Ancora due mesi fa, a Bolzano, dopo l’udienza davanti al giudice Walter Pelino in cui è stata portata la perizia dei Ris sui campioni di urina che le sono valsi otto anni di squalifica per testosterone, lei diceva che non sarebbe mai tornato alle gare. Cosa è cambiato?
«Nell’ordinanza di ottobre il gip cita per la prima volta l’ipotesi della manipolazione delle provette, e dice che le famose email hackerate (lo scambio di messaggi tra il capo dell’antidoping della Iaaf, la Federazione internazionale di atletica, e il laboratorio di Colonia, in cui si parla di complotto ai danni di Schwazer, ndr ) potrebbero essere autentiche. Quell’atto ci permette di fare ricorso al Tribunale federale di Losanna, per chiedere la sospensione della squalifica fino al termine delle indagini».
Quante speranze ci sono?
«Poche. Negli ultimi anni ha accettato 3-4 istanze, tutte le altre le hanno respinte».
Se anche vincesse il ricorso, dovrà sottoporsi ai test antidoping. Se lei è vittima di un complotto, come può fidarsi ancora del sistema?
«Abbiamo trovato una soluzione. Si tratta di un controllo aggiuntivo, da parte nostra, su ogni campione che mi verrà prelevato. La Wada non l’accetterà mai, ma servirà per tutelarmi da eventuali manomissioni. Io comunque sono disponibile a sottopormi a qualsiasi test».
Punta a Tokyo 2020, insomma...
«A forza di prendere legnate, sono diventato realista e cauto. Se accettano il ricorso, ci provo.
Altrimenti vado avanti con la mia vita. Per ora l’unico annuncio da fare è che ho ripreso a marciare, ma non è che faccio l’atleta a tempo pieno. Continuo a lavorare a Racines e mi alleno nel tempo libero».
Il prossimo anno avrà 36 anni. Detta in modo brutale: non è vecchio per gareggiare ad alti livelli?
«Beh, Yohan Diniz ha vinto i mondiali del 2017 quando aveva 39 anni».
Un’eccezione.
«So che l’età non mi aiuta, perché dopo i 35 anni perdi lo 0,5 per cento ogni anno rispetto al rendimento ottimale, ma posso farcela».
Fisicamente come sta?
«In questi tre anni ho continuato ad allenarmi tutte le volte che ho potuto, anche durante la pausa pranzo: in media quattro volte a settimana, quasi sempre correndo e talvolta con la bici, con sessioni brevi di 45 minuti ad alta intensità. Un po’ di tempo fa ho fatto delle prove e il mio tempo sui dieci km oscillava tra 31’40’’ e 33 minuti. Dopo l’ordinanza del gip ho ripreso a marciare. Se poi a febbraio dovessi avere la buona notizia da Losanna, passerò a una preparazione specifica».
Sei mesi basteranno per preparare un’Olimpiade?
«Sì. Non dico che arriverò al massimo delle mie potenzialità, come nel 2016, ma neanche mi serve: mi basta raggiungere il 90 per cento per giocarmela con i migliori. Ho ancora un po’ di margine, perché a livello fisiologico so di avere un vantaggio rispetto agli altri. All’Olimpiade posso fare bene».
Fare bene che vuol dire?
«Vincere una medaglia. Ma, ripeto, è presto per fare questi discorsi. Se il ricorso a Losanna va bene, bene; se va male, non succede niente. In questi tre anni sono stato fortunato: ho trovato una donna super che è diventata mia moglie, ho una figlia e un lavoro che mi piace».
Cosa fa?
«Alleno podisti amatori. Siccome non posso seguire i tesserati, lo faccio a titolo privato con i non tesserati. È un lavoro a tempo pieno: ho 4-5 atleti ogni giorno, sono in giro dalle 8 del mattino fino alle 6 di sera: un’ora e mezzo di allenamento a persona più gli spostamenti. E poi devo fare i programmi per tutti».
Quanti ne segue?
«Finora ho avuto più di 700 richieste di allenamento. Guadagno quello che mi serve per mantenere la mia famiglia. Né io né mia moglie, che ha uno studio di estetica, abbiamo hobby costosi, viviamo in un appartamento a Racines di 70 mq, una vacanza all’anno. Ho una vita tranquilla e mi va bene così».
Zero social network, tra l’altro.
«Facebook, Twitter, Instagram non fanno per me. Tutti si possono registrare e scrivere falsità o atteggiarsi da esperti. Non ho tempo da perdere, mi concentro sul concreto».
Il concreto è un’indagine a Bolzano in cui lei, al momento, è l’unico indagato per frode sportiva.
«La vera medaglia olimpica sarà dimostrare la mia innocenza in quel procedimento penale. È più importante di Tokyo 2020. Ormai questa lotta fa parte di me».
Il gip ha da poco disposto un supplemento di perizia, per verificare le ipotesi alternative alla manipolazione che spieghino quella concentrazione anomala di dna nelle sue provette. Cosa si aspetta?
«L’unica ipotesi possibile è la manipolazione, vedrete».
Nel 2012 è già cascato nell’uso di sostanze dopanti e lo ha confessato. Perché dovrebbe essere diverso questa volta?
«Perché dopo quell’episodio ho chiesto di allenarmi a Sandro Donati, la persona che più di ogni altra ha combattuto il doping. Gli ho dato carta bianca, sono andato a vivere a cento metri da lui a Roma. Ci hanno voluto incastrare, questa è la verità».
Chi?
«Non credo che la Iaaf o la Wada siano responsabili della manipolazione, non erano loro a voler far fuori me e Donati. Di sicuro però non si aspettavano che questa storia andasse così avanti, né che io, Donati e il nostro avvocato Brandstätter fossimo così agguerriti».
Il gip di Bolzano ipotizza un possibile movente del complotto: la sua testimonianza contro due medici della Fidal. La rifarebbe?
«Sì. Mi sono rovinato la vita ma è giusto che chi sbaglia paghi, altrimenti le cose non cambieranno mai. Ho testimoniato contro Fischetto che mi faceva avere lo spray per l’asma, e io non sono asmatico. Aveva un database con valori ematici che possono essere solo doping, è stato condannato in primo grado, eppure lavora ancora alla Iaaf».
Dove trova la forza per la sua battaglia?
«Lo faccio per mia figlia e per mia moglie. Mi metterebbe tristezza se mi vedessero come uno di quelli che si lascia andare, triste e scarico. Ho già perso i miei migliori anni a livello fisico perché mi sono lasciato andare. Non succederà più».
Se una volta arrivato a Tokyo non dovesse vincere, la gente potrebbe pensare che lei era un campione solo grazie al doping.
«Se non dovessi vincere, lo accetterei con un sorriso. Se uno è più bravo tanto di cappello. Questo è lo sport».