https://www.ilpost.it/2019/11/03/hockey-subacqueo, 3 novembre 2019
Esiste anche l'hockey subacqueo
Il più famoso sport di squadra e di contatto che si pratica in acqua è la pallanuoto. Si gioca sette contro sette, ci si passa la palla con le mani e si prova a segnare in una porta difesa da un portiere, nuotando e galleggiando. Sono meno famose, ma esistono anche le versioni acquatiche di altri sport di squadra come il rugby, il football americano e la pallacanestro. Ed esiste anche l’hockey subacqueo, che rispetto a tutti gli altri sport di squadra che si praticano in acqua aggiunge il problema di dover nuotare tenendo in mano il corrispettivo acquatico della mazza da hockey, per colpire il corrispettivo di un disco da hockey che non si allontana mai troppo dal fondo della piscina.
Tutte cose che rendono l’hockey subacqueo una disciplina complicata da praticare e per niente facile da guardare: eppure ha una storia decennale, un successo crescente e una federazione che – dopo anni difficili – punta alle Olimpiadi.
Le uniche cose in comune tra hockey (su ghiaccio, su prato o su cemento) e hockey subacqueo le abbiamo già scritte: sono la mazza e il disco, il cui nome corretto – nell’hockey asciutto come in quello bagnato – è puck. Le mazze, di diverso colore per ogni squadra, hanno forme tra loro leggermente diverse ma non superano mai i 35 centimetri di lunghezza. Il puck, grande più o meno come quello dell’hockey su ghiaccio, pesa di solito poco meno di un chilo e mezzo e in molti casi è fatto di piombo.
(Matt Roberts/Getty Images)
Nell’hockey subacqueo sei giocatori per squadra si sfidano in partite con due tempi da 15 o 20 minuti ciascuno, su un campo largo 15 metri e lungo 25, cercando di portare nella porta avversaria, larga in genere tre metri, il puck, che si trova più o meno a due metri di profondità. Ogni giocatore indossa le pinne, una cuffia simile a quella della pallanuoto e un guanto sulla mano che impugna la mazza. Ci sono dei ruoli (chi difende, chi attacca, chi fa un po’ entrambe le cose) e dei moduli di gioco (il 3-3 va per la maggiore, ma esistono anche altre variabili), ma è tutto molto fluido, e soprattutto non ci sono portieri. Le partite iniziano con i giocatori delle due squadre ai due lati opposti della vasca, che subito dopo il fischio d’inizio cercano di raggiungere il puck, che sta al centro. Durante le partite ogni giocatore può andare ovunque.
A guardare le partite ci sono in genere almeno tre arbitri, che comunicano con i giocatori a gesti e che segnalano le infrazioni tramite un suono che si sente anche sott’acqua. C’è un arbitro che sta fuori dall’acqua, mentre gli altri guardano la partita con maschera e boccaglio. Tra i falli più comuni ci sono quelli che puniscono l’uso delle mazze per scopi diversi dal colpire il puck, l’uso di cose diverse dalla propria mazza per far cambiare direzione al puck, oltre a tutti i falli che puniscono contatti non consentiti tra giocatori. Esistono le espulsioni e c’è anche qualcosa di simile ai rigori.
(Matt Roberts/Getty Images)
Come ha scritto il Wall Street Journal in un recente articolo su questo «possibile futuro sport olimpico», che «richiede di usare un puck e delle pinne», «la manovra più difficile dell’hockey subacqueo è la respirazione». I giocatori, infatti, devono tornare a galla di continuo per prendere aria, e poi tornare sul fondo e continuare a giocare. Ogni giocatore può prendere aria quando vuole e ne ha bisogno: il problema è coordinarsi con i compagni, il tutto senza potersi ovviamente parlare. Il fatto che l’hockey subacqueo sia giocato sul fondo di una piscina da giocatori che devono sempre tornare in superficie a respirare lo rende uno sport definito “tridimensionale”, in cui l’obiettivo è portare il puck in avanti, diciamo in orizzontale, ma in cui molti giocatori si muovono spesso in verticale per andare a prendere aria.
