arte Sulpiz Boisserée, che la giudicò «un dipinto orrendo, un ripugnante obbrobrio» e raccomandò al Museo di Belle arti, se proprio si doveva esporlo, di appenderlo nell’angolo più nascosto. Come infatti avvenne, prima di diventare nel ’900 un vanto della collezione.
Non dissimile è la sorte di Margherita la pazza, che dopo due anni di restauro riprende il posto d’onore nella casa-museo fatta costruire in stile neogotico da Henriëtte van der Bergh in memoria del figlio Fritz Mayer - morto a 43 anni nel 1901 in seguito a una caduta da cavallo -per ospitarvi il suo tesoro: 3100 opere d’arte, oltre a 2500 monete e medaglie, mobili e manufatti tessili. Fritz conosceva bene la raccolta di van Ertborn, di cui condivideva i gusti, e assieme alla madre batteva l’Europa alla ricerca di pezzi pregiati. Il suo sogno di possedere una tavola autentica di Bruegel il Vecchio – ardua impresa, visto che oggi ne restano in tutto appena 45 – fu coronato nell’ottobre del 1894, quando a Colonia andò all’asta la collezione Hammer di Stoccolma.
Tra gli altri lotti era presente un dipinto attribuito a Pieter Bruegel figlio, il Giovane, che il direttore del museo di Colonia rifiutò di comprare. Nessuno lo voleva, così Fritz Mayer poté farlo suo per 488 franchi belgi: cifra irrisoria, se si considera che l’anno prima ne aveva sborsati 3000 per una tavola raffigurante La lotta di Carnevale e Quaresima attribuita a Hieronymus Bosch. Si trattava in realtà di una copia cinquecentesca (l’originale sta al Kunsthistorisches di Vienna), ma nondimeno è tra i pezzi più pregiati della collezione, nonché tra i più ammirati della mostra in corso. 
Fritz si applicò con passione allo studio del dipinto e basandosi su una testimonianza dello Schilderboeck di Karel von Mander (1604), una sorta di Vasari fiammingo, poté identificarlo in Margherita la pazza e riassegnarlo al vero autore. La firma e la data emerse durante il recente restauro lo confermano. Come molte opere del maestro (e come la maggior parte delle incisioni esposte fino al 15 febbraio nella Biblioteca Reale di Bruxelles nella mostra «Il mondo di Bruegel in bianco e nero») la tavola pone una sfida ermeneutica. In un denso intreccio di implicazioni simboliche, e in una umoristica congerie di mostriciattoli alla maniera di Bosch, al centro della scena campeggia una strega del folclore fiammingo (Margherita la pazza, in neerlandese Dulle Griet) personificazione dell’avidità, di cui probabilmente vuole suggerire la vanità.
Cinque anni dopo questo capolavoro, Fritz Mayer aggiunse alla collezione un secondo Bruegel il Vecchio, I dodici proverbi, e oggi il museo che porta il suo nome è nella Fiandre l’unico a poter vantare due dipinti del maestro, oltre a sette lavori dei figli Pieter e Jan.