il Fatto Quotidiano, 4 novembre 2019
Biografia di Filippo Tortu
È impossibile parlare con Filippo Tortu senza sentire in testa il ritornello di Dream on degli Aerosmith, che fa da colonna sonora alla pubblicità di una nota compagnia telefonica con Filippo protagonista: “Sing with me, sing for the year. Sing for the laughter and sing for the tear.” Nel video – il volto ruscellato appena dal sudore, i capelli corti a spazzola come è solito portarli – corre da una parte all’altra di uno stadio e viene presentato come “l’italiano più veloce di sempre”. Titolo meritatissimo poiché nella disciplina dei 100 metri piani (quelli, cioè, senza ostacoli) Tortu è il primo azzurro a scendere sotto il muro dei 10 secondi: 9,99. Accadeva il 22 giugno 2018, durante Meeting de Atletismo Madrid, in cui ha battuto il record di 10,01 detenuto da Pietro Mennea dal 1979.
Sarà lui il nostro uomo in questa disciplina alle Olimpiadi di Tokyo 2020, avendo anche centrato agli ultimi Mondiali di atletica a Doha l’eccellente risultato di correre la finale dei 100 metri. Lì, e preme sottolinearlo in qualità di mero dato etno–antropomorfico, Filippo – tra Christian Coleman, Justin Gatlin, André De Grasse, Akani Simbine, Yohan Blake, Zharnel Hughes, Aaron Brown – era l’unico bianco. “Quella è stata un’emozione incredibile,” racconta il campione. “Solitamente sono abbastanza imperturbabile e non mi lascio trasportare. Dopo aver corso la semifinale non sapevo se fossi arrivato secondo o terzo. Ci sono voluti un paio di minuti perché uscisse il tempo preciso e durante l’attesa mi ripetevo ‘Pippo devi mantenere la calma’. Ma non appena è spuntato il risultato e ho capito di essermi qualificato alla finale dei 100, sono esploso di gioia.” Filippo lo confessa senza alcuna rete di protezione, con gli occhi vivissimi del bravo ragazzo che è, e di nuovo parte Dream on degli Aerosmith: “Sign with me, if it’s just for today. Maybe tomorrow the good Lord will take you away”.
Ma da dove viene la musica? Eppure Filippo non è un post–paninaro milanese degli anni ’80, né un post–rapper americano degli anni ’70, che vada in giro con un vecchio boombox in spalla (un radiolone ad audiocassette). La risposta è presto detta: Filippo quella musica ce l’ha dentro di sé. Volendola parafrasare, lui vuol dirci: “Corri con me, corri per tutto l’anno, corri per chi ride, corri per chi piange. Corri con me, come se fosse solo per oggi. Perché forse domani non ci saremo più”.
Acuto e intelligente, non è un addicted dei social, serba la sua vita privata per sé e non risponde mai agli odiatori da tastiera; l’energia positiva che Filippo emana la si tocca come i muscoli che percorrono il suo corpo: le cosce propulsive, i piedi lievi. Si definisce un velocista “elastico e leggero”. “Lavoro molto sulla tecnica,” rivela, “sulla concentrazione e sulla trasformazione della tensione in potenza. Ma soprattutto penso sempre al divertimento della corsa”. Questo ragazzo alto 1 metro e 87 tutto sorriso e dolcezza, che ascolta Patty Pravo e Battisti, all’atletica si avvicina a dieci anni – dopo aver praticato calcio, nuoto, sci – grazie al padre Salvino, da sempre il suo allenatore, e al fratello. “Mio padre è stato molto bravo a tenere separato l’allenatore dal papà, soprattutto all’inizio. E per me lui è una certezza, abbiamo uno splendido rapporto”. Il suo mito era ed è Livio Berruti, anche noto come “l’angelo” (oro alle Olimpiadi di Roma nel 1960 nei 200 m). “Perché oltre ai risultati atletici, è portatore del messaggio che lo sport è soprattutto gioia e divertimento”, spiega Filippo, per cui la positività è la regola dentro e fuori dalla pista.
Come ogni sportivo sta attento alla dieta ma va pazzo per la pasta e fagioli, il porceddu e la fregola. Perché come rivela il cognome, seppur nato a Milano nel 1998 e cresciuto in Brianza, Pippo ha origini sarde: “Sul fianco sinistro, all’altezza delle costole ho tatuata la Sardegna. Lì mi sento sempre a casa. Infatti in ogni competizione cui prendo parte, porto con me la bandiera con i quattro Mori”. Non teme i faticosi allenamenti quotidiani e non ama esser definito un talento. “Più che un grande talento, ho sempre avuto grandi sogni. Quando avevo 14 anni ero molto scarso – svela ridendo – tanto che anche le ragazze mi battevano. Ma avevo grandi sogni e grandi obiettivi”. Varcata la soglia di un obiettivo, eccone un altro a fare capolino. Dopo aver ottenuto la finale mondiale, Filippo sogna la finale a Tokyo. Magari un podio? Ed ecco che di nuovo partono gli Aerosmith. Sul finale, Steven Tyler sembra cantare per lui: “Dream on, Dream on, Dream on, Dream on”. Continua a sognare, Filippo, e a farci sognare con te!