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 2019  novembre 03 Domenica calendario

Cosa c’è nel mondo sotterraneo

«Benvenuti a La Plage, ci disse un ragazzo slanciato, con i capelli scuri, sui venticinque anni, che si chiamava Benoit. Eravamo nei sotterranei da un paio d’ore e ci eravamo infilati in un tunnel così stretto che abbiamo dovuto strisciare con i gomiti nel fango... Finché siamo emersi in uno dei principali ritrovi dei cataphiles, un ambiente simile a una caverna con alti soffitti sostenuti da grosse colonne di calcare. Tutte le superfici – ogni centimetro delle pareti, dei pilastri e quasi tutta la volta di roccia – erano ricoperte di dipinti... “Questa è...”, Benoit fece una pausa, “la Times Square delle catacombe”!». Difficile non essere inghiottiti anche noi in questa avventura nel ventre vero di Parigi: il mondo «di sotto» della capitale francese, fatto di centinaia di chilometri di passaggi, cave, condotti fognari, tunnel e ossari, macabri e ammalianti. Will Hunt la racconta come “la traversata”: la capitale francese può essere percorsa sottoterra da Sud a Nord, da Porte d’Orléans a Place de Clichy, uscendo alla luce solo da un tombino a Saint-Sulpice per poi sprofondare in un altro pochi metri più in là. 
Non è uno speleologo, Will Hunt. Come definirlo? Un esploratore urbano, come il Benoit che lui incontra a Parigi? Qualcosa di più. Scrive saggi per riviste prestigiose, dall’«Economist» a «Rolling Stone», è laureato in Letteratura alla New York University. Da quando però, a 16 anni, s’è trovato a esplorare una galleria ferroviaria abbandonata sotto la casa dei genitori a Providence, Rhode Island, l’attrazione per la parola «sotto» è fatale. Un po’ come per Obelix caduto nella pozione magica da bambino o Batman finito giù nel pozzo con i pipistrelli: da quell’immersione, tutto è stato diverso. 

Così Hunt ha perlustrato, ovunque, ciò che nel mondo c’è di underground. Le viscere di Parigi, ma anche quelle di New York e Londra, e poi caverne preistoriche (nella Francia del Sud-Ovest), miniere (negli Usa), antiche città (in Cappadocia), bunker, dedali di cavità nella giungla. «Se la superficie della Terra fosse trasparente, passeremmo giornate intere sdraiati a pancia in giù, a curiosare in questi meravigliosi territori stratificati», scrive nella seconda pagina del libro I misteri del sottosuolo (Bollati Boringhieri). I suoi personalissimi ricordi dal sottosuolo.
Molti avranno provato delusione, da piccoli, scoprendo che il libro Viaggio al centro della Terra, di Jules Verne, e soprattutto il film in bianco e nero con James Mason e Pat Boone che scendevano in improbabili spazi interni del pianeta, non avevano fondamenta scientifiche. Invece essere ora accompagnati, come Dante da Virgilio, a scoprire gli inferi, un «cieco mondo» – è lo stesso Hunt a ricordare che il Sommo Poeta lo chiamava così – vivo e ricchissimo, è quasi una rivincita della fantasia. 
È soprattutto l’incredibile scoperta di un pianeta nel pianeta sotto i nostri piedi, in compagnia di Seneca (descrisse un gruppo di cercatori d’argento che si calavano nelle profondità terrestri), Leonardo da Vinci (al fondo di una cava trovò il fossile di una balena), Erodoto (parlò dei trogloditi, il popolo di pigmei notturni dalla pelle albina che vivevano nelle grotte), Victor Hugo (e l’incubo delle fognature nei suoi Miserabili). Lo sapevate che il primo a immortalare i sotterranei di Parigi è stato il grande pioniere della fotografia Nadar, «definito da Charles Baudelaire “il più straordinario esempio di vitalità”»? Nel 1861 inventò una luce alimentata da batterie elettriche e cominciò a girovagare nel sottosuolo trascinando con sé una squadra di assistenti e due carrelli da miniera carichi di attrezzature. «Fece settantatré immagini degli ossari, una collezione surreale e unica nel suo genere», spiega Hunt. «Un articolo del “Journal des débats” lo chiamò Belzebù... Una dimensione segreta della città era stata svelata». Le catacombe divennero una fra le principali attrazioni: «Signori in cilindro e signore in abito lungo andavano a passeggio negli ossari in comitive, ammirando al lume di candela pareti di tibie impilate... Nel 1862, quando Gustave Flaubert e i fratelli de Goncourt le visitarono furono molto irritati dalla presenza della folla... Durante l’Expo del 1867, la città organizzò tour ufficiali nelle fognature e accorsero visitatori da tutto il mondo». 
Hunt gira in sacco a pelo in gruppetti di amici e amiche, scende in miniere d’oro come la Homestake, aperta dal magnate George Hearst (padre dell’editore) nel 1877, un tempo la più produttiva dell’emisfero occidentale (chiusa nel 2001), profonda 2.500 metri, con 600 chilometri (600!) di gallerie. Le sue esplorazioni non sono gite fini a sé stesse, ma occasioni per conoscere e riflettere. E fare incontri affascinanti. Con ex minatori riciclati esploratori, native americane esperte antropologhe o biologi che studiano creature batteriche trovate in cave abbandonate, in grado di vivere in condizioni impossibili: oscurità assoluta, temperature roventi, intensa pressione atmosferica, scarsità d’ossigeno e di nutrimento. Microbi che la Nasa ora esamina come possibili affini della vita su Marte. Si è scoperto che alcuni di questi «intraterrestri» vivono là sotto, esclusi dal mondo di superficie, da milioni di anni.
C’è anche spazio per qualche teoria audace. Hunt mostra di non crederci molto, ma intanto la butta lì. Come quella di un ricercatore della Cornell University, Thomas Gold, che nel 1999 ha cominciato a sostenere che la vita sul nostro pianeta fosse addirittura iniziata sottoterra, quattro milioni di anni fa, quando la superficie era inondata di lava e radiazioni e bombardata dagli asteroidi: allora la subsuperficie sarebbe stata più stabile. In profondità, un gruppo di microbi arcaici si sarebbe fatto coraggio e piano piano sarebbe migrato verso l’alto fino a emergere alla luce. Mentre la scienza prosegue la ricerca, il nostro esploratore fa notare come gli antropologi conoscano bene i miti dell’emersione: «Nell’antichità erano presenti storie di creazioni sotterranea in cui gli antenati primordiali hanno una gestazione nel ventre della Terra. Miti che troviamo dall’Australia aborigena alle isole Andamane, nell’Oceano Indiano, ma erano prevalenti nelle antiche Americhe». 
Hunt è andato anche a esplorarle, parecchie di queste caverne, dalle Black Hills delle tribù Lakota (quelli di Alce Nero e Cavallo Pazzo) al Weld Range, nell’entroterra desertico australiano. E vi ha anche trovato spiriti – come i Mondong, in Australia o El Tío, nelle miniere boliviane di Potosí —, presenze e credenze quasi ancestrali. Che riportano, in fondo, alla ragione ultima per cui gli umani hanno sempre avuto paura del sottosuolo: il fatto che ci ricordi la sepoltura. La fine della vita. Mentre questo suo perdersi nelle viscere della Terra (e noi con lui) significa, come dice lo stesso Hunt citando la scrittrice Rebecca Solnit, «cominciare a trovare la strada, o trovare un’altra strada».