La Stampa, 2 novembre 2019
Intervista a Guido Alpa
«Giuseppe Conte vuole sempre mantenere il ruolo di super partes nelle coalizioni di cui è stato premier, ma prima o poi sarà costretto a schierarsi». Guido Alpa, uno dei più importanti avvocati italiani, l’ex presidente del Consiglio nazionale forense, ordinario di diritto civile alla Sapienza, è considerato il "padre" professionale del premier. Una delle persone, da sempre, a lui più vicine. Anche oggi, i due continuano periodicamente a sentirsi. «Lui - racconta Alpa - è molto impegnato. Però rivelo una cosa: mi chiama la domenica, per chiedermi come sto, come mi vanno le cose. Non gli do alcun consiglio, non ne ha bisogno». La politica è un argomento di conversazione? «No, non ne parliamo mai. Anche perché la pensiamo diversamente, io sono sempre stato socialista e morirò socialista». Però oggi Conte guida un esecutivo dalle tinte diverse dal passato: fuori la Lega, dentro il Pd. Alpa ne è convinto: «Ad un certo punto - ribadisce - si dovrà schierare».
Sin dall’inizio della carriera politica del premier le attenzioni dei detrattori si sono concentrate sui rapporti con Alpa. Anche nelle ultime settimane, con la vicenda del parere legale per l’affare Retelit, che s’intreccia con le attività del finanziere Raffaele Mincione e con la vicenda Carige. Ma in precedenza con le polemiche sul curriculum di Conte, sul suo concorso universitario, per arrivare ai rapporti dello stesso Alpa con la Link, l’Università messa in piedi dall’ex ministro democristiano Enzo Scotti, salita agli onori della cronaca mondiale per la scomparsa di Joseph Mifsud, uomo chiave del Russiagate.
Qual è la sua impressione sulle polemiche che coinvolgono il suo nome?
«La più semplice è che vogliano colpire me, per colpire il premier. E’ penoso vedere come siano costruite ad arte fake news sulla base di una tecnica semplicistica, l’associazione casuale di immagini e parole. Questa tecnica è stata condannata dalla corte di Cassazione, già dal 1984».
Partiamo dai rapporti con Mincione. Prima della questione Carige vi conoscevate già?
«Fino a poche settimane precedenti l’assemblea di Carige (il 20 settembre, ndr) non conoscevo Mincione, non l’avevo mai incontrato né avevo avuto modo di interessarmi alle sue attività».
Come andò il vostro incontro?
«Mi chiese assistenza professionale e io lo aiutai, sia in giudizio, sia nel corso dell’assemblea. Dopo quella vicenda non l’ho più incontrato. È del tutto improprio quindi accostare il mio nome a Mincione nella vicenda degli acquisti immobiliari a Londra da parte del Vaticano».
Conte ha detto di non aver mai avuto contatti diretti con i vertici del fondo di Mincione nella vicenda Retelit. Qualcuno ha sospettato che la pratica possa avergliela girata lei.
«Non è andata così. Io ho conosciuto Mincione due settimane prima dell’assemblea di Carige. L’incarico a Conte è precedente. Poi c’è un altro elemento».
Quale?
«Il segreto professionale. Anche con un amico, con il collega vicino di stanza. Sono stato presidente del Consiglio nazionale forense che si occupa di deontologia, è assurdo pensare che l’abbia potuta violare».
C’è poi la vicenda della Link, l’università del Russiagate.
«Ho accolto l’invito della Link a far parte di un comitato scientifico per la pubblicazione di una collana editoriale, ma l’associazione tra Link e Russiagate ha fatto sì che i giornali insinuassero che ero coinvolto in questa vicenda! Non c’entro nulla e non ne so nulla».
Ha mai conosciuto o almeno incontrato Mifsud?
«No, non l’ho mai visto»
Anche sul concorso universitario si sono concentrati gli oppositori del premier...
«La commissione era stata estratta a sorte: era composta da me e da altri quattro membri. Data la mia giovane età non ne ero il presidente. Conte ebbe l’unanimità dei giudizi positivi. Anche se non lo avessi votato, avrebbe avuto quattro voti e gli altri candidati ne ebbero zero: Conte avrebbe vinto egualmente. Tutte le illazioni sul concorso sono infondate».
Siete mai stati soci, lei e il professor Conte? Ci sono le foto delle targhe sul portone che riportano entrambi i vostri nomi.
«Chiarisco che io ero associato fino a qualche anno fa con un valoroso avvocato genovese (Tommaso Galletto e infatti lo studio professionale era conosciuto come Alpa-Galletto, ndr). Quindi non potevo essere membro di un’altra associazione; basta leggere la disciplina della professione forense per rendersene conto. Avevo ed ho studio a Genova e ho anche una sede romana. In quella sede eravamo semplici coinquilini».
Nei giorni scorsi un giornale ha pubblicato la parcella per il parere legale di Giuseppe Conte in merito alla tentata scalata di Mincione alla società Retelit. L’indirizzo è lo stesso di quello del suo studio.
«Nulla di strano. Ripeto: eravamo coinquilini, ma due attività separate».
Tutte queste vicende hanno acceso una particolare attenzione nei suoi confronti...
«Sono stato perseguitato dalla troupe di una trasmissione televisiva, mi hanno aspettato alla fine della lezione per aggredirmi. Sono venuti all’aeroporto di Fiumicino alle 23.30, una sera in cui ero di ritorno da Parigi dopo aver cambiato volo. Chi li avesse informati del mio arrivo quel giorno e a quell’ora non l’ho mai accertato, è uno dei tanti misteri del nostro Paese».
Quale effetto le fa constatare come Conte da "taroccatore di curriculum" sia diventato uno dei personaggi centrali della politica?
«Il suo curriculum è del 1994. Vi si dice che il Premier ha completato i suoi studi alla New York University. Il giornalista del NY Times ha equivocato il significato: ha ritenuto che il premier si volesse arrogare il merito di aver insegnato o seguito i corsi di quella prestigiosa Università. Non è così: ha svolto ricerche, perché come ho fatto io negli anni Settanta, è solo frequentando le Università straniere che si possono leggere libri, riviste, fare fotocopie, di cui non sono dotate le biblioteche italiane».