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 2019  novembre 05 Martedì calendario

Biografia di Antonello Falqui


Antonello Falqui, nato a Roma il 6 novembre 1925 (94 anni). Regista televisivo. Considerato uno dei padri fondatori della Rai. Con programmi come Il Musichiere, Studio Uno, Biblioteca di Studio Uno, Canzonissima, Teatro 10, Milleluci (con Mina e Raffaella Carrà insieme), Al paradise, ha fatto la storia dello spettacolo leggero in televisione • «Erano varietà seguiti da 21-22 milioni di italiani» (a Leandro Palestini, la Repubblica, 20/10/2008) • «L’Italia ancora sognava. Una vita migliore, un futuro luminoso, la luna. E tutto sembrava possibile. Soprattutto quello che passava attraverso la televisione. Era la Rai di un solo canale, con la Dc che castigava i costumi, eppure, tra mille resistenze, la voglia d’innovare fece breccia. Ai vertici c’era l’uomo che traghettò l’azienda verso la modernità, Ettore Bernabei, e c’erano due visionari, Antonello Falqui e Guido Sacerdote che portarono dietro la telecamera il grande varietà di Parigi e di Broadway pronto a svezzare un pubblico lieto di affidarsi al teleschermo per crescere» (Michela Tamburrino, La Stampa, 2/2/2017) • «Ai miei tempi l’autore non entrava in studio. Che mettesse becco sulla scaletta, poi, era impensabile. Mi occupavo di tutto. Scene, costumi, testi. Quando guardo la tv di oggi mi incazzo. Gli autori sono patetici. I registi non sanno neanche da dove si cominci. Fanno solo stacchi, per lo più sbagliati» (a Malcom Pagani, Il Fatto Quotidiano, 13/4/2014) • «Odio tutto ciò che è casuale, fortuitamente lasciato agli eventi, fuori dall’orbita del pensiero. Lo spettacolo leggero è seguito da un numero elevato di spettatori: questo deve rendere ancora più preciso il compito del regista. Accanto all’esigenza di accontentare il pubblico nei suoi desideri, ci deve essere anche una volontà di stimolo al buon gusto, a un minimo di senso critico».
Titoli di testa «Dietro tende, libri e velluti, oltre un portone solido come la stretta di mano che concede indifferente al bastone, Antonello Falqui ha smesso di fare i conti con l’età: “Invecchiare disturba, ma avendo iniziato a riflettere sul senso della fine già un quarto di secolo fa, non mi farò sorprendere. Quando lavoravo non lasciavo molto spazio all’esitazione. Allora ero giovane, deciso e con le idee molto chiare. Oggi molto meno. Non mi ricordo i cognomi, i dubbi sono aumentati e i confini tra il bene e il male restano confusissimi”» (Pagani) • «“Lei scrive per il Fatto?” Sì. “Per caso, è comunista?”» (ibidem).
