Libero, 4 novembre 2019
Intervista al paparazzo Max Scarfone
La fotografia immortala senza pietà un particolare momento, e questo – se il momento è unico e inaspettato – diventa uno scoop. Foto di amori, tradimenti e anche di momenti sensazionali e irripetibili restano nella memoria di ognuno di noi e raccontano, attraverso una semplice immagine esclusiva, un attimo della nostra contemporaneità, sia questa politica, culturale o di costume. Ma dietro a ogni fotografia c’è una persona che per lavoro cerca di immortalare un attimo particolare, per regalare ad ognuno di noi un nuovo racconto relativo a qualche personaggio importante. In questo senso, Max Scarfone è un pezzo della storia del nostro costume, e in quasi trent’anni di carriera da paparazzo ha immortalato con i suoi scatti i personaggi più importanti della nostra vita pubblica. Max, come hai iniziato la tua carriera di paparazzo? «Tutto è nato un po’ per caso, anche se il mio desiderio è sempre stato quello di occuparmi di cinema o di televisione. Dopo il diploma artistico feci due anni di Accademia di Belle Arti a Roma, che vennero interrotti dall’improvvisa partenza per il servizio militare, che inevitabilmente bloccò il mio percorso universitario. Dopo l’anno di “naia”, tornai a casa con la convinzione che avrei voluto fare o il cameraman oppure, come detto, qualcosa che si avvicinasse all’artistico. Come la fotografia, da sempre la mia unica e vera passione. Lì capii che gli studi a indirizzo artistico erano veramente stati di grande importanza, ed erano diventati la base del mio futuro professionale». E quindi? «Decisi di frequentare un corso da cameraman e fotografo al Centro Sperimentale Televisivo di Roma, dove conseguii il diploma con il massimo dei voti. Un giorno, poi, mi capitò di leggere nella bacheca del CST un annuncio di lavoro per un programma televisivo su “Italia Uno”, che si chiamava “Papirazzo” ed era condotto da Enrico Papi. Decisi, senza esitare un istante, di salire su quel treno, con una grande voglia di uscire fuori dalla monotonia della periferia romana, fatta di lavori precari e amicizie sbagliate, così lontane dalle mie attitudini. In poco tempo divenni la punta di diamante del programma “Papirazzo”: facevo dieci servizi a puntata ed Enrico Papi, scherzando, mi chiamò “Mister 10”! Continuai così senza fermarmi, con tanta voglia di emergere e, perché no, anche di guadagnare. Quello fu l’inizio. «Sì, e fu grazie a quell’occasione che conobbi e mi vennero a cercare famosi paparazzi. Tra questi Riccardo Redica, che aveva capito le mie potenzialità, fatte da alcune mie caratteristiche come la furbizia, la scaltrezza e l’ingegnosità, oltre che una resistenza alla fatica straordinaria: tutte doti essenziali per essere un vero paparazzo. Mi consigliò di lavorare insieme a lui, facendomi finalmente passare in un altro mondo, quello dei paparazzi. Lì incontrai grandi personaggi come Maurizio Sorge e Andrea Belmonte, che sono ancora oggi miei cari amici e con cui lavoro tutt’ora». Tutto nacque con Enrico Papi, dunque? «È la verità. Lui mi ha sempre detto di avere il merito di aver tolto due braccia alla malavita...». La tua vita qualche anno fa è cambiata, dopo anni inarrestabili fatti di inseguimenti con la macchina fotografica e lunghissimi appostamenti per “cogliere” l’attimo di un’esclusiva: ti sei ammalato. «Sono stato a un passo dalla morte. È stato un momento davvero decisivo della mia vita, che mi ha fatto capire molte cose. Prima, nella frenesia professionale, non badavo agli orari e l’importante era scattare la foto da vendere. Dopo quel momento, la mia vita si è riequilibrata su altri valori». C’è un ricordo particolare della tua malattia che vorresti raccontare? «Ricordo la presenza di mia figlia: è stata lei a riportarmi in vita, oltre alla figura di Gesù». In che senso la figura di Gesù? «Mi avevano operato e non ricordo nulla perché ero in