Fabio Pavesi per www.affaritaliani.it, 2 novembre 2019
IL PEUGEOT DEVE ANCORA VENIRE - CARLOS TAVARES PUÒ ANCHE DIRE CHE NON CI SARANNO CHIUSURE, MA SARÀ DIFFICILE TROVARE 3,5 MILIARDI SENZA TOCCARE GLI IMPIANTI. E QUELLI ITALIANI SONO MACCHINE BRUCIA-SOLDI IMPRODUTTIVE, MENTRE METÀ DEL FATTURATO VIENE DA USA E CANADA - NEPPURE MARCHIONNE È MAI RIUSCITO A PRODURRE UTILI NEL BEL PAESE. E DOPO LA FUSIONE LICENZIARE SARÀ INEVITABILE… -
Quel salto in avanti era nelle cose. Difficile sopravvivere in un mercato competitivo e in un business ad altà intensità di capitale come quello dell’auto se non hai le dimensioni per stare tra i primi 3-4 gruppi a livello gloabale. La fusione di Fca con Peugeot è un’operazione perfetta sotto questo punto di vista.
Ma nel giubilo collettivo che avvolge le nozze, ci si dimentica che ogni grande matrimonio tra industrie globali avrà ripercussioni su costi, occupazione e dislocazione degli impianti. I doppioni verranno tagliati, gli stabilimenti improduttivi saranno chiusi o riconvertiti.
Ecco perché sorprende la dichiarazione a caldo del nuovo dominus del gruppo quel Carlos Tavares ex Ceo di Psa e da domani nuovo ad di Peugeot-Fca, considerato da tutti come uno dei migliori manager dell’auto. Tavares spiega che la fusione svilupperà sinergie di costo per 3,5 miliardi, “senza chiusure di stabilimenti”.
Una dichiarazione ardita fatta probabilmente per rassicurare il Governo italiano e i sindacati. Ma reggerà alla prova dei fatti? E soprattutto come fai a realizzare risparmi per oltre 3,5 miliardi senza toccare gli impianti? Difficile a farsi. In realtà Tavares sa benissimo quali sono le aree dove Fca guadagna e quelle dove la vecchia Fiat arranca in modo strutturale. E difficile che l’uomo non metta mano alle situazioni di crisi. Per Psa il colpo grosso è l’accesso al mercato Usa.
L’area Nafta (Usa, Canada) è la vera punta di diamante di Fca. I successi vengono dalle Jeep e dai pick up venduti in terra d’America. Lo dicono i numeri del bilancio. Oltre metà dei 110 miliardi di fatturato di Fca vengono da Oltre Atlantico. L’Europa allargata (Emea) fa solo un terzo del fatturato del Continente Nordamericano. Non solo ma la redditività operativa è ben diversa. Usa e Canada hanno un margine sul fatturato al 10%, mentre l’area Emea stenta da sempre superata anche dall’area asiatica che ha marginalità operativa oltre il 6%. I gioiellini di casa FiatChrysler quanto a valore sono i marchi Jeep e Ram.
Le aree di debolezza sono antiche e ben note. Neppure lo scomparso Marchionne, il risanatore per eccellenza non è mai riuscito a produrre utili in quella che una volta era la vecchia Fiat auto. La Fca Italy che ne ha preso l’eredità resta un’incompiuta nel curriculum di Marchionne. La società di fatto raggruppa le attività industriali in Italia, Europa, Turchia e Sudamerica ed è un pozzo senza fondo di perdite. Da sempre. Nel 2018 ha chiuso i conti con ben 1,25 miliardi di perdite nette. Doppiate le perdite dell’anno prima quando il rosso a fine bilancio si fermò a 670 milioni di euro.
Ma la striscia negativa è lunga. Fca Italy ha perso 1,1 miliardi nel 2016 e altri 1,6 miliardi nel 2015. La vecchia Fiat auto che vuol dire gli impianti in Italia, ma anche in Serbia, Polonia, Germania e le partecipazioni in Brasile lavora costantemente in perdita. I costi superano inevitabilmente i ricavi almeno dal 2014 in poi. E neanche i pur forti incrementi di fatturato, passato da 19 miliardi a oltre 27 miliardi dal 2014 al 2018, riescono a colmare il gap con i costi. A livello di margine industriale netto, Fca Italy ha cumulato perdite per 5,7 miliardi negli ultimi 5 anni. Il problema come si vede non è congiunturale, ma strutturale e il nuovo colosso dell’auto che nasce dalla fusione dovrà trovare qualche soluzione.
Ed è proprio in generale la vecchia Europa a zavorrare da sempre Fca. La marginalità nel Vecchio Continente è in rosso. Nel terzo trimestre del 2019 l’Ebit margin ha approfondito la caduta. Oggi la marginalità è negativa per l’1,2% sui ricavi. Così come l’ex marchio profittevole, la Maserati ha vissuto una stagione orribile. Il marchio del lusso è andato in perdita per 50 milioni di euro con un risultato negativo di oltre il 10% sulle vendite. Si confermano invece le aree di profittabilità crescente.
Il Nord America vanta una marginalità operativa salita oltre il 10%, mentre ha corso anche l’area del Sudamerica con un margine sui ricavi passato dal 4,2% del 2018 al 6,9% dei primi nove mesi del 2019. Sono le due aree dove Fca vince e consente al gruppo di limitare il peso delle aree in difficoltà portando l’utile operativo totale del gruppo a oltre il 7% dei ricavi complessivi. Di fatto grazie ai mercati Usa e latino americano Fca può oggi contare su una redditività operativa vicina a Peugeot che sfiora l’8%. Ma Peugeot è da sempre più apprezzata dal mercato. Ha multipli più elevati di Fca e la sua profittabilità ha carattere più strutturale, mentre Fca ha raggiunto livelli di redditività in linea con la casa francese solo negli ultimi anni e grazie al contributo determinante del mercato Usa.
Ecco perché è difficile che nel nuovo gruppo che nasce sotto influenza transalpina non si vadano a toccare i nervi scoperti della gestione della vecchia Fiat. L’Italia, le sue fabbriche che lavorano in perdita e i suoi marchi come Alfa Romeo, Lancia e Fiat che non brillano quanto a performance economiche-finanziarie. Con gli Agnelli, pur con il baricentro spostato con forza sul mercato americano e con la sede legale da tempo trasmigrata in Olanda, l’attenzione politica-simbolica all’Italia e alla sua industria dell’auto era iscritta nel Dna della vecchia Fiat. Ora con i francesi a condividere le sorti del nuovo gruppo mondiale, l’Italia e le sue fabbriche in perdita non saranno più un tabù insormontabile. Con buona pace delle rassicurazioni lanciate ieri dal nuovo deus ex machina del neonato colosso globale dell’auto.