Vita Figlio unico • «“Papà era Enrico Falqui, un critico letterario che scriveva anche per Il Tempo e ha lasciato in eredità il rigore, la precisione”. E sua madre? “Mia madre, Alberta, era una donna di casa e da lei ho imparato l’amore”» (Gigi Marzullo, Il Tempo, 5/1/2011) • La famiglia vive a Roma • «Se si esclude un lampo milanese all’inizio dei ’50, non l’ho mai lasciata. Con i miei abitavo in Via Giulia, di fronte a Ponte Sisto. All’inizio di quei portici vivevano Carlo e Mario Verdone, mio insegnante al Centro Sperimentale di Cinematografia» (Pagani) • Antonello è iscritto alla facoltà di Giurisprudenza, ma lascia gli studi per frequentare lì il corso per regista • «Avevo capito […] che l’immagine cinematografica apriva un campo vastissimo di possibilità espressive» • Nel frattempo, scrive articoli sul cinema per vari giornali, tra cui Sipario, Schermi, la Gazzetta del Popolo, l’Avanti! e Milano sera • Nel 1950, quando lui ha 25 anni, lo scrittore Curzio Malaparte vuole darsi al cinema. Pensa di girare un film, Cristo proibito, e Antonello lascia di nuovo le lezioni per lavorare con lui • «“Aiuto regista di Curzio Malaparte e poi di Anton Giulio Majano, nel primo orrendo film da attore di Mastroianni. Marcello era meraviglioso. Simpatico. Nelle pause ci raccontavamo l’infanzia”. Come arrivò in televisione? “Sandro Pugliese, il direttore dei programmi della Rai di allora, era molto amico di mio padre. Si lamentava: ‘Ho solo verbosa gente di teatro qui. Teorici e parolai. Non c’è nessuno che curi l’immagine’. Non me lo feci ripetere e corsi a Milano per sperimentare. Firmai da regista la prima trasmissione in assoluto della tv di Stato. Si intitolava Arrivi e partenze. L’esordio di Bongiorno. Mike intervistava personaggi celebri in partenza”. Era il gennaio del 1954. […] Che televisione era quella dell’epoca? “Non volevo alfabetizzare il Paese come il maestro Manzi, ma solo intrattenerlo con grazia ed eleganza. Così provai a trasformare la tv e spostai in quel contenitore il teatro di rivista, già declinante all’inizio degli anni ‘50. L’avanspettacolo lo conoscevo bene. Facevo sega a scuola per andare a vedere Rascel al Bernini. Era fantastico. Evadeva dalla classica corrente del comico. Accostava arditamente, osava, rischiava. Poi certo, come tutti i bassi e i brutti, era cattivo”. I bassi e i brutti sono cattivi? “Non è determinismo, è la verità. Prenda Brunetta, non è forse cattivissimo?”» (Pagani) • «La Rai delle origini era molto familiare, ci conoscevamo tutti, il primo Natale l’abbiamo passato insieme» (Nicoletta Orsomando) • «Poi l’anno dopo fu la volta di Ottovolante. Insomma, non me lo chiesi: cominciai e continuai a farlo» (lui) • «Un programma di giochi e brani di varietà, una specie di caccia al tesoro […] Falqui inventa “la pesca della fortuna”, dove i concorrenti sono invitati, con tanto di canna, lenza e amo, a tirar fuori da un contenitore le cose più strane; Enrico Luzi, con un “bando” in tempo reale, invita il pubblico a portare in trasmissione gli animali più curiosi, vivi e, possibilmente, innocui: dopo circa mezz’ora arriva in studio la polizia e l’ingresso nell’auditorium sembra uno zoo» (Aldo Grasso, Storia della televisione italiana, Garzanti, 2000) • Poi lancia Canzonissima, ed è un successo • «Eravate consapevoli di fare la storia della televisione? “Non lo eravamo affatto. Piuttosto sapevamo di mettere in scena spettacoli seguiti da milioni di persone e sentivamo una certa responsabilità, quello sì”» (Giulio Pasqui, Spy, 20/7/2018) • «Il più perfetto paradigma di varietà televisivo “classico”, il più elegante e vivo trapasso del teatro di rivista nel nuovo mezzo. […] Il programma prende subito quota, trovando il giusto equilibrio tra rivista, canzonette e “televisività”, e si pone come il più compiuto punto di riferimento per ogni successivo spettacolo di varietà italiano» (Grasso) • In Giardino d’inverno, per la prima volta nella storia della tv italiana, un uomo riesce