il Giornale, 4 novembre 2019
L’era dell’uomo macchina
Una suola in carbonio nelle scarpe da corsa per aumentare la spinta e sbriciolare il record della maratona. Una pillola nello stomaco per registrare il calore del corpo, trasmettere al computer informazioni sull’idratazione e formulare diagnosi mediche senza esami invasivi. O ancora, protesi robotiche per superare le disabilità, muoversi o comunicare. L’uomo sta diventando «bionico», nel vero senso della parola. Ma c’è un campo che fa spesso da apripista, in cui le tecnologie sono ormai decisive: lo sport. Le aziende stanno sperimentando e investendo, testano e brevettano fiutando un business a parecchi zeri. E se gli atleti fanno da cavia, la tecnologia che ora serve a raggiungere i record in pista e negli stadi finirà presto anche nella nostra vita quotidiana.
Ci sono maglie termiche, in fibre riscaldanti, sintetiche, che permettono il controllo dell’umidità. Fibre che attraverso dei sensori a contatto con (...)
(...) la pelle trasferiscono i dati a reti wireless e permettono di capire se i muscoli sono stanchi e se sono bene ossigenati. Ci sono orologi (se si possono ancora chiamare orologi) che con un lettore ottico leggono il polso, monitorano il cuore.
Chip inseriti sotto le magliette dei pallavolisti che misurano tutti i loro spostamenti in campo, i salti, l’elevazione e la potenza dei colpi. E ancora, sensori applicati sotto i bendaggi delle mani dei pugili per permettere ai coach di avere in tempo reale la frequenza dei pugni e il numero di ganci. Non mancano scansioni tridimensionali del corpo per costruire attrezzature e abbigliamento che assecondino alla perfezione le caratteristiche fisiche e aerodinamiche degli atleti, maglie intelligenti che danno la possibilità agli spettatori di una partita di calcio (ma anche di basket, di baseball) di ricevere tutte le informazioni che vogliono sul loro giocatore preferito direttamente sullo smartphone. Oppure un chip sottopelle per capire se un atleta si dopa.
CHIP ANTI DOPING
Lo sport sui campi, sulle strade, in pista diventa sempre più un videogioco? Presto gli atleti saranno tutti dei replicanti? Oggi le macchine interagiscono con computer, tv, telefonini trasferendo informazioni e dati in tempo reale. E questo apre nuovi scenari. Mike Miller, ex-capo esecutivo della World rugby association e già alla guida della World Olympians Association, organizzazione che raggruppa 48 gruppi nazionali in rappresentanza di 100mila sportivi, qualche tempo fa sposò senza riserve la tecnologia nello sport, soprattutto in fatto di lotta al doping: «Noi mettiamo i chip ai nostri cani e la cosa non sembra crear loro alcun problema aveva spiegato qualche tempo fa in un’intervista al Guardian. Quindi perché non ci prepariamo a fare altrettanto anche con gli atleti? Dobbiamo fermare il doping con le tecnologie più avanzate». Un chip piazzato sotto la pelle sicuramente potrebbe spiegarci e svelarci se nel suo sangue e nelle sue urine c’è del doping. E poi? Cos’altro ancora? Qual è il suo Dna, quali sono i suoi valori dopo un allenamento, quali a riposo, come si possa incrementare la sua potenza, la sua resistenza, il suo sprint o la sua capacità di resistere e sopportare i carichi di lavoro? Ipotesi. Future e probabilmente possibili. Con l’atleta che diventa sempre più simile a una macchina, sempre più un’interfaccia controllata e controllabile.
Prende forma l’idea del moderno campione robotizzato, la «cavia elettronica» da sperimentazione in laboratorio che anticipa e affianca passo passo il progresso e i risultati ottenuti dai ricercatori. Prima che nella vita quotidiana gli effetti si vedono nelle arene. La tecnologia non trasforma il «brocco» in campione ma nello sport ad altissimo livello diventa decisiva perché, come hanno spiegato nel saggio Sportivi ad alta tecnologia l’ingegnere meccanico Nunzio Lanotte e sua moglie, la francese Sophie Lem, «la differenza tra la gloria di una medaglia d’oro e l’anonimato si misura in millesimi di secondo».
MATERIALI INTELLIGENTI
Dal tennis, allo sci al nuoto, ovviamente ai motori, al ciclismo, la tecnologia applicata allo sport cambia le carte in tavola. Sensori, processori, fibre di carbonio che hanno preso il posto del legno, dell’acciaio, dell’alluminio migliorando resistenza, peso e performance di scocche, telai, ruote, caschi, imbarcazioni, pagaie, racchette, scarpe.
