la Repubblica, 4 novembre 2019
Tutte le leggi bloccate dai burocrati
Ha detto Giuseppe Conte: «L’orizzonte della manovra sarà un ampio progetto riformatore». Evviva. Ma si fa presto a dire “riforme” in un Paese dove si fanno le leggi e nelle stesse leggi ci sono i presupposti perché non vengano applicate. Periodicamente qualcuno fa i conti, scoprendo che siamo sempre alle solite. Il governo Conte 2 ha avuto in eredità oggi dal governo Conte 1 e da quelli precedenti l’incombenza di sbrigare una pratica mica da ridere. Ossia scrivere 352 decreti attuativi, dei quali 278 ancora da prendere in considerazione: senza, molte leggi importanti non possono diventare in tutto o in parte operative. Un caso? Il provvedimento che dovrebbe tutelare i figli di madri vittime di femminicidio. Una legge bandiera del centrosinistra che attende di partire addirittura dal gennaio del 2018. Manco a dirlo, non ci sono i decreti attuativi. E comunque, a quanto pare, non ci sono neppure i soldi: 5 milioni, una miseria mentre si parla di una manovra da 30 miliardi. Quella legge risale all’epoca del governo di Paolo Gentiloni, a dimostrazione che la faccenda dei decreti fantasma si perde nella notte dei tempi. Se il governo Conte 2 ha ereditato dal Conte 1 ben 352 provvedimenti ancora da scrivere, il governo Conte 1 ne aveva a sua volta ereditati 413, dei quali 265 da Gentiloni, 136 da Renzi e addirittura 12 da Enrico Letta, il cui esecutivo era spirato quasi quattro anni e mezzo prima.Una follia, conseguenza di un sistema che ha pian piano consegnato le decisioni politiche prese dai rappresentanti del popolo in Parlamento alle burocrazie ministeriali in una sorta di scaricabarile che spesso fa finire tutto in un pantano dal quale non se ne esce.
Quasi ogni legge, per dispiegare effetti concreti, ha bisogno poi di provvedimenti di competenza degli uffici ministeriali, quasi sempre di più ministeri che devono “concertarli”. Significa che i relativi decreti devono essere emanati di comune accordo fra due o più ministeri che hanno competenza in materia. Sulle pensioni, per esempio, le competenze sono dell’Economia e del Lavoro. Ma se i burocrati non si mettono d’accordo, ecco che tutto si paralizza. Senza poi contare le lungaggini.
Capita così che per completare il funzionamento una misura simbolica, questa volta per il Movimento 5 stelle, come il reddito di cittadinanza, ovvero il passaggio dal sussidio al posto di lavoro, mancano ancora pezzi significativi. La ministra del Lavoro Nunzia Catalfo ha firmato il 22 ottobre il decreto che consente di utilizzare i percettori dell’assegno per i lavori di pubblica utilità nei Comuni. A quasi nove mesi dall’entrata in vigore della norma.
Ed è fatale che le manovre di bilancio siano le più bersagliate da ritardi, dimenticanze e bisticci fra burocrazie. La finanziaria del Conte 1 prevedeva l’emanazione di 111 decreti attuativi: di questi ne sono stati fatti appena 36. Quanto ai rimanenti 75, ne sono scaduti 35. Mentre per 40 non è prevista scadenza. A maggior ragione, campa cavallo.
Quando poi non succede che i decreti non si fanno perché nel frattempo lo scenario polit ico è cambiato e la legge varata dalla precedente maggioranza viene così parcheggiata su un binario morto. Clamoroso è il caso del provvedimento sblocca- cantieri, strombazzato per mesi come fosse la cura per rianimare un settore letteralmente stritolato da 308 leggi fatte in 25 anni, al ritmo di una al mese. Approvato ad aprile e convertito in legge a giugno, non è mai entrato in vigore: eppure era una misura considerata urgentissima per dare una spinta decisiva all’economia boccheggiante, e pure dai grillini ostili alle opere pubbliche, pensate. Che ne avevano fatto addirittura una specie di bandiera. Ricordate l’ex ministro Danilo Toninelli? «Nei prossimi mesi», diceva trionfante dopo la conversione del decreto, «grazie alla semplificazione vedremo aprirsi il maggior numero di cantieri mai visto in Italia nella storia». Parole al vento.
Nonostante le 749 opere ferme per lo spaventoso ammontare di 62 miliardi, come ha denunciato ancora venerdì ai microfoni di Radio Capital il presidente dell’associazione dei costruttori Gabriele Buia, lo sblocca-cantieri non ha sbloccato ancora un bel niente. I commissari che avrebbero dovuto prendere in carico il problema, previsti nel numero di 77, non sono mai stati nominati. E quel decreto è ora solo il numero 309 di quella interminabile serie di inutili e confusionarie norme in materia di appalti pubblici.
Del resto anche impegnandosi allo spasimo, e non è affatto detto che la sostituta di Toninelli al ministero, la democratica Paola De Micheli, voglia seguire questa strada, non sarebbe stata una passeggiata. Per la nomina di ogni commissario servirebbero otto-passaggi-otto. Prima la proposta del ministero delle Infrastrutture sulle opere prioritarie. Poi il “concerto” del ministero dell’Economia. Poi lo schema di decreto della presidenza del Consiglio. Poi il parere delle commissioni parlamentari. Poi il decreto definitivo di palazzo Chigi. Poi le proposte del ministero delle Infrastrutture sui commissari. Poi un altro “concerto” dell’Economia. Infine il decreto di nomina dei commissari firmato da Conte. Un delirio, alla faccia delle semplificazioni: sempre soltanto promesse.
Inutile allora stupirsi del fatto che siamo riusciti a perdere, ha denunciato l’Ance, 220 milioni di denari europei per mettere in sicurezza il territorio di Sarno dove nel 1998 una terribile frana si prese la vita di 160 persone. Di quel finanziamento, approvato nel 2011, otto anni dopo si sono perse le tracce.