ad apparire in due differenti immagini, nello stesso momento, sullo stesso video (le due immagini sono state filmate separatamente e unite ex post) • A inizio anni 60 va negli Stati Uniti e rimane colpito da una pratica americana: «Non c’è più bisogno di scenografie sfarzose, gli artisti si muovono su fondali fatti di grandi spazi bianchi. La telecamera può così far risaltare meglio i corpi delle ballerine, delle star, dei conduttori; si comincia in questo modo a ragionare in termini di linguaggio televisivo. E poi la cosa più moderna, sconvolgente: si vedono in campo gli strumenti con cui si riprende lo spettacolo: telecamere, microfoni, giraffe, luci... Il risultato è Studio Uno, la prima rivista squisitamente televisiva, uno spettacolo che paga una volta per sempre il suo debito con il varietà teatrale» • «Ci si riuniva a lungo con gli autori, parlavamo mesi. Avevamo scelto di chiamarlo come il nostro studio di via Teulada. Era un varietà pieno di idee, durava un’ora e dieci e non sbrodolavamo, avevamo il dono della sintesi» • «Aveva fior d’autori a disposizione, e per ogni serata poteva contare su almeno quattro o cinque attori straordinari, esseri fantasmagorici se misurati con il metro di oggi» (Franca Valeri) • Ha anche quattro obiettivi: un grandangolare, in cui entrava tutto lo studio, un teleobiettivo per i primi piani e altri due per le vie di mezzo. In più, ce n’è un quinto, quasi a terra, montato su un go-kart, che riprende la stella di schiena e il pubblico in studio di fronte: nessuno ha mai visto niente del genere • «Lavoravamo come matti, senza orari. Per non rubare alle prove nessun giorno della settimana, avevo addirittura spostato alla domenica le riunioni di studio della troupe, quelle in cui si decidevano le idee e il piano di lavorazione della puntata successiva. Avevamo giornate di lavoro che cominciavano al mattino e finivano a notte fonda. Allora lo si poteva fare» • «C’era Ettore Bernabei ai vertici della Rai. “Nonostante fosse un democristiano aveva un’anima liberale. Figuriamoci che eravamo abituati al direttore generale Filippo Guala, che poi si fece frate, si figuri che apertura mentale poteva avere”. Invece a lei Bernabei concesse le gambe nude delle Kessler. Rivoluzionario. “Avevano gambe perfette che coprimmo con calzamaglie pesanti anti-scandalo. Le scovai io a Parigi le gemelle, aprivano uno spettacolo al Lido, le strappai di lì e le portai a Roma con diciotto Bluebell. Erano ballerine fantastiche. Sacerdote mi prese per matto, levare un numero al Lido era impensabile e io poi le adoperai solo per il finale, pochissimo”» (Tamburrino)«Le tedesche, quando sono belle, sono imbattibili» (a Leandro Palestini, la Repubblica, 31/1/2008) • «Ellen Kessler: “Bè, Antonello […] era un tipo testardo e severo. A volte litigavamo perché amava fare le ore piccole, facendo prove su prove”. Alice Kessler: “Gli dicevamo: non ce l’hai una casa? Non hai voglia di tornare da tua moglie?!”» • «Ci ha insegnato molto e da noi pretendeva la luna anche quando era nuvolo» (il Quartetto Cetra) • «Se vedeva una lampadina fulminata in fondo allo studio ci faceva ripetere i numeri! Ore e ore così, e noi cantavamo tutto dal vivo» (Raffaella Carrà, a Stefano Mannucci, Il Fatto Quotidiano, 13/12/2018) • Fa anche un provino a Pippo Baudo: «Mi chiese subito: “Lei è siciliano. E voi siciliani non parlate italiano. Come pensa di poter riuscire a presentare?”» (Pippo Baudo) • «Era una televisione bellissima quella, anche esteticamente. […] Con Antonello lavoravi tranquilla. Certo, magari ti faceva fare le cose un po’ di volte e se non era soddisfatto non si accontentava. Sono certa di essere stata tra le sue preferite. Perché? Perché non gli facevo perdere tempo e le prove che facevo andavano quasi sempre bene. La stessa cosa succedeva con Mina, l’altra sua cocca» • «La Carrà era più bassa di Mina di quindici centimetri […], il costumista Corrado Colabucci pensò allora di farle calzare un paio di zatteroni