la Repubblica, 2 novembre 2019
I 40 mila che abbiamo rispedito nei lager libici
Fleur ce l’ha fatta al quarto tentativo. Era fuggita due anni fa dalla Costa d’Avorio con tutta la famiglia ma è arrivata solo lei. Gli altri sono tutti morti, al terzo tentativo, in un naufragio al quale solo lei è sopravvissuta. «Per tre volte sono stata riportata indietro dalla Guardia costiera libica, per tre volte sono stata riconsegnata ai trafficanti, per quattro volte ho pagato. La terza volta partivano due gommoni, i miei familiari sono saliti sul primo, io sono stata fermata e fatta salire sul secondo. Sono ancora traumatizzata perché il primo è affondato e sono morti tutti. Dopo sei mesi per disperazione ho riprovato e sono stata salvata dalla Ocean Viking».
Non è un record, purtroppo, quello di Fleur. Da quando, a febbraio 2017, è entrato in vigore il Memorandum Italia-Libia sono più di 38 mila i migranti riportati indietro dalla Guardia costiera libica. Non sono affatto eventi sporadici quelli che eufemisticamente vengono definiti soccorsi portati dalle vecchie motovedette italiane regalate ai libici. I dati forniti da Unhcr e Oim e rielaborati dall’Ispi dicono che uno su due tra i migranti che hanno tentato la traversata è stato intercettato in mare e nuovamente rinchiuso nei centri di detenzione.
Ecco dunque cosa hanno prodotto due anni di applicazione del Memorandum Italia-Libia: quasi 40 mila persone rimandate all’inferno e 2.600 morti in mare. Con qualche lieve ma già apprezzabile differenza tra i due governi Conte. Con Salvini al Viminale la percentuale dei catturati dai libici era al 55 per cento, con Lamorgese è scesa al 44 mentre è inversamente aumentata la percentuale di chi è riuscito ad arrivare in Europa: il 55 per cento con il Conte bis a fronte del 38 per cento dell’era Salvini. In discesa la percentuale di rischio della traversata: il 7 per cento di mortalità è precipitato fino al 2 per cento. Le storie sono tante, tutte esemplari. Aruna, salvata da Open Arms, è sopravvissuta ad un naufragio che ha fatto più di cento vittime. «Ho perso mio fratello, io sono stata salvata da una motovedetta libica e sono stata rinchiusa di nuovo in cella. Nove mesi di violenze. In questo centro una volta al mese arrivavano le persone dell’Oim, solo in quei giorni ci davano un pasto». Anche Amadou, 25 anni, ha pagato tre volte il viaggio prima di riuscire ad approdare in Europa sulla Ocean Viking: «L’ultima volta mi hanno chiuso in un centro dove eravamo 4-500 in sei celle, non avevamo neanche lo spazio per dormire, niente acqua né cibo regolari». Latchange invece è stato venduto come schiavo: «Sono rimasto due anni in Libia, ogni volta che partivo la Guardia costiera arrivava subito. Sono stato venduto, ho lavorato duramente senza essere pagato, il poco cibo che mi davano mi ha fatto ammalare. È meglio morire. Per questo chiunque di noi quando vede arrivare una motovedetta libica è disposto a buttarsi in acqua e annegare».
Questo è il prezzo che l’Italia ha scelto di pagare pur di frenare i flussi migratori i cui numeri assoluti raccontano che il Memorandum, con Minniti al Viminale, ha portato ad una diminuzione degli sbarchi di 143 mila unità mentre con Salvini sono arrivati 32 mila migranti in meno. Adesso si stima che nei centri di detenzione ufficiali, quelli in cui hanno accesso Unhcr, Oim e Medici senza frontiere, siano detenuti poco meno di 5 mila migranti, nulla rispetto alle decine di migliaia che sono sepolti vivi nei lager sotto il controllo dei trafficanti di uomini. E l’unico centro gestito da ministero dell’Interno libico e Unhcr a Tripoli, stazione di transito per i rifugiati più vulnerabili evacuati in attesa di corridoi umanitari, è in overboking con 850 persone e altre centinaia, improvvisamente liberate da Abu Salim, che premono dietro i cancelli chiedendo protezione con il terrore di essere nuovamente catturati dai trafficanti.