il Giornale, 4 novembre 2019
Come cambierà la Bce con Christine Lagarde
Nel 2011, quando prese in mano le redini della Bce, Mario Draghi aveva davanti a sé un percorso già segnato. Il propagarsi della Grande crisi provocata dal virus dei mutui subprime, poi degenerata in Europa nel disastro del debito sovrano, richiedeva ben altro che la reattività da bradipo del suo predecessore, Jean-Claude Trichet. L’avvio del quantitative easing, l’azzeramento dei tassi e gli aiuti in varie forme offerti alle banche non sono stati altro che la risposta inevitabile per evitare il peggio.
Il sentiero lungo il quale Christine Lagarde dovrà muoversi non è altrettanto delineato. E proprio per questo può rivelarsi insidioso. L’ex capo dell’Fmi eredita la guida della banca centrale in un momento di sofferenza economica. L’eurozona, da qui a qualche mese, rischia di scivolare in recessione. I motivi sono noti. In un’area fortemente basata sulle esportazioni, la guerra commerciale Usa-Cina è un danno. Non a caso, una decina di giorni fa la Lagarde ha preso di petto Donald Trump, intimandogli di smetterla con le barriere tariffarie. Al tycoon ha ricordato che la trade war può far dimagrire di 700 miliardi il Pil globale. Già in questa prima uscita da presidente ancora in pectore della Bce s’intravvede uno iato rispetto allo stile più misurato di Draghi, un rovesciamento di ruoli fra chi, come l’ex governatore di Bankitalia, replicava alle accuse solo se attaccato, e chi invece sembra conoscere bene il detto in base al quale chi «picchia per primo, picchia due volte».
L’aggressività della pupilla di Nicholas Sarkozy non è una sorpresa. Non si sopravvive al vertice del Fondo per due mandati consecutivi senza i necessari attributi. Priva di formazione economica, tutto tranne che un banchiere centrale, la Lagarde unisce però a un’intelligenza indiscussa un’abilità politica fuori dal comune. Doti che serviranno, eccome, nei prossimi otto anni. Davanti a lei si srotola un periodo capace di ridisegnare la mappa delle principali Cancellerie del pianeta: due elezioni presidenziali negli Stati Uniti (2020 e 2024); doppia chiamata alle urne in Francia (2022 e 2027); più la nomina in Italia del presidente della Repubblica (2024) che potrebbe vedere proprio Draghi salire al Colle. Inoltre, l’ex ministra francese delle Finanze assisterà alla fine di un’era in Germania, quando Angela Merkel lascerà, nel 2021, l’incarico di Cancelliera. Insomma, la leader della Bce avrà interlocutori diversi e diverse politiche economiche con cui confrontarsi. Vedrà se protezionismi e sovranismi avranno saputo reggere alla prova del tempo. E se il rallentamento della Cina è stato solo un fattore transitorio o è diventato qualcosa di strutturale. E avrà voce in capitolo per chiedere che l’eurozona diventi qualcos’altro rispetto a ciò che è oggi. Draghi l’ha già detto: serve una maggiore omogeneità nelle politiche fiscali, un bilancio comune e il completamento dell’unione bancaria. Tre nodi che, se non sciolti, depotenzieranno le decisioni di politica monetaria.
Per capire in quale direzione si muoverà la Lagarde basterà forse aspettare qualche mese, non appena la sua impronta diventerà più marcata all’interno dell’Eurotower. I critici sostengono che Draghi ha lasciato la Bce senza munizioni. In effetti, l’azzeramento dei tassi non offre grandi margini di manovra, ma è ancora possibile muoversi lungo due binari: rivedere la regola del capital key, in modo da superare l’ostacolo della penuria di Bund acquistabili, e allargare il perimetro del Qe alle obbligazioni bancarie, che costituiscono il 30% del credito investment grade europeo. Gesto ancora più estremo, aprire agli acquisti di titoli azionari, come suggerito da Blackrock. Scelte che, ovviamente, incrocerebbero la dura opposizione dei falchi, oggi ancora in minoranza ma domani chissà. Uno dei compiti più duri che attende la Lagarde è proprio quello di ricompattare un board spaccato. Toccherà a lei alternare piglio deciso e modi più felpati, cioè l’essenza della scaltrezza politica: è il solo modo per portare a termine un compito per niente facile.