Libero, 1 novembre 2019
I grandi dell’Opera scomodi da ricordare
Avevo promesso che avrei dedicato un articolo al capolavoro di Gaspare Spontini Fernand Cortez ou la conquête du Mexique, rappresentato nel mese di ottobre al Maggio Musicale Fiorentino in versione integrale: una vera e importante rarità. Ma colgo l’occasione per un più ampio discorso storico. Nella prima metà dell’Ottocento, e anche oltre (basta pensare al Don Carlos di Verdi, 1867, e all’Esclarmonde di Massenet, 1889), il genere di teatro musicale considerato più importante era il Grand-Opéra, che si rappresentava all’Opéra di Parigi. Era in cinque atti, con regole fisse, dei Balletti al III atto, ampi movimenti di massa, e di solito argomenti ispirati alla storia, più o meno romanzata, e con preferenza per temi di carattere esotico; i quali consentivano amplissimo spazio alla scenografia, tra gl’ingredienti principali dello spettacolo. I re del Grand-Opéra sono considerati importanti compositori come Auber, Halévy, e soprattutto Meyerbeer a partire dal 1830): del quale una vasta letteratura, soprattutto anglosassone, sostiene fondamentale l’influenza su Verdi. Tutta questa letteratura attribuisce a La muette de Portici di Daniel Auber (1828) la primazia dell’ambito del Grand-Opéra.
L’ERRORE
Si tratta di una prospettiva storica errata. Il Grand-Opéra è cosa italiana: incomincia con Spontini e finisce con Verdi – appendici a parte -, che di Grands-Opéras ne ha scritti quattro, a non considerare la versione francese dell’Otello, composta a 81 anni nel 1894, con dei Balletti che sono una pagina sinfonica straordinaria. Se pensiamo che Rossini concluse la sua carriera di autore teatrale col Guillaume Tell nel 1829 e riflettiamo sul valore di questa musica, ch’è un immenso Poema Sinfonico sulla Natura sovente all’altezza di Beethoven, ci domandiamo come si faccia, con tutto il rispetto, a parlare di Halévy e Meyerbeer. Eppure la prima esecuzione postuma de L’Africaine di Meyerbeer riuscì a impedire il successo del Macbeth di Verdi, uno dei capolavori del Maestro, del 1865. I francesi temevano la colonizzazione italiana e la vittima principale ne fu il povero Donizetti, che pure al Grand-Opéra aveva dedicato capolavori. Ho già narrato di come Spontini, marchigiano di studî napoletani, avesse il coraggio di trasferirsi a Parigi; come già aveva fatto il fiorentino Cherubini e farà Rossini – a tacere dei minori. La Vestale, del 1807, che insieme con l’Olimpie, del 1819, è il vero modello dell’Opera neoclassica, fu un trionfo. Il tema dell’antica Roma e di un console (si tenga conto della carica) il quale per amore sta per rovesciare la Repubblica, non intervenisse Venere a salvare tutto, piacque assai a Napoleone. Due anni dopo Spontini concepì un progetto assai più ardito: dedicare un’Opera (egli non sapeva che si trattava del primo Grand-Opéra della storia!) a Cortez e alla conquista del Messico. Se guardiamo alla storia, la vicenda è assai fosca, e basta leggere il Prescott, un classico della storiografia ottocentesca. Cortez era un bandito e un assassino, al quale si debbono stragi inaudite che gli Spagnuoli continuarono per tutto il Sudamerica. Ma occorre ricordare che il Messico era una stranissima nazione: gli Aztechi erano un popolo barbaro che forse avevano desunto da qualche popolazione da lui distrutta le nozioni di astronomia e di altra civiltà. Ma praticavano quotidianamente decine di sacrifici umani in onore del loro dio: senza di che, credevano, l’universo avrebbe perso il suo equilibrio.
STATUARIO E GRANDIOSO
Non è dunque difficile costruire una storia che raffigura Cortez portatore della civiltà e del cristianesimo presso una nazione sanguinaria; e stringente con essa un vincolo, sposando la principessa Amazily, salvata, appunto, al sacrificio. I sacerdoti sono caratterizzati con musica terribilmente cupa: e debbono identificarsi con quelli cattolici incitanti il popolo alla guerriglia contro l’invasore; l’esotismo si riconosce in ispecie nei Balletti, ove Spontini adopera scale musicali esotiche e non i normali modi maggiore-minore. Tutto è statuario e grandioso: la scena sulla quale l’Autore (in qualità di regista) faceva più conto è questa: al rifiuto di continuare a combattere i soldati di Cortez si volgono verso il mare e scorgono la flotta che il condottiero ha fatto ridurre in fiamme. Fino a quel momento nessun musicista aveva scritto qualcosa di così imponente: anche perché (ciò si vede già dalla Vestale) Spontini considera suo primo modello Beethoven. E qui vale il caso di ricordare che quando si trasferì a Berlino l’italiano inventore della moderna direzione d’orchestra fu il primo a dirigere la Grande Messa Solenne di Bach e la Missa solemnis di Beethoven (fuori Vienna); nonché il primo a ripristinare l’edizione originaria del Don Giovanni di Mozart. Ma guardate la vicenda del Cortez. La Spagna fu la più grande spina nel fianco di Napoleone. Per mettere sul trono il fratello Giuseppe, ebbe una di quelle vittorie di Pirro che minarono la struttura stessa del suo esercito sgretolandogli da prima che avesse inizio la campagna di Russia. Spontini aveva personificato Cortez in Napoleone quale simbolo di vittoria e civiltà; ma l’Imperatore, sol che si parlasse di Spagna, aveva il sangue alla testa. Così il capolavoro venne tolto dal cartellone dopo poche recite.
LA RISCRITTURA
Spontini non si perse d’animo. Giunta la Restaurazione, riscrisse l’Opera in un modo tutto suo. Non aggiunse molte pagine nuove. Invertì l’ordine degli atti, rimescolò le pagine come si fa con un mazzo di carte. La seconda versione, auspice Luigi XVIII, trionfò. Venne diretta anche da Rossini al San Carlo nel 1820. La storia del Cortez finisce qui, ma non quella dei casi determinati dalle vittorie e sconfitte di Napoleone. Nel 1813 Cherubini scrisse un altro capolavoro, Les Abencerages, che tratta di una vicenda nella Spagna moresca. È una delle più belle Opere francesi del secolo. Napoleone vi assistette con Maria Luigia reduce dalla campagna di Russia: e non solo: la mente gli era ricondotta all’odiata Spagna. Si può capire come il sangue gli salisse di nuovo, e di più, alla testa. Anche gli Abencerages furono proibiti. E adesso qualcosa che pochi conoscono. Il manoscritto autografo – unico esemplare della partitura – si trova alla biblioteca di Stato di Berlino. Com’è possibile? Perché un sol direttore, in tutta Europa, volle dirigere nel suo teatro il capolavoro. Era Spontini. Ho raccontato una storia di grande musica, ma anche di grandi uomini, avvezzi a non piegare il capo di fronte al comando e alla fortuna. Sono gli Italiani come dovrebbero essere; e di questa razza ce ne sono stati moltissimi: ma oggi è scomodo ricordarli. www.paoloisotta.it