la Repubblica, 11 novembre 2019
Due italiani su tre favorevoli allo ius soli
È difficile parlare di immigrati. In Italia – e non solo. Perché il tema suscita inquietudine, diffidenza. Tensione. Tuttavia, questo ri-sentimento è, in larga misura, alimentato dal dibattito politico. Amplificato dai media. L’atteggiamento dei cittadini risulta meno scontato. Meno ostile. Lo suggeriscono i sondaggi, che, sicuramente, spesso sbagliano. Ma servono a dare indicazioni sul clima d’opinione.
Il sondaggio condotto da Demos per Repubblica, infatti, sottolinea un elevato grado di consenso verso lo Ius culturae. Un progetto di “integrazione” che ha ripreso il suo faticoso percorso parlamentare, dopo l’estate. Ma la sindrome dell’invasione continua a pervadere il discorso pubblico. E non coinvolge solo coloro che tentano di sbarcare in Italia. In ogni modo, ad ogni costo. Spesso: la vita. Si estende a tutti gli “stranieri”, soprattutto di origine africana. Il ri-sentimento investe anche i (più) giovani, nati e cresciuti in Italia. Come segnalano alcuni episodi successi negli ultimi giorni. In particolare, il caso della “Tam Tam Basket” di Castel Volturno, raccontato su queste pagine da Vladimiro Polchi, nei giorni scorsi. Quest’anno ha vinto il campionato under 15 regionale, guadagnandosi l’accesso nell’Eccellenza. A livello nazionale. Ma la Federazione e il Tar del Lazio hanno bloccato la promozione. Hanno “bocciato” i giocatori, “promossi” sul campo, perché sono tutti figli di immigrati. Anche se minorenni, tranne uno. Tutti nati in Italia. Ma da genitori d’origine africana. E, quindi, “stranieri”. Certo la legge è la legge. Ma le leggi si possono ri-formare. Tanto più se non contrastano con il senso comune e con l’Opinione Pubblica.
Per questo assume importanza particolare lo Ius culturae. Prevede il riconoscimento della cittadinanza a tutti i ragazzi, figli di genitori stranieri, nati in Italia – o arrivati prima di aver compiuto 12 anni. A differenza dello Ius soli, la condizione necessaria non è il luogo di nascita, ma aver completato un ciclo di studi di 5 anni o seguito percorsi di istruzione e formazione professionale. L’aspetto determinante è, dunque, l’integrazione “culturale”, più del territorio dove si è nati.
Non è facile calcolare quanti sarebbero a beneficiare di questa riforma. Secondo stime attendibili, intorno a 200 mila. Dunque, una componente rilevante, ma non debordante. Anche se può preoccupare, in un Paese in declino demografico. Dove i giovani sono una razza in via d’estinzione. E i pochi che “restano”, appena possono, se ne vanno. Altrove. Magari tornano. Ogni tanto. A rassicurare i genitori. I loro vecchi.
I giovani e i giovanissimi, che hanno genitori stranieri, per questo, costituiscono un investimento sul futuro. Per un Paese che invecchia. D’altra parte, senza i figli di immigrati, sarebbe difficile tenere in piedi il nostro sistema scolastico. Alle elementari, alle medie: i figli di stranieri, in molte aree del Paese, sono la maggioranza. Allora, per attuare “l’integrazione”, è necessario “integrare” l’educazione con la cittadinanza. Come prevede lo Ius culturae.
È una prospettiva condivisa da una larga maggioranza dei cittadini italiani, compresi nel campione rappresentativo intervistato da Demos. Oltre due terzi. Ma 7 su 10 fra i più giovani e gli anziani. È un progetto sostenuto soprattutto a sinistra. Fra gli elettori del Pd e Italia Viva. Ma non solo. Anche presso la base di FI (81%) e del M5S (71%). Molto meno fra gli elettori della Lega (comunque, quasi metà: 46%) e, soprattutto, dei FdI.
Ci sarebbero, dunque, le premesse per approvare la riforma. Ma non è detto che ciò avvenga davvero. Basta pensare alla sorte dello Ius soli. Una riforma che disponeva, a sua volta, di un consenso maggioritario, fra gli elettori. Ma venne ritirato dal Pd, nell’ottobre 2017, prima che fosse discusso alla Camera. Per timore di venire penalizzato alle elezioni politiche (allora) prossime. Senza grande fortuna, come si è visto. Al contrario: pagò doppiamente. Perché apparve un partito in fuga. Dalle proprie responsabilità. Un rischio che si si ripropone anche oggi. Perché la maggioranza dei cittadini si dice d’accordo con lo Ius culturae. Ma se i principali sostenitori del progetto ritirassero, nuovamente, il loro sostegno, allora la “paura del mondo” ri-monterebbe. Insieme alla sfiducia e alla paura nei confronti degli “altri”. Gli stranieri. Che lavorano nelle nostre fabbriche, in posti necessari, ma poco ambiti dagli “italiani”. Mentre le (badanti) “straniere” garantiscono sostegno alle nostre famiglie. Dove gli anziani, anzi, i vecchi, non riescono ad essere “assistiti” da noi. Che siamo sempre più vecchi… Per questo bisogna affrontare la riforma dello Ius culturae senza nascondersi. Il consenso nei confronti del progetto, come si è detto, è largo, ma solo se si chiarisce di che si tratta. La stessa formula latina è una scorciatoia. Rischia di essere controproducente. Come nel caso dello Ius soli.
Meglio essere chiari. Espliciti. Senza finzioni. Spiegare in italiano, non con una sigla latina, di che si tratta. Ius culturae: il riconoscimento dei diritti a coloro che già vivono e hanno studiato da noi. Da molti anni. E che, in larga maggioranza, sono nati in Italia. Meglio affrontarlo. Per “interesse” (anche) nostro, più che per “bontà”.
Altrimenti, restiamocene tra noi. Italiani veri. Noi, sempre più vecchi. Incazzati e rassegnati. Meglio riproporre lo Ius soli.Traducendolo in modo scorretto, ma, forse, più adeguato. Il diritto a essere sempre più…SOLI.