C’erano una volta le scarpe con le tomaie in pelle, oggi sono un mix esplosivo di poliestere immerso in una matrice di poliuretano. Materiali più resistenti, più comodi e che quindi aiutano a migliorare la prestazione. Come poche settimane fa le scarpe innestate con una soletta di carbonio utilizzate dal campione keniano Eliud Kipcoghe che a Vienna ha sgretolato il muro delle due ore nella maratona. A buttarlo giù, con una prestazione che lo ha visto correre i 42 chilometri e 195 metri in 1 ore e 59 minuti, è stato il più forte maratoneta in circolazione oggi, già detentore del record del mondo. Ma per raggiungere l’obiettivo gli hanno preparato la maratona perfetta.
La Ineos, l’azienda del miliardario inglese Jim Ratcliffe, l’uomo più ricco di Gran Bretagna, si è fatta carico di organizzare una corsa ad hoc. Una prova ai limiti dello show che ha fatto cadere un limite sportivo, ma soprattutto psicologico, e ha aperto un nuovo percorso scientifico e commerciale.
Un’ora 59 minuti e 40 secondi per correre 42.195 metri sono un tempo che era inimmaginabile fino a qualche anno fa. La prestazione atletica è stata ottenuta però con un’auto di fronte al gruppetto dei maratoneti a scandire l’andatura, con un raggio laser che disegnava sull’asfalto un’area quadrata dove il maratoneta doveva restare per avere la certezza di battere il record, con una quarantina di atleti «lepri» che si sono dati il cambio nel proteggere dall’aria Kipchoge che correva ben coperto nel mezzo. «Quanto si può guadagnare così, rispetto a un’abituale maratona cittadina? si è chiesto il campione olimpico di Atene Stefano Baldini-. Come minimo tre secondi al chilometro». Che poco non è: quando le prestazioni sono al limite anche cambiamenti che possono sembrare impercettibili fanno la differenza. Vale tutto se i regolamenti lo consentono.
E L’UOMO CHE FINE FA?
Ma l’uomo che fine fa? E allora si può discutere sulla nuova pillola elettronica che più o meno un mese fa è stata testata a Doha in Qatar durante gli ultimi campionati del mondo di atletica.
Una sperimentazione che aveva lo scopo di proteggere da colpi di calore e disidratazione gli atleti impegnati sugli sport di resistenza. La capsula, che pesa 1,7 grammi e non è più grande di una pillola medica convenzionale, misura la temperatura corporea e trasmette elettronicamente i dati a tecnici e medici che così in tempo reale hanno sempre sotto controllo le condizioni fisiche di chi sta correndo. Un po’ come succede con la telemetria per le auto di Formula Uno, che sono tenute costantemente sotto controllo in tutti i loro parametri dagli ingegneri di pista che seguono la gara dai muretti dei box. Il progetto è stata rivelato dall’associazione mondiale delle federazioni di atletica leggera (Iaaf) al quotidiano britannico Telegraph a cui è stato spiegato che «diverse associazioni nazionali hanno già testato la pillola e i risultati sono stati buoni» e che tutto «è perfettamente sicuro, non c’è ingrediente attivo nella pillola, solo un chip elettronico che viene attivato durante la gara».
La tecnologia è stata sviluppata da Yannis Pitsiladis, scienziato sportivo all’Università di Brighton che lavora a stretto contatto sia con Iaaf che con il Comitato Olimpico Internazionale, soprattutto in vista delle Olimpiadi del 2020 di Tokyo dove sono previste temperature e umidità estremamente elevate.
La strada è tracciata e sono molte le aziende che ormai investono in questa direzione. E non solo in questa. In Israele ci sono 8mila start-up attive e molte lavorano per mettere a punto modelli di tecnologia applicabile allo sport e agli atleti.
Una partnership con l’italiana Wylab ad esempio ha lanciato sul mercato un motore di intelligenza artificiale in grado di elaborare un numero elevatissimo di dati sullo stato fisico dell’atleta, tale da poter ottimizzare le prestazioni ma soprattutto di evitare e prevenire gli infortuni. Il futuro, insomma, è arrivato. Fino al punto da suscitare timore, e la paura è quella di incartarsi. C’è il rischio che la tecnologia prenda il sopravvento. Chi vince? Per molti sempre e solo lo sport che così cresce, migliora, batte i record e diventa più sicuro. Per chi invece ha una visione più romantica del gesto atletico e della competizione il rischio è che a vincere saranno le aziende che per prime arriveranno sui nuovi prodotti, rendendoli il più possibile user friendly e quindi commerciabili.
Certo nulla sostituirà il talento, l’intelligenza dell’allenatore e le lunghe ore di fatica dell’allenamento. Ma la ricerca vola e nei prossimi anni ad utilizzare queste tecnologie saranno i giovanissimi di oggi che vivono già in una dimensione digitale. Sarà difficile un po’ per tutti tenere il passo. C’erano una volta i campioni che vincevano le maratone olimpiche correndo a piedi nudi. Oggi hanno chip sottopelle e nelle scarpe solette di carbonio.