La Stampa, 2 novembre 2019
Auto, il nodo cruciale di Dongfeng Motor
Non c’è costruttore che possa ambire a un respiro globale senza una chiave d’accesso alla Cina. Che è il primo mercato mondiale dell’auto e oggi anche il più avanzato hub tecnologico sul fronte dell’elettrificazione. Nel caso dell’annunciata alleanza franco-italo-americana, il polo strategico nel continente asiatico si chiama Dongfeng Motor, industria statale cinese e seconda casa automobilistica della Repubblica Popolare. Dongfeng entrò nell’azionariato di Psa con 800 milioni di euro nel 2014, quando venne varato l’aumento di capitale di 3 miliardi. Detiene ora il 12,2% di quota (come la famiglia Peugeot e il governo francese attraverso Bpifrance Partecipations). La domanda imprescindibile, nel testare le potenzialità del futuro "gruppone", è quale ruolo l’alleato cinese intenda realmente assumere.
Dongfeng è stata costantemente aggiornata sull’avanzamento delle trattative, fino all’annuncio del matrimonio. ma a differenza degli altri soci non ha sottoscritto l’accordo triennale di lock-up (cioè di non vendere le proprie azioni) che è un pilastro della fusione. A dimostrazione del proprio interesse, tuttavia, ha firmato un patto di standstill (niente pratiche legali per il recupero del credito) valido per 7 anni dal closing con Exor, i Peugeot e lo Stato francese. I cinesi, cui spetterà il 6% del futuro gruppo, non hanno intenzione di defilarsi, pur cautelandosi.
Dongfeng venne fondata nel 1969 a Wuhan, provincia dello Hubei, per volere nientemeno che di Mao Zedong. Il cui piano di insediamento di industrie strategiche nel Paese (Movimento del Terzo Fronte) contemplava la Fabbrica Numero Due per produrre veicoli pesanti. C’era la guerra in Vietnam, Mao voleva proteggersi anche da eventuali attacchi dell’Unione Sovietica, preservando l’efficienza dei centri strategici cinesi. Con la successiva leadership di Deng Xiaoping e diverse aperture di mercato, la Numero Due divenne Dongfeng, che significa Vento dell’Est. E cominciò a produrre anche auto. L’inizio di una nuova storia. La presidenza del gruppo cinese è passata, nel 2015, dal misterioso dirigente statale Xu Ping (dirottato alla Faw, altro colosso pubblico dell’auto) a Zhu Yanfeng, ex vice-segretario del Partito Comunista nella provincia di Jilin e a sua volta ex dirigente della Faw.
Quanto sia importante oggi Dongfeng nelle strategie future di Fca e Psa è facilmente intuibile. Per la collocazione geopolitica e anche per le potenzialità economiche del gruppo tuttora governato da Pechino. Potente ma non così "invasivo" da preoccupare l’anima americana di Fca (tradotto: una presenza per ora marginale che non può irritare Trump). Dongfeng Group, con i suoi 160 mila dipendenti, ha una radicata esperienza di joint-venture industriali con case straniere. Oltre a quella con Psa, sono attive le alleanze con Nissan, Honda, Kia e Renault che si traducono in una produzione annua di 4,3 milioni di veicoli, di cui - secondo i dati della China Association of Automobile Manifactures - soltanto 1,4 milioni di concezione cinese, il resto frutto delle joint-venture. I numeri che riguardano Psa in Cina finora non sono trionfali: 260 mila vetture vendute l’anno scorso, una previsione di 280 mila quest’anno, con la prospettiva di salire a 400 mila nel 2025 per conquistare una quota di mercato dell’1,4%. Ma le prospettive adesso potrebbero molto cambiare e i numeri drasticamente crescere con l’accoppiata Psa-Fca, il peso del marchio Jeep e dei modelli di lusso targati Alfa e Maserati.
Dongfeng era evidentemente nel destino di Fca: due anni fa, infatti, fu al centro di rumors insistenti che la indicavano come pretendente autorevole per l’acquisizione del gruppo italo-americano, ipotesi che però non trovò conferme. E la sua voglia di occidente si è recentemente manifestata anche in exploit sportivi: nel 2018 proprio l’equipaggio cinese del Dongfeng Race Team ha vinto la prestigiosa regata Volvo Ocean Race.