e Mina si impuntò di brutto: “Sono di moda, li voglio anch’io”. […] Falqui però gliene fece comprare due paia: uno più alto, per le prove, uno più basso, per le riprese. Contava sul fatto che Mina, di solito agitatissima prima di entrare in scena, non avrebbe notato la differenza. E infatti non la notò» • «Non ci sentiamo da 25 anni, siamo due timidi e forse non sapremmo neanche cosa dirci. Ma è meglio così. È bellissimo proteggere il ricordo delle persone amate. Riscoprirlo immutato. Mai avuto una discussione con lei. Uno screzio. Si fidava. Si faceva servire» • Poi, i suoi programmi più importanti sono: La Biblioteca di Studio Uno (1964), Giandomenico Fracchia (1975), e Bambole, non c’è una lira! (1977) • Qualcuno dice che i suoi programmi costano troppo, lui lo nega: «No, i varietà sono scomparsi con l’avvento della Fininvest. Per la Rai è cominciata la corsa al ribasso, la colpa è in buona parte di Silvio Berlusconi» • «L’ho conosciuto bene. Nell’83 mi offrì 3 miliardi di lire per fare due varietà l’anno e la supervisione sulle tre reti per l’intrattenimento. Mi sembrava un capofficina, teso a inzeppare di spot gli show. Le interruzioni pubblicitarie avrebbero ucciso il varietà e io non volevo esserne complice. E per questo odio l’Auditel» • «“Per portarmi a Milano mi tenne a colloquio per 3 giorni in un palazzo a due passi dalla Rai. Entravo di nascosto e lo trovavo, preparatissimo, dall’altra parte del tavolo. Aveva studiato programmi, testi e persino inquadrature. Voleva gli spiegassi la tv”.  Che impressione le fece? “Era un fenomeno nell’eloquio e aveva certamente un estro non comune. A parlare non lo fregava nessuno […] Detto questo, non avevo nessuna voglia di finire sotto padroncino perché la Rai ha molti difetti, ma almeno il padroncino non ce l’ha. Ha i Cda emanati dalla politica che sono un male, ma un male minore. […] Berlusconi, incredulo, mi invitò a riflettere: ‘Porti l’assegno in bianco in Rai e veda cosa le dicono’”. Lei lo portò?  “Sissignore. Andai da Emanuele Milano, il direttore di Rai1 e lui sbiancò. Si mise le mani nei capelli. Balbettò: ‘No, aspetta, ora vediamo, adesso risolviamo, ti prometto che cambiamo il contratto.’ In effetti lo migliorarono, senza però sfiorare neanche lontanamente le cifre di Berlusconi. Nella sua tv c’è un paradosso. Nasce a Milano, nella culla della moda, ed è provinciale. Nel ’60 in tv andava [il flautista, ndr] Gazzelloni. Oggi vanno le Veline […] Non si può elevare il nulla a massimo sistema. Il nulla è solo il nulla. È vuoto”» (Pagani) • Nel 1990 dirige la prima edizione di Telethon, con Pippo Baudo e Gianni Minà. È il suo ultimo spettacolo • «In Rai cominciavano a non esserci più i personaggi, le maestranze e i dirigenti del mio periodo. Stava diventando un’azienda di estranei e ho preferito farmi da parte» (Pasqui) • «“Non c’era più la mia Rai. Quella in cui per varcare il profilo del Cavallo si veniva sottoposti a un esame difficilissimo ed era richiesto il sapere. Oggi dominano incompetenza, cooptazioni politiche e raccomandati. Purtroppo si vede. Ed è un peccato. Sa cosa è stata la tv per gli italiani?” Cosa è stata? “Una manna. Un aiuto dal cielo. Li ha resi svelti, gli ha insegnato a leggere e a scrivere, gli ha aperto le teste. Ora gliele sta richiudendo”» (Pagani).
Giudizi «Falqui rappresenta l’espressione più alta del varietà televisivo classico: l’eleganza formale, gli ampi e maestosi movimenti di macchina, la proposta del numero “internazionale”, le scenografie sempre vagamente liberty costituiscono certamente il [suo] marchio di fabbrica» (Grasso) • «Perfezionista maniacale […] lavorava per ore sui testi, sulle luci e anche sulle scenografie. Vedeva le cose in anticipo» • «In Italia avevamo la migliore televisione al mondo, con una Rai capace realmente di essere espressione di professionalità e gusto artigiano che diventavano poi prodotto industriale di altissima qualità» (Renzo Arbore, a Andrea Biondi, Il Sole 24 Ore, 23/6/2015).
