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 2019  novembre 03 Domenica calendario

Cos’è l’equocapitalismo

«La crescita delle diseguaglianze ha prodotto un’erosione della fiducia nelle istituzioni che è un problema di tutti, non solo della politica. È anche il problema di ogni impresa. Il profitto non basta: nelle nostre agende aziendali deve esserci spazio anche per istruzione, sanità, etica, privacy, futuro del lavoro. Il mondo sta cambiando e le turbolenze sono appena iniziate. Per avere successo, anche sul mercato, la domanda alla quale rispondere non è più “stiamo andando bene?” (are we doing well?) ma “stiamo facendo del bene?” (are we doing good?)».
In realtà la prima domanda che potrebbe porsi il lettore di Trailblazer («Apripista»), il saggio appena pubblicato negli Stati Uniti da Marc Benioff, fondatore e capo di Salesforce, è quanto siano credibili affermazioni di questo tipo fatte da un imprenditore il cui patrimonio personale è valutato circa sei miliardi di dollari. Di slogan buonisti, di promesse di «rendere il mondo migliore» è tappezzata la storia delle imprese della Silicon Valley a cominciare dal celebre Don’t be evil di Google. Ma poi i giganti tecnologici le diseguaglianze hanno contribuito ad allargarle, anziché ridurle.

Benioff, 55 anni, è un caso a parte nel rapporto con il mondo digitale e anche col denaro. «Credo nella tecnologia e nella capacità di abbattere le barriere – dice – ma non credo sia una panacea, né che l’obiettivo di fare del bene vada riservato al no-profit, agli attivisti, ai filantropi».
La sua distanza dalla comunità tecnologica californiana, della quale – pure – fa parte, è emersa con tutta evidenza l’anno scorso. Prima a gennaio quando al Forum di Davos sostenne che il governo deve scendere in campo per regolare il settore visto che le sue industrie non sono state trasparenti e hanno creato squilibri pericolosi per la democrazia anziché costruire quel rapporto di fiducia con gli utenti che dovrebbe essere patrimonio essenziale di ogni azienda. Benioff venne considerato un traditore dei Ceo suoi pari che erano lì ad ascoltarlo, mentre accusava i gruppi di big tech di comportarsi in modo perverso come in passato quelli dello zucchero, del tabacco e dei credit default swap, all’origine della crisi finanziaria del 2008.
Nel novembre scorso Benioff è entrato di nuovo in conflitto con le aziende digitali sostenendo, contro tutti gli altri, il referendum della città di San Francisco per l’introduzione di una tassa sulle imprese dell’alta tecnologia da devolvere al finanziamento di iniziative a favore dei senzatetto. Pura demagogia, tuonarono gli imprenditori, guidati da Jack Dorsey di Twitter. Benioff andò fino in fondo: il referendum, Proposition C, fu approvato col 60 per cento dei voti e Salesforce, che è l’azienda più grande di San Francisco e anche il primo datore di lavoro della città, è, oggi, il maggior contribuente della nuova tassa.
Insomma, Benioff è sicuramente molto ricco, ma è anche un imprenditore che non va avanti a slogan nè che scopre oggi la necessità di riformare un capitalismo concentrato solo sul profitto e sull’interesse degli azionisti: fin dalla sua nascita, vent’anni fa, Salesforce (azienda di software per le imprese oggi leader nella gestione del rapporto con i clienti e in alcune aree del cloud computing), ha inserito il give back (restituire alla società) nella sua cultura aziendale con la formula 1-1-1: «Destinare ogni anno l’1% dei profitti, l’1% della produzione e l’1% del tempo dei dipendenti ad attività caritatevoli», spiega l’imprenditore che già 15 anni fa propose un cambiamento di rotta a favore di un maggiore impegno sociale in un saggio intitolato Compassionate Capitalism.
La differenza, tra il 2004 e oggi, è che Benioff si è ormai convinto che, con l’aumento delle diseguaglianze e delle tensioni sociali, «fare del bene» non può più essere solo un obiettivo filantropico lasciato alla buona volontà discrezionale delle industrie: è un ingrediente essenziale per la tenuta di un sistema democratico di mercato e per lo stesso successo delle imprese. Qui, insomma, non si tratta di misurare il grado di altruismo di Benioff, ma di capire se la sua convinzione che la natura del business sta cambiando con i mercati che premiano anche in Borsa chi fa del bene ed è socialmente responsabile, è l’illusione di un imprenditore visionario o una realtà che si sta materializzando.
Benioff, ovviamente, sostiene che Salesforce è la dimostrazione della fondatezza delle sue teorie: pur destinando molte risorse alla filantropia, a investimenti sociali e al benessere dei dipendenti, valore e dimensioni dell’azienda sono cresciuti a velocità siderale: dalla sua quotazione in Borsa, 15 anni fa, ad oggi il valore di Salesforce è passato da 1 a 135 miliardi di dollari.

C’è fermento nel partito democratico Usa (la piattaforma socio-economica di Bernie Sanders, considerata radicale quattro anni fa, ora è condivisa da molti candidati), mentre di come correggere un capitalismo che produce squilibri estremi si discute ovunque: dalla Columbia University dove di recente si sono confrontati due Nobel, Edmund Phelps e Joe Stiglitz, al Piie di Washington dove due settimane fa si sono tenuti gi «stati generali delle diseguaglianze» animati da un gran numero di economisti del calibro di Larry Summers e Dani Rodrik, Olivier Blanchard e Greg Mankiw.
Ma è anche il comportamento delle imprese che comincia a cambiare: da Walmart, la maggiore catena di supermercati d’America, che smette di vendere munizioni per fucili semiautomatici, anche a costo di mettersi contro la potente lobby delle armi, alle banche che investono in progetti di economia sostenibile. A fare sensazione è soprattutto il cambiamento di rotta della Business Roundtable: l’associazione dei capi delle grandi corporation, da sempre liberista e concentrata sul profitto, due mesi fa ha dichiarato che produrre utili per gli azionisti (gli shareholder) non basta più: è ormai necessario beneficiare anche gli stakeholder: i clienti, i dipendenti, gli investitori e tutta la comunità nella quale un’azienda vive. Non tutti credono che alle parole seguiranno i fatti ma il clima sta cambiando. E il provocatore visionario e solitario Benioff non è più così solo.