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 2019  novembre 04 Lunedì calendario

L’Apocalisse di Casey Affleck

Superando con titanico sforzo l’evidente timidezza Casey Affleck, premio Oscar nel 2017 per Manchester By the Se » di Kenneth Lonergan, posa con i fan per selfie di cui farebbe volentieri a meno. Attore, ma anche scrittore, regista e produttore, fratello di Ben che, con la sua aria vitaminica e muscolosa, non gli somiglia affatto, Affleck è volato a Roma per presentare Light of my life (dal 21 nelle sale), evento di chiusura della rassegna Alice nella città. Nella storia, sullo sfondo di un paesaggio post-apocalittico, dove una pandemia ha sterminato quasi del tutto il genere femminile, molti hanno visto un atto di pentimento, un’ansia di perdono, il tentativo di dare un colpo di spugna definitivo agli episodi di molestie sessuali in cui Casey Affleck è stato coinvolto nel pieno dell’esplosione MeToo. 
Le accuse tornate a galla, anche se la vicenda giudiziaria era stata chiusa nel 2010 con una transazione economica, hanno impedito all’attore di consegnare, nel 2018, la statuetta per la migliore interpretazione femminile. Insomma, la macchia era difficile da cancellare e adesso colpisce vedere che, in un’opera così personale, il tema di fondo ruoti intorno alla figura di un padre impegnato a proteggere l’unica figlia (Anna Pniowsky) in un mondo che ha cancellato le donne, lasciando campo libero all’aggressività maschile: «E’ la storia senza tempo di un genitore che dedica tutto se stesso alla sua bambina, spero che possa riguardare tutti da vicino. Una delle cose che più mi è piaciuta di questo film è che, una volta finito, ho continuato a riflettere sul suo significato e su quanto fosse per me importante. Spesso, quando crei qualcosa di artistico, c’è in gioco un lato del subconscio».
Da che cosa nasce il soggetto di Light of my life?
«Dalle storie della buonanotte che ho raccontato ai miei figli, ogni volta dovevo inventarne una nuova, altrimenti mi avrebbero criticato. E’ un film su cui ha inciso molto il mio essere genitore, ho iniziato a scriverlo circa dieci anni fa, mio figlio più piccolo aveva solo 4 anni, e, dopo il divorzio, le idee hanno preso la loro forma definitiva. Light of my life è anche una storia sull’essere padre single, in lutto per la perdita della famiglia».
Quali film hanno pesato sulla sua ispirazione?
«Il titolo viene da una frase pronunciata da una madre nell’ Andromaca di Euripide, ma sono tanti i film che, anche indirettamente, mi hanno segnato a livello artistico ed espressivo. Penso a Witness -Il testimone, ai Figli degli uomini a I’m legend». 
Come sarebbe un mondo senza donne?
«Di sicuro un luogo orribile dove vivere. La storia che racconto si svolge in un contesto sull’orlo dell’estinzione».
Potrebbe definire Light of my life un film femminista?
«Non so, non sono così bravo da creare una storia e darle un sottotesto politico. Le cose che scrivo vengono fuori in modo spontaneo, le metto insieme, e poi lascio che il film parli da solo».
Il Metoo ha prodotto effetti, oppure è stata solo una fiammata?
«Credo che abbia cambiato le cose in modo considerevole, non soltanto a Hollywood, ma anche in tanti altri Paesi, e sotto molti, diversi, aspetti». 
Accade sempre più spesso che il cinema americano proponga storie collocate in un futuro distopico. Secondo lei perchè?
«Forse perchè negli Stati Uniti non si intravedono prospettive positive e si fa strada, sempre di più, una tensione nascosta, il senso imminente di un destino tragico».
In che modo l’Oscar ha influito sulla sua vita e sulla sua carriera?
«Non le ha cambiate in modo sostanziale, è stato però molto bello ricevere un riconoscimento per un piccolo film fatto con amore, insieme a un amico».
Ha cominciato come attore e ora è regista, pensa che continuerà a fare le due cose oppure preferirà scegliere il secondo mestiere?
«La regia mi fa venire voglia di fare più film, mi piace ancora molto mettermi al servizio delle idee altrui, ma poter raccontare quello che nasce da me è la cosa più bella. E’ questa l’eredità che voglio lasciare ai miei cari».