Vita privata «Sono contento dal punto di vista professionale, per quanto riguarda la mia vita privata un po’ meno, credo di averla trascurata un po’» (a Marzullo) • «Ha amato molto in vita sua? “Ero un infedele, un convinto libertino, mia moglie ne ha passate di tutti i colori. Noi libertini ci riconoscevamo alla prima occhiata, eravamo quasi una setta, con i De Sica ci capivamo al volo. Il lavoro non mi aiutava a dimostrarmi retto. Si creavano situazioni imbarazzanti. Ai 2.000 metri del rifugio di Passo Pordoi, in una baita che è la metà della stanza in cui conversiamo adesso, io e Letizia Della Rovere, fedifraghi, pensavamo di essere al riparo. Entrammo e ci sorprese Pino Calvi, il maestro di musica: ‘Signori qual buon vento vi porta fino a qui?’”» (Pagani)«Antonello Falqui padre... “Poco sollecito, forse poco presente”. Antonello Falqui marito... “Stessa cosa. Ho avuto due donne molto comprensive nella mia vita in tutti i sensi. La prima è la madre dei miei figli. L’attuale, più giovane di me, sposata dopo la morte della mia prima moglie”» (Marzullo).
La tivù di ora «Falqui ritrova le costellazioni del suo passato solo a tarda notte. Quando “la robaccia che propongono in tv evapora” e alle ore più improbabili, nel silenzio, sugli schermi clandestini dei canali tematici passano buchi neri e asteroidi, meteore, stelle e frammenti di Canzonissima, Studio Uno e Milleluci: “Le trasmettono di nascosto, alle 3 di mattina e li capisco. Era un’altra tv. Un’altra civiltà. Un’altra cultura. Non vogliono avere raffronti”. Pausa: “Altrimenti la gente penserebbe ‘ma si sono rincoglioniti?” […] «Potrebbero ribattere che la sua è una visione filtrata dagli anni. Una visione che confligge con gli ascolti. “E io risponderei che non c’è prova che alla gente piaccia veramente quella robaccia come giurano i santoni di una certa dialettica molto in voga. Dicono: ‘Il pubblico vuole questo’, ma è una bugia. Solo un espediente per scusarsi e giustificarsi. Il pubblico vuole altro. Basta darglielo. Ma il pubblico va anche allevato, quasi educato. Se gli dai l’immondizia si avvilisce. Si abbrutisce”» (Pagani) • Non gli piacciono i talent show • «L’unico in Italia che fa un tipo di spettacolo che si avvicina al mio ideale è Fiorello» • «Cosa manca alla tv di oggi? “La cura. Anni fa prendevi un personaggio e lo curavi nei dettagli, oggi l’eleganza è ignorata. Si parla tanto di cultura, ma la cultura è un modo di fare le cose”» (Fumarola)«Anche i varietà di una volta facevano spavento. Tolto Antonello Falqui, il resto era inguardabile» (Gianni Boncompagni).
Omaggi Nel 2017 la Rai ha celebrato i suoi anni con una fiction: C’era una volta Studio Uno. Antonello è interpretato da Edoardo Pesce: «Le è piaciuto? “Troppo grasso, ero più magro”. Che voto darebbe alla fiction? “Un bel 5”» (Tamburrino).
Curiosità Grande fumatore di Muratti • Non è uno sportivo: «Sono sempre stato pigro» (a Palestini) • «Legge molto, scrive» (Giulio Pasqui, Spy, 20/7/2018) • «Sono ancora oggi molto curioso e se vedo una bella donna certo che mi volto a guardarla» (a Marzullo) • «La televisione morirà mai? “Mai, è impossibile. Gli schermi, in un modo o nell’altro, rimarranno accesi con qualcosa. Anche qualcosa di non bello, eh: la qualità ormai è scadente, ma i televisori non si spegneranno”» (Pasqui) • Ha paura della morte, ma non crede in Dio • «Una consapevole, impressionante somiglianza con Aldo Grasso: “Me l’hanno detto, non hanno torto”» (Pagani) • Nella sua Rai lavoravano Ennio Flaiano e Raffaele La Capria • «Il varietà non è morto: è che non lo sanno fare».