Corriere della Sera, 11 novembre 2019
Il caso della fidanzata di Keanu Reeves
Lui è accompagnato da un’aura di perfezione che ne fa di volta in volta il più sexy, il più sensibile, il più versatile, il più misterioso degli antidivi hollywoodiani. Lei è un’artista visiva che evita l’inutile rumore. Da amici hanno collaborato a un progetto fotografico intitolato «Shadows», Ombre, dove lui prestava corpo e versi poetici, lei manipolava l’immagine per fermare l’elusività della forma. Ora stanno insieme, sono apparsi mano nella mano su un red carpet a Los Angeles ed è cominciato l’inferno. Perché Keanu Reeves resta quello di sempre, mentre Alexandra Grant nei commenti social più compiacenti è diventata «la compagna con solo nove anni in meno, alta, spirituale e coraggiosa» che mostra le rughe e non tinge i capelli (grigi). Senza più nome né storia, un insieme impersonale di definizioni standard e cliché al contrario. Chi ha provato a difenderla ha fatto anche peggio, riducendo la sua eleganza libera dagli schemi a specchio della grandezza di lui: Keanu Reeves, l’uomo che non meritiamo, sta con una che assomiglia alla 74enne Helen Mirren (da regina, Mirren si è detta lusingata). «Troppo buono per questo mondo», titolava a giugno il New Yorker. Per The CutAlexandra era semplicemente Lady Friend, l’Amica.
In tempi di #MeToo, battaglie salariali e femminismo tradotto in nuovo politicamente corretto, il meglio che un sistema vecchio nel midollo riesca a produrre è l’ennesima ode al maschio. Keanu Reeves non è solo l’ex ragazzo fragile che ha combattuto la dislessia e l’assenza di un padre condannato al carcere per spaccio di eroina, l’uomo che perse tragicamente la figlia Ava e l’ex compagna Jennifer Syme (alla quale David Lynch dedicò il film «Mulholland Drive»), il fratello affezionato che oggi sostiene la sorella malata Kim. Non è solo l’anti-DiCaprio umile e schivo, il gentiluomo che si ferma per strada a dare una mano a una sconosciuta in difficoltà e non sfiora il corpo delle fan nei selfie. È anche femminista. Perché resiste al desiderio universale di avere una partner almeno vent’anni più giovane e impegnata più a sorridere che a incidere. Perché neanche si accorse delle avances di Sandra Bullock sul set di «Speed» nel 1994 e ora dopo decenni di «incomprensibile» singletudine rassicura le donne fuori scala, quelle che non si piegano ai codici dello star system. Parità, per tutte c’è speranza: io vi sceglierò. E se riscrivessimo la storia?
Alexandra Grant mescola linguaggi e in un percorso artistico che incrocia Sofocle e Jacques Derrida indaga il confine tra parola scritta, immagine, nuovi media. Nata 46 anni fa in Ohio, è cresciuta tra Stati Uniti, Messico, Europa, Africa e Medio Oriente. Ha studiato in California, esposto a Parigi e New York, dal 2008 sostiene attraverso un progetto filantropico giovani artisti e gruppi non profit. Crede nel potere civile della bellezza e ha denunciato il sessismo nel mondo nell’arte. Non si sa molto della sua vita privata perché è soprattutto il lavoro a parlare per lei, ma da qualche tempo pare che Alex sia sentimentalmente legata a un attore canadese 55enne nato a Beirut, appassionato di moto e musica, che dopo aver recitato in film come «Matrix», «Point Break», «Piccolo Buddha», «Dracula di Bram Stoker», «L’avvocato del diavolo», «Le relazioni pericolose»... è passato a interpretare il sicario John Wick nell’omonima saga. Senza bisogno di arrivare all’opposto annullamento del maschio, basterebbe rivedere le aspettative per tutti. Per le donne, ancora chiamate da una voce che si perde nei secoli a lasciarsi legittimare dall’esterno, a non eccedere ma stare in una forma fissa e innaturale, già decisa e delimitata da altri.
Per gli uomini, costretti dalle stesse tenaci convenzioni a interpretare un ruolo dominante al quale non c’è alternativa, se non il peso della libertà portato in due, nel riconoscimento e nel rispetto per l’irriducibile individualità dell’altro. Uno dei lavori realizzati in passato dalla coppia Grant-Reeves è un’opera poetica, «Ode alla felicità».