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 2019  novembre 04 Lunedì calendario

Biografia di Lucia Borgonzoni

Lucia Borgonzoni è la sorridente favilla del maglio leghista che vuole abbattersi su quel che resta dell’Emilia rossa (la Romagna si dà ormai per espugnata), conquistare in un colpo solo la Regione e sbaraccare l’equivoco governo demostellato asserragliato nei Palazzi romani da settembre. Ufficialmente Lucia B. è soltanto la candidata del centrodestra unito per le elezioni del 26 gennaio 2020; nella realtà è molto di più: figlia di una Bologna borghese di lignaggio e alternativa per estro naturale, leghista per capriccio di famiglia e vocazione anticonformista, lei che è nata nella seconda metà dei Settanta, nipote per via paterna del pittore comunista Aldo, intimo di Renato Guttuso e Ottone Rosai. Avrebbe potuto essere una fra le tante raccomandabili fanciulle di “Quel gran pezzo dell’Emilia” ritratta da Edmondo Berselli e invece ha preferito la strada politica più impervia. Colpa o merito di sua madre Nadia che votava Carroccio dal 1989, quando la Lega era quasi solo lombarda e i Borgonzoni abitavano a San Lazzaro. Noi la ricordiamo come fresca sottosegretaria ai Beni culturali con delega al cinema nella tempestosa maggioranza gialloverde, un’amazzone scelta proiettata nella prima fila ministeriale accanto a Matteo Salvini insieme a un blocco generazionale compatto e variegato: Nicola Molteni, Stefano Candiani, Gianmarco Centinaio, Erika Stefani e così via; ovvero l’ondata dei quarantenni della Lega 2.0 concepita in Padania, svezzata nei Comuni e nei Consigli regionali e infine fiorita nella stagione ultima del risorgimento sovranista. Come i suoi colleghi, Lucia ha conosciuto la gavetta della provincia e si è misurata da consigliera bolognese (2008-2011) per azzardare nel 2016 la sfida a Palazzo d’Accursio contro il sinistro Virginio Merola: finì al ballottaggio con un dignitoso fotofinish (lei al 45,4 per cento) che le valse il rango per volare due anni dopo su Roma come senatrice e sottosegretaria. È la politica nazionale come logica prosecuzione del cursus honorum amministrativo, agevolata da una grazia particolarmente televisiva, dalla serissima spensieratezza di chi non patisce complessi d’inferiorità perché prima di arrivare al Palâz ha saputo destreggiarsi nel mondo rurale delle mondine e delle risaie dipinte da nonno Aldo così come fra gli stucchi gentilizi dei Marcionneschi di Montescudaio, ramo materno insediato in Toscana, là dove il nonno Virgilio militò fra i partigiani. Nella Lega dell’antifascista Umberto Bossi, dell’ex demoproletario Roberto Maroni e dell’acerbo leoncavallino Salvini, nessuno avrebbe potuto eccepire sul curriculum di Lucia, laureata all’Accademia delle Belle Arti con una tesi in Fenomenologia degli stili, pittrice d’occasione e barista perfino negli anni in cui i centri sociali della Bologna gruppettara erano covi di creatività anarco-nichilista, sperimentalismo musicale ed estetica underground. 

PAROLE D’ORDINE
Lei all’eversione artistica ha preferito la militanza politica e adesso, “va là…”, si gode la sua campagna on the road, con la colonna sonora di Franco Battiato e Lucio Dalla la cui mamma fu sua vicina di casa in via delle Fragole, e in questa cavalcata emiliana tutto lo stato maggiore leghista è mobilitato. Dal capo supremo Matteo al neosindaco di Ferrara Alan Fabbri. Parole d’ordine: efficienza e concretezza, sicurezza e competenza, molti contenuti e zero ideologia per convincere un elettorato abituato a standard elevatissimi nella ricca regione in cui – diceva sempre Berselli – il socialismo non è altro che il capitalismo governato dalla sinistra. Ma è così da troppi decenni e allora, come in Umbria però al netto degli scandali, s’indovina una formidabile voglia di cambiare. E si mormora che il modenese governatore Stefano Bonaccini, amministratore tosto dal fenotipo palestrato e volitivo, abbia già invocato il soccorso armato dei Cinque stelle e stia mettendo mano alle nomine in scadenza per porre in sicurezza la nomenclatura uscente. A dispetto delle liti romane giallorosse: un modo per minare i tralicci del potere in vista della sconfitta? Ma sono appunto voci. Di sicuro, al momento, c’è che la settimana scorsa, a Parma, Borgonzoni e Salvini hanno richiamato tanta di quella gente da lasciare sgomento Federico Pizzarotti, il sindaco ex grillino che per concedere l’apertura di un passo carrabile esige un certificato di sana e robusta costituzione antifascista, nemmeno fossimo fra le barricate del 1922 che sbarrarono il passo all’avanzata della colonna d’Italo Balbo… 

ANARCHIA GIOVANILE 
Ma questa volta è forse la volta buona: Borgonzoni si affaccia nelle piazze con il profilo istituzionale di chi vanta l’esperienza di governo con gli improvvisati Cinque stelle e ora vuole dare più ossigeno alle imprese e svecchiare l’apparato di una burocrazia sovietizzante che dal caso Bibbiano alla ricostruzione post sismica ha mostrato i suoi limiti chiaroscuri. Ci sono meno di novanta giorni per incontrare tutti i mondi emiliani e romagnoli, 4 milioni e mezzo di abitanti ai quali rivolgersi tra un tavolo di lavoro e una tavolata di provincia (settimana prossima appuntamento al “November pork” nel parmense e poi alla Festa dei Becchi a San Martino sotto le gigantesche corna dell’Arco in piazza Ganganelli). Obiettivo: strappare l’Emilia-Romagna al suo grasso torpore socialista e ristabilire il diritto sovrano di riaprire le urne nazionali. Non senza divertirsi un po’, come ai tempi belli dell’anarchia giovanile bolognese.