coma, ma ho l’immagine davanti a me di una persona che io identifico in Gesù verso la quale mi dirigevo in pace, allontanandomi dalle cose terrene. Era una sensazione di grande serenità, ma mentre mi avvicinavo a questa entità qualcosa mi riportava sulla terra: era mia figlia che mi voleva con lei. Sì, l’amore per mia figlia mi ha riportato in vita. E io mi ritengo un miracolato». Chi delle persone famose ti è stato vicino? «Un nome su tutti, anche se oggi è un grande rimpianto perché non ci vediamo più: Lapo Elkann. Lapo mi è sempre stato vicino, anche economicamente, mi ha sostenuto ed è un ragazzo di una gentilezza e umanità straordinaria. Noi abbiamo vissuto così tante cose assieme che davvero fa parte della mia storia personale; raramente ho conosciuto una persona con la sua gentilezza d’animo». E perché non vi vedete più? «Dopo ciò che è accaduto a New York, dov’era stato arrestato, ho detto: “Ma Lapo, perché ti è accaduto ancora?“. Da quel momento ogni contatto si è interrotto. Lapo è il peggior nemico di se stesso». In che senso? «Che si fa del male da solo, pur essendo pieno di talento. Ti ricordi la trans Patrizia?». Certo,fu il primo scandalo pubblico che ebbe Lapo come protagonista. «Ecco, per tutti Lapo aveva una storia con questa persona. E invece no. Io parlai con Patrizia, mi disse che Lapo andava da lei solo per parlare con qualcuno». Vuoi dirmi che quella notizia fu usata solo per fare del male a una persona? «Io penso di sì, e non è certo l’unico caso». A che cosa ti riferisci? «Ti ricordi le foto di Silvio Sircana, il portavoce del governo al tempo di Prodi? Quello è stato un altro momento di linciaggio politico senza senso scaturito dalle mie immagini. Io so bene come andò quella sera». Spiegacelo. «L’immagine rappresentava Sircana mentre parlava con una prostituta transessuale di Roma, ma nell’immaginario collettivo quel gesto è passato come se fosse poi effettivamente andato con questa. E invece no. Sircana andò via subito, ma quello scatto venne utilizzato politicamente per farlo fuori». C’era però la tua intercettazione che finì all’interno di “Vallettopoli” e che diceva che avevi uno scoop sensazionale e che avevi fatto «13 e 14 al Totocalcio»: anche tu sapevi che quelle immagini sarebbero state usate. «Un conto è usare delle immagini perché oggettivamente ritraggono una “notizia”, un conto è mettere a soqquadro la vita di un uomo e linciarlo con il solo obiettivo di colpire una parte politica. Con Sircana la politica e i media esagerarono. Lui era uscito dal ristorante “Bolognese” un po’, diciamo, “alticcio”, in compagnia di una signora. Io lo seguii per vedere che cosa faceva e se si fosse rincontrato magari con questa donna. In realtà vidi la macchina dell’onorevole Sircana accostarsi a parlare con una prostituta transessuale. Presi la macchina fotografica e scattai, ma l’onorevole andò subito via». Anche il caso Marrazzo fu così? «In fin dei conti sì. Io penso che, alla fine, gli scandali che nascono da queste cose siano strumenti per far fuori un avversario politico». Hai lavorato molto con Fabrizio Corona: pensi al fatto che lui sia adesso in carcere? «Penso a Fabrizio molto spesso. Anche lui è un uomo che ha la capacità di farsi del male con i suoi comportamenti. Noi abbiamo avuto momenti di grande tensione, ma bisogna dire che grazie a Fabrizio tutti noi abbiamo guadagnato tantissimo. Chi adesso fa finta di niente è un ipocrita. Corona aveva un modo per comprarti le foto: faceva lui il prezzo e ti diceva “ti sta bene?”. Magari poi ricaricava, ma certo ci faceva guadagnare tanto. Anche Fabrizio è vittima di un sistema di potere che lo voleva far fuori, anche se lui ha fatto di tutto per farsi del male». Insomma, il mondo dei paparazzi è un mondo di cui spesso “il potere“si serve per iniziare battaglie personali? «Io credo di sì. Noi facciamo il nostro lavoro: è chi lo compra che sa a che cosa può servire».