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 2019  novembre 04 Lunedì calendario

Intervista a Malika Ayane

È inevitabile. A fare i giudici al tavolo di X Factor c’è sempre da scegliere tra vanità e senso di responsabilità. Cosa prevale? «Da questo punto di vista è come stare in apnea, un equilibrio difficile, i concorrenti sono come dei figlioli e come tali li abbiamo seguiti. Certo, è vero che una parte di vanità l’ho dovuta mettere via, ma ho comunque dei vestiti bellissimi e delle super pettinature, quindi mi sento a posto». Malika Ayane ride, contenta del suo ruolo e di questo suo pattinare lieve tra severità e magnanimità.
Si è molto arrabbiata con la brutalità di certi commenti sui social. Non crede che alla fine sarebbe meglio ignorarli?
«L’indifferenza può avere senso ma prima bisogna cercare di dare un messaggio positivo. Mi spiego: abbiamo tutti dei figli che vivono in Internet e ci sono dinamiche che non possono essere considerate normali. I più giovani non hanno la struttura per potersene fregare, quindi mi sento in dovere di mostrare un atteggiamento più virtuoso. Può essere che a questi "odiatori", che magari hanno 14 anni, nessuno abbia spiegato che la comunicazione ha un valore. Non mi sento ferita perché non sono accettata, chi se ne frega, sono abituata. Mi ferisce l’inconsapevolezza, io mi sveglio tranquilla, sono fortunata, faccio un lavoro bellissimo, posso chiudere Instagram e andare oltre, ma non è giusto, le parole possono essere devastanti».
Ogni settimana c’è l’atttribuzione dei pezzi che i concorrenti devono eseguire. Non è azzardato affidare Gershwin a un ragazzo che sa poco o nulla di quel mondo?
«Non lo credo, è sempre meglio partire delle radici. La consapevolezza va fatta crescere e molto spesso mi sembra che i ragazzi abbiano un’educazione emotiva sedata, forse a causa di questo momento storico».
Il ruolo delle donne nel mondo della musica è ancora incredibilmente scarso. Non le sembra strano?
«Certo che lo è, e ho una mia interpretazione. Come per tutto il resto, la musica diventa un problema quando si entra in una fase più professionale. Diciamo che si subisce lo stesso tipo di misoginia che ci può essere altrove, le donne possono cantare ma in altri ruoli.
Anche nel mio piccolo, quando scrivo e c’è pure un autore maschio, è più facile che si citi lui. La società asseconda questa mentalità, non è per stare sempre a lamentarsi, io me la cavo benissimo, ma la realtà è quella. Anche le donne-pubblico non aiutano, spesso il cantante belloccio passa subito, invece alle artiste viene chiesto di fare meglio e i riconoscimenti sono minori. È come se le donne debbano aspettare di avere il permesso per fare qualsiasi cosa. Il che vale anche al rovescio, per gli uomini. Di solito ai maschi non è permesso esprimere fallimenti amorosi e debolezze. Quando lo fa una donna è poesia, e infatti spesso mi mandano pezzi di questo tipo e ti dicono: ecco, sì, tu puoi cantare queste cose. Ma a essere sincera io mi sarei anche rotta i coglioni di cantare di fallimenti amorosi».
Cosa sta succedendo da quando sono cominciate le trasmissioni in diretta (tutti i giovedì alle 21.15 su SkyUno)?
«A parte il fatto che la tv, vissuta più dall’interno, mi sembra un mondo molto strano, succede che mi sono affezionata ai ragazzi, mi sono scoperta più tollerante, più votata all’accompagnamento che non al giudizio. Poi accade che ti eliminano un ragazzo che stai seguendo ed è brutto perché gli vuoi bene. Continuo a pensare che Enrico (Di Lauro, il busker eliminato nell’ultimo live, ndr) abbia un gran potenziale ma non è molto espansivo e in tv le sue qualità si perdevano».
Qualche scintilla di troppo con Sfera Ebbasta? Forse pesa la differenza generazionale?
«Ma no, andiamo, Sfera ha quasi trent’anni quindi poi non è poi così più giovane… Lui è il nuovo che avanza con tutte le virgolette del caso ma ha fatto un sacco di cose, conosce dinamiche che a me sono oscure».
Si porterà a casa qualcosa di questa esperienza?
«Tornerò a ricordarmi che nella musica non c’è un’unica strada giusta, e che fare musica è la cosa più bella del mondo. L’ultimo fine settimana prima dei live sono andata a Berlino con Pacifico e ho scritto due canzoni piene di quello che lì non si può fare perché stai fermo e devi guardare gli altri».
A proposito di pezzi nuovi, non le crea imbarazzo il fatto che il nuovo singolo "Wow (niente aspetta)" sia uscito contemporaneamente anche come musica di uno spot pubblicitario?
«Per niente, anzi. Perché questo è un momento in cui nessuno capisce bene quali siano le regole del gioco, è tutto in trasformazione. In questa fase mi sembrava molto più intelligente utilizzare una cosa nuova piuttosto che un pezzo vecchio. Del resto io non seguo le mode, non penso a espedienti per diffondere, quindi ben venga una campagna. Non dimentichiamo che io sono nata con una pubblicità: è grazie a uno spot che Caterina Caselli notò la mia voce e mi venne a cercare».