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 2019  novembre 03 Domenica calendario

Da "Il mondo che vogliamo" di Carola Rackete (Garzanti)

È il momento di agire. I movimenti della società civile sono sempre stati una via efficace per dare il la al cambiamento. Più esteso è un tale movimento, più ha successo. È giusto limitare i propri consumi personali: non acquistare troppi vestiti nuovi, non prendere l’aereo, non mangiare carne. Ma non può finire qui. La crisi ecologica è un problema strutturale, mondiale, sistemico, che non può essere risolto solo tramite scelte individuali relative allo stile di vita. La rinuncia personale al consumo è sì un gesto scontato quando siamo consci della gravità della situazione, ma deve essere affiancata da azioni comuni e impegno politico che spingano verso un cambiamento del sistema. (...) È il momento di agire. Perché si verifichino rapidi cambiamenti le società hanno bisogno di proteste di massa e del maggiore disturbo dell’ordine pubblico possibile, che provochi discussioni e decisioni. Le proteste delle suffragette all’inizio del xx secolo sono un buon esempio di resistenza civile, perché erano ben pianificate: si sono svolte in modo pacifico ma hanno arrecato disturbo. L’attivista per i diritti delle donne e fondatrice della Women’s Social and political Union (WSpU) Emmeline Pankhurst aveva sviluppato una teoria della resistenza nonviolenta che doveva raggiungere i suoi obiettivi in modo pacifico, incruento e disarmato. (...) Quello che Pankhurst spiegava nei suoi discorsi ma non mise per iscritto fu studiato poco più tardi dal politologo Gene Sharp, il cui libro Come abbattere un regime fu recepito anche dai sostenitori delle mobilitazioni di cittadini nella DDr, in Birmania e in Egitto. In Internet, un sito elenca 198 metodi di disobbedienza civile individuati da Sharp, che li ha suddivisi in tre categorie: protesta nonviolenta e persuasione (per esempio, conferenze, libri, petizioni); non cooperazione nonviolenta in forma sociale, economica e politica (come scioperi degli studenti, boicottaggi dei consumatori, rifiuto di pagare); interventi nonviolenti (per esempio sit-in, blocchi e denunce). Anche il mio ingresso al porto di Lampedusa ha suscitato scalpore grazie alle cronache dei media e generato un dilemma. Si è visto che da una parte c’era qualcuno che difendeva i diritti umani e dall’altra governi che li violavano. Dunque disturbiamo i governi, la cui più grande preoccupazione consiste nel mantenere alti i livelli di crescita e nel non dover condividere la loro ricchezza. Disturbiamo i colossi dell’energia, che disboscano foreste intatte e distruggono il terreno per ricavare il carbone che, a causa dell’aumento delle temperature, non potremmo più bruciare. Disturbiamo industrie e imprese che da decenni ostacolano l’affrancamento dai combustibili fossili attraverso attività di lobbying e studi falsati e che in altri paesi, per risparmiare, producono i loro profitti sfruttando lavoratori che operano in condizioni disumane in cambio di salari da miseria. Perché se li lasciamo fare, permettiamo che non si faccia niente – o non abbastanza – contro la crisi climatica e la distruzione degli ecosistemi. E permettiamo che le imprese mettano sempre il profitto al di sopra del bene della maggioranza. E molto concretamente permettiamo che le persone affoghino nel Mediterraneo e per le strade siano esposte alla violenza della destra. Disturbiamo, ma per buoni motivi. (...)Non possiamo più aspettare, siamo l’ultima generazione che può ancora attenuare le conseguenze della catastrofe ecologica. Nei prossimi anni abbiamo la possibilità di ottenere dei risultati. Ma le nostre chance diminuiranno rapidamente. E più il nostro comportamento rimane conforme all’attuale sistema economico, più a lungo restiamo fermi e non facciamo niente, più ci lasciamo servire sul piatto soluzioni politiche tiepide, più difficile sarà fare qualcosa per evitare il superamento delle soglie critiche del sistema climatico. Finché non sarà troppo tardi. (...) Molti pensano che la disobbedienza civile sia un problema perché provoca rivolte e disturba l’ordine. Viviamo in un’epoca nella quale l’ordine è sbagliato e distruttivo. Deve essere distrutto, perché altrimenti le persone muoiono. Perché altrimenti permettiamo che il sistema, con la sua fede nella crescita costante, ci rubi qualcosa che è incredibilmente prezioso e irrecuperabile. Perché non si fermeranno volontariamente. E perché non possiamo accettare che a causa del sistema la maggioranza delle persone sia derubata, ingannata e oppressa in nome dell’ordine. Dobbiamo farlo, invece di continuare a sperare che conserveremo i nostri diritti e il nostro futuro compiacendo coloro che sono ancora al potere. Il problema è l’obbedienza civile, non la disobbedienza civile. Agiamo, invece di sperare.