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 2019  novembre 04 Lunedì calendario

Un’ora con Gianni Rivera

Un’ora con Gianni Rivera al Foro Italico senza parlare di passato (o almeno solo un po’), ma di futuro. Sarà che Gipo Viani gli diceva che era «nato vecchio» («perché ero responsabile anche a 17 anni») ma adesso che ne ha 76, è più golden boy che mai. Meglio, un fanciullo, puro nella convinzione che il pallone sia un linguaggio intergenerazionale, e che Rocco, Liedholm e Fabbri siano i grandi classici in grado di spiegarlo a tutti. 
Rivera, davvero vuole fare l’allenatore? 
«Certo, ho preso il patentino. Prima ho aspettato che gli scienziati dicessero che si campa fino a 120 anni. Ho fatto 20 anni il calciatore, 22 il politico, potrei averne davanti 20 da allenatore». 
Come le è venuta l’idea? 
«Tutto è partito quando la Federazione, dopo Conte, è rimasta senza tecnico. Il presidente Tavecchio aveva pensato a me e Ulivieri, il presidente dell’associazione allenatori, gli ha detto che non avevo il titolo». 
Potevamo averla c.t. al posto di Ventura? 
«Tavecchio ha chiesto a Ceferin: “ci tengo che Gianni abbia il titolo di allenatore”, e quello: “Scrivimi una lettera”. Tavecchio lo ha fatto e Ceferin ha risposto che non si poteva. Perché non gliel’abbia detto subito non so». 
Così il titolo se lo è guadagnato. 
«I primi due corsi, quello per allenare i giovani e per assistente allenatori li ho seguiti quando ero ancora presidente del settore tecnico, per capire. Poi già che c’ero ho preso anche l’ultimo: è stato utile. Ho visto gli allenamenti di West Ham, Atalanta, Juventus: alla fine capisci che sono quelli, il campo è sempre grande uguale». 
E le tattiche? I sistemi di gioco? 
«Rocco a chi gli chiedeva come avrebbe giocato ha risposto: con Cudicini in porta, tutti gli altri fuori». 
Ma Rocco non è superato? 
«Macché, gli allenatori non devono essere protagonisti. A me diceva “mì te digo de far questo e te digo de far quell’altro però in campo te va tì”. Quando parlava era una sentenza». 
Sembra che lei possa andare d’accordo con Allegri. 
«Sì, mi riconosco in una certa gestione». 
Torniamo ai corsi di Coverciano: utili? 
«Sì, senz’altro. Ci sono settori come comunicazione, medicina, psicologia, in cui fai alcune cose come abitudine ma ti manca la tecnica. Io per esempio mangio senza glutine, mi sono confrontato con il medico». 
E la tesi finale? 
«Ci ho messo anche una proposta di legge che avevo fatto nel ‘90, con il presidente del Coni ministro dello Sport. Al Coni si erano arrabbiati, ma mi pare che la riforma di ora sia andata molto oltre». 
Come mai non è diventato allenatore prima? 
«Felice Colombo mi ha chiamato subito a fare il vicepresidente del Milan. Il rammarico è che avrei potuto fare il primo corso con Capello. L’altro giorno l’ho visto e gli ho detto “ho aspettato che smettessi tu per iniziare io”». 
Dell’avvio difficile del Milan che dice? 
«Che mi dispiace: non so se è una crisi generale, tecnica, mentale, societaria. Sono tutti coinvolti. Mi sono meravigliato, i giocatori hanno più valore della classifica che hanno. Credo che la società potrebbe fare molto, ha i mezzi, ma l’ad non può pensare solo ai conti. Mi sono un po’ preoccupato quando ho letto che non vogliono metterci dieci anni a vincere...». 
Dopo Conte Tavecchio aveva pensato a me ma non avevo il titolo, Ceferin non me lo ha dato così me lo sono conquistato 
Rivera allenatore del Milan è...? 
«Una domanda da non fare! Io l’allenatore lo posso fare dappertutto. Inaugurerei un sistema diverso…». 
Cioè? 
«Starei più in panchina, seduto. Se hai il vantaggio di essere vicino alla partita, tanto vale guardarla... Sarei tra Rocco e Liedholm, il primo era più caldo ma non è che in campo facesse chissà che, Liedholm non si muoveva proprio. L’unica volta che si è alzato è quando uno a bordo campo faceva casino, ha detto: “ti do un pugno di vantaggio, poi cominciamo a litigare”. Si sono messi a ridere». 
Sono i suoi riferimenti. 
«Loro due e Fabbri che ha inventato il libero davanti alla difesa. Purtroppo gli è capitata la Corea». 
Ma oggi per lei chi sono gli allenatori bravi? 
«Quelli che vincono, anzi quelli le cui squadre vincono. Perché in campo vanno i giocatori. Poi l’allenatore è l’unico che paga. È per quello che sono sempre lì a ripetere 3-5-2, 4-3-3, devono dimostrare che sono bravi strategicamente. Io non mi prenderei i meriti, ma sarei pronto a prendere le colpe». 
Di Mourinho, Guardiola, Klopp, che pensa? 
«Per me sono tutti uguali, non studio le strategie degli altri». 
E da cosa ripartirebbe lei? 
«Dalla tecnica. Se non torniamo a insegnare la tecnica individuale prima dell’aspetto fisico atletico non andiamo lontano. Il pallone deve prevalere sempre». 
Pensa che riuscirebbe a comunicare con i ragazzi di oggi? 
«Una volta che gli spieghi che devono andare a letto col pallone, non abbandonarlo mai, solo per darlo a un compagno o per fare gol... È da lì che si deve partire, perché quando hai il pallone tra i piedi devi sapere che fare». 
Cosa pensa della Var? 
«La moviola è nata per stabilire se il mio tiro nel derby del ’67 era gol o no. Alla Var all’inizio ero contrario, ora dico: se c’è, perfezioniamola il più possibile, perché la Var non può sbagliare. Certo ci fosse stata ai miei tempi mi avrebbe risparmiato un bel po’ di storie». 
Tardelli ha appena chiesto scusa a Brera, che però ha trattato molto peggio lei. 
«Di sicuro, però noi siamo diventati amici. Brera aveva parlato degli abatini, gli altri due, Mazzola e Bulgarelli, se ne sono fregati, io gli ho risposto e sono diventato l’abatino doc. Dopo la Corea ho fatto il mio miglior campionato, lui mi ha convocato nel suo ristorante di pesce dove beveva vino rosso per dirmi che dovevo tornare in Nazionale. Ma siamo diventati amici soprattutto perché ho apprezzato il vino rosso». 
Perché non si è mai trovato un altro Rivera? 
«Si vede che avevo caratteristiche difficilmente replicabili, forse un talento superiore alla media». 
E oggi chi le piace? 
«Ronaldo, Messi. Gli italiani? A quel livello non ce ne sono». Rivera in panchina. Sarà difficile, ma quanto sarebbe divertente. 
Le partite le guarderei da seduto. Sarei tra Liedholm e Rocco, che diceva: «Come gioco? Cudicini in porta e gli altri fuori»