Il fatto di dover giocare in apnea e di avere spesso compagni o avversari sopra o sotto di sé, e non solo intorno, rende l’hockey subacqueo uno sport per certi versi pericoloso (farsi male sul fondo di una piscina è peggio che in mezzo a un prato verde) e di sicuro atleticamente molto difficile. «È come una guerra subacquea», ha detto al Wall Street Journal Nathon Norberg, giocatore statunitense che pratica l’hockey subacqueo dal 1993: «Devi lottare con tutto ciò che hai; è la cosa più difficile che abbia mai fatto». È certamente importante essere buoni nuotatori, ma anche l’apnea dinamica – cioé stare in apnea muovendosi, consumando quindi molto più ossigeno che da fermi – è determinante.
Non è un caso che l’hockey subacqueo fu inizialmente proposto come attività sportiva da praticare per tenere in allenamento i sommozzatori. Nacque negli anni Cinquanta nel Regno Unito, così come il calcio e il rugby, e tra i primi a praticarlo ci furono i sommozzatori dell’esercito britannico. Lo sport continua a essere diffuso nel Regno Unito, dove è anche noto come octopush, ma si è diffuso in altri continenti.
In Italia l’hockey subacqueo si gioca dagli anni Novanta, tra le nazionali più forti al mondo c’è la Nuova Zelanda e il Wall Street Journal scrive che la Cina è uno dei paesi in cui si sta diffondendo di più e più rapidamente. Liam Watson, che vive in Nuova Zelanda e gestisce un negozio che vende attrezzatura per hockey subacqueo, ha detto che gli ordini dall’Asia sono «raddoppiati in un anno» e che gli capita spesso di ricevere ordini da paesi in cui nemmeno sapeva si praticasse la disciplina, «come Israele, le Maldive e gli Emirati Arabi Uniti». I Mondiali di hockey subacqueo si disputano ogni due anni e attualmente la nazionale neozelandese è campione in carica sia a livello femminile che maschile, ed è nota per il suo originale modulo noto come “box“, in cui i giocatori si schierano in un complicato 2-1-2-1.
Negli anni dopo il 2000 l’hockey subacqueo ebbe problemi organizzativi dovuti alle divergenze tra alcuni suoi esponenti e alcuni membri della CMAS (la federazione, riconosciuta dal Comitato olimpico, delle attività subacque), ma ora si è arrivati a delle regole condivise, a una cadenza regolare degli eventi (i prossimi Mondiali, per esempio, saranno nel 2020 a Brisbane) e a una migliore organizzazione internazionale.
Ancor prima dei Mondiali, l’hockey subacqueo avrà la possibilità di farsi notare ai Giochi del Sud-est asiatico che si terranno a Manila, nelle Filippine, tra fine dicembre e inizio novembre. La presenza ai Giochi del Sud-est asiatico è di certo un buon segnale, per uno sport che ha bisogno di farsi conoscere, ma bisogna anche dire che si tratta di un evento in cui ogni anno sono sperimentati sport poco noti o molto bizzarri. Tra quelli di quest’anno ci saranno gli eSport (cioè i videogiochi di sport), il Sambo (un’arte marziale sovietica), e una vecchia disciplina di lotta dell’Asia centrale, nota come Kurash.
Per quanto riguarda la possibilità, un giorno, di diventare sport olimpico, il Wall Street Journal spiega che l’hockey subacqueo dovrebbe per prima cosa battere la concorrenza di altri sport acquatici di squadra diversi dalla pallanuoto, e poi di altri sport che vorrebbero un posto alle Olimpiadi, come il bowling, lo squash o l’arte marziale wushu. João José, capo della commissione dell’hockey subacqueo presso il CMAS, dice che sarà difficile, e che lui stesso pensa che tra i favoriti non ci sia l’hockey subacqueo, bensì il nuoto con le pinne.
Intanto, un grande problema che l’hockey subacqueo deve affrontare riguarda la sua visibilità. In senso letterale. Per il modo in cui si gioca, l’hockey subacqueo è uno sport che, visto dagli spalti di una piscina, è completamente incomprensibile. Per qualcuno la soluzione sta nella tecnologia, cioè nelle riprese subacquee delle azioni di gioco. Per qualcun altro potrebbero essere utili piscine con pareti trasparenti, come negli acquari (ma non ce ne sono molte e sono certamente costose). Nel frattempo, il modo migliore per guardare una partita di hockey subacqueo sembra quello tradizionale, certamente diverso da quelli di ogni altro sport: stando in acqua, nella stessa piscina dei giocatori ma fuori dai limiti dell’area di gioco, con maschera e boccaglio.