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 2019  novembre 02 Sabato calendario

Periscopio

Tanti «primi passi» non fanno un percorso. Dino Basili. Uffa news.La parola «hashtag» mi fa hagare. Vittorio Sgarbi (Alessandro Gnocchi). Il Giornale.
Bisogna sgrassare il proprio stile come l’osso di un montone. Gabriel Matzneff, Elie et Phaeton. La Table ronde, 1991.
Leonardo è stato un precursore dell’Europa, dobbiamo proseguire la costruzione di questo straordinario edificio di pace con i valori umanisti che ci ha tramandato. Renzo Piano, architetto (Anai Ginori). la Repubblica.
Conte ha dedicato parte del suo discorso di insediamento del suo secondo governo agli asili nido. È un affascinante mostro a due teste. Il suo primo governo ha bocciato cinque volte la mia proposta per gli asili nido gratis. Giorgia Meloni, segretario di Fratelli d’Italia (Claudio Sabelli Fioretti). il venerdì.
Quando morì Stalin, il despota più sanguinario dalla notte dei tempi, il giornale del Pci, l’Unità di venerdì 6 marzo 1953 fece quest’occhiello a tutta pagina: «Gloria eterna all’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e il progresso dell’umanità». Il capo comunista, Palmiro Togliatti, disse sfrontato nell’aula di Montecitorio: «Con il suo nome verrà chiamato un secolo intero». Giancarlo Perna. LaVerità.
Tra i 7.800 dipendenti di Ama, l’azienda per la gestione dei rifiuti di Roma, il tasso di assenze è stabilmente sopra il 14%, ferie escluse. Significa che ogni giorno, nelle strade di Roma, ci sono oltre mille netturbini in meno del previsto. Quelli che lavorano, di solito, hanno però l’aria stanca. Se li osservi attentamente, sembra ti stiano facendo un favore. Tra un cassonetto e l’altro, poi, si fermano al bar. Un caffè, due chiacchiere. Fabrizio Roncone. Corsera.
Il Vaticano viene oggi rappresentato sull’orlo del collasso finanziario, anche se gli asset sono più che solidi. Negli ultimi settant’anni si è spesso parlato delle difficoltà di bilancio del piccolo Stato e, alternativamente, della Santa Sede. Ma non è mai successo niente per un motivo lapalissiano: la legge della Chiesa dice testualmente che «Il Romano Pontefice, in forza del primato di governo, è il supremo amministratore ed economo di tutti i beni ecclesiastici». Ora, presupporre che la Chiesa Cattolica, rectius la Santa Sede, cioè l’insieme degli organismi che aiutano il Sommo Pontefice nella propria missione, rischi il baratro finanziario per 70 milioni di euro è pura follia. Luigi Bisignani. Il Tempo.
Dipendesse da me il Nobel per la Pace lo abolirei o lo ficcherei «su per il bucio del culo» (elegante espressione romagnola) a chi lo dà e a chi lo riceve. Massimo Fini. Il Fatto Quotidiano.
Ho un suggerimento per uscire dalla spossatezza inconcludente dei giovani. Ci vuole un rito iniziatico che interrompa l’adolescenza perenne: a 18 anni servizio civile per 12 mesi, ma a mille chilometri da casa. Bisogna separare i figli da padri e madri. E cacciare dalla scuola i genitori, interessati più alla promozione che alla formazione. Tullio De Mauro nel 1976 calcolò che un ginnasiale conosceva 1.600 vocaboli. Oggi sono 600. Il più volgare, «c...», viene usato per dire tutto. L’Italia è ultima nella comprensione di un testo, certifica l’Ocse. Ma non puoi avere più pensieri di quante parole possiedi, insegnava Martin Heidegger. Umberto Galimberti (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Io e Baget Bozzo discutevamo tantissimo, a volte perfino in modo veemente. Anche su temi decisamente complicati come il divorzio e l’eutanasia. Io ero favorevole a entrambi. Sull’eutanasia la mia posizione è questa: se la vita c’è stata donata è chiaro che è nostra. Solo noi, individualmente, possiamo decidere cosa farne. Mi batterei perché nessuno faccia quella scelta estrema, cercando di convincere che un’altra opzione è possibile. Ma la decisione irrevocabile di farla finita va rispettata. Angela Volpini, mistica di sinistra (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Il posto più strano dove l’ha fatto?«Sono uno che vuole stare comodo. Non sono tra quelli che cavalcano la lavatrice o cercano l’inclinazione giusta del tetto. La pericolosità è già insita nel sesso, se ci mettiamo pure il paracadutismo...». Renato Zero, cantante (Roberto Gobbi). Sette.
Gli ebrei osservanti debbono sempre restare a capo coperto; alcuni si limitano alla kippà; gli ortodossi indossano cappelli di feltro nero; talvolta, di shabbat e nelle feste, lo streimel in pelliccia, qualunque sia la stagione. La maggior parte indossa capelli che, a prima vista, sembrano tutti uguali. Ma nella foggia ci sono, quasi invisibili, delle differenze che finiscono per dare l’identità di chi li indossa: un millimetro in più o in meno nella larghezza della tesa, la forma della cupola, il nastro, una piega nella parte posteriore, una consistenza diversa del feltro. Ci sono almeno cento diversi modelli, ogni gruppo di haredim ha il suo e ogni yeshiva (la scuola talmudica) sceglie il suo stile. il venerdì.
I cavalleggeri diretti verso il fronte della prima guerra mondiale scomparvero dietro una curva della strada, il trotto pesante di fango si confuse col brontolio di un cannone oltre l’orizzonte. Ma dietro ancora, a una breve tratta, li seguiva un cavallo con le staffe ciondolanti sul ventre senza cavaliere. «Zanotti...» mormorò Orfeo «il cavallo del capitano Zanotti». Luigi Santucci, Orfeo in paradiso. Mondadori, 1960.
Dalla linea pezzi di Ambrogio si scorgeva a volte qualcuna di quelle colonne in movimento; lunghe file di puntini neri sulla neve, appena percettibili dalla pianura. A vederli da vicino, gli alpini apparivano più massicci degli altri soldati («i nostri carri armati», li definiva uno slogan nel gusto di allora): camminavano metodici, con un passo che sembrava macinare la strada, i pesanti zaini affardellati sulle spalle e, sopra, orizzontale, il lungo fucile 91. Eugenio Corti, Il cavallo rosso. Ares, 22ma edizione.
Sotto di me nel viale, passavano le automobili, ma sul palazzo di fronte volavano i gabbiani e, in fondo alla strada, si vedeva il mare. Sebastiano Vassalli, La morte di Marx. Einaudi, 2006.
Possedeva un fiuto da bracco per riuscire a scovare del vino, dovunque esso fosse nascosto, e non c’era mascheratura o doppia porta che lo potesse tenere lontano dalla preda. Lui, con il suo occhio da poiana, teneva in osservazione costante i padroni di casa, ne seguiva tutte le mosse sospette e riusciva sempre ad arrivare alla botticella del vino, al bottiglione di acquavite o al salame nascosto nella paglia. Carlo Sgorlon, L’armata dei fiumi perduti – I cosacchi in Friuli. Mondadori, 1985.
Gli ideali sono sempre incompatibili con le ambizioni. Roberto Gervaso.