Libero, 1 novembre 2019
Elogio di John Elkann
In pochi avrebbero scommesso qualcosa su John Elkann in quei drammatici giorni di fine maggio del 2004. Con il cadavere di Umberto ancora caldo, Giuseppe Morchio, amministratore delegato Fiat da un anno, aveva accarezzato il sogno di diventare il capo assoluto e forse un giorno, il riferimento azionario del gruppo. Della dinastia Agnelli erano rimasti solo orfani e vedove. Un tumore aveva portato via Giovannino, il figlio di Umberto, l’erede designato. Era rimasto John cui nonno Gianni aveva ceduto il controllo della cassaforte di famiglia e quindi lo scettro. Aveva solo 28 anni, come avrebbe potuto reggere il peso di un’azienda al fallimento? In lui non credeva nemmeno la madre Margherita che, di fronte a quello che sembrava un disastro ormai inevitabile aveva chiesto di essere liquidata. Salvava se stessa e i cinque figli nati dal matrimonio con Serge de Palhen. I tre ragazzi frutto delle nozze con Alain Elkann (Ginevra, Lapo e John) si arrangiassero e non importa se avevano smesso, anche pubblicamente, di chiamarla mamma. addio mamma margherita In poche ore Gianluigi Gabetti (gran ciambellano di casa scomparso di recente a 94 anni) Franzo Grande Stevens (l’avvocato dell’Avvocato) con la sponda di Susanna allestiscono una soluzione. Morchio viene licenziato e il primo giugno viene presentata la nuova squadra: Montezemolo presidente, John vice presidente, Sergio Marchionne (un perfetto sconosciuto nel mondo dell’auto) amministratore delegato. Il titolo Fiat vale circa 1,6 euro e potrebbe scendere ancora. Di John in quei mesi si parla poco. La star, ovviamente è Montezemolo mentre Marchionne comincia a far parlare di sé. Il ragazzo si occupa di finanza e di giornali con alterne fortune. Soprattutto la carta stampata non si dimostra un successo. Tenta di prendere il comando del Corriere della Sera, di cui è maggior azionista ma viene respinto. Non riesce nemmeno a ottenere la nomina di un direttore di suo gradimento dopo essere riuscito, con moltissima fatica, a liberarsi di Ferruccio de Bortoli di cui non apprezza l’autonomia. Non va bene nemmeno con La Stampa, il giornale di famiglia. Sono in tanti a sorridere di questo ragazzo che dove non c’è la mano di Marchionne non riesce a combinare proprio niente di buono. E invece il ragazzo sta crescendo. Decide di abbandonare il mondo dei giornali italiani: vende il quotidiano torinese al gruppo De Benedetti e regala le azioni del Corriere della Sera ai soci Fiat. Diventa il primo azionista dell’Economist che ha gran blasone e, soprattutto, guadagna. Cambia il perimetro e il nome della Ifi, la vecchia cassaforte di famiglia quotata in Borsa. La fa diventare Exor con un tocco di piccola civetteria. È il nome della holding cui faceva capo la cantina francese che produce i vini più famosi (e cari) del mondo. Chateau Margeaux. Vende il vino e si tiene il nome. Accompagna Marchionne in tutta l’operazione di creazione di valore. Il risultato è che oggi John è almeno di dieci volte più ricco. Quando prende la vicepresidenza di Fiat il valore di Borsa era di 5,5 miliardi. Oggi è pari a 60 miliardi mettendo insieme i vari pezzi che nel frattempo sono stati quotati: Fca, Ferrari e Cnh (che sta per fare un altro spezzatino separando Iveco). cassaforte di famiglia Il cammino inverso rispetto a nonno Gianni: aveva ereditato un gioiello dalla mani di Vittorio Valletta e quando l’ha lasciato è quasi al fallimento. Ma è nell’ultimo anno che comincia il gran valzer con la Borsa. Senza più Marchionne che comunque teneva fermo il profilo industriale John lascia danzare la finanza. In dodici mesi sugli azionisti piovono dividendi per 8,5 miliardi. Una pioggia d’oro dopo dieci anni di astinenza. Due miliardi arrivano come cedola straordinaria legata alla cessione per 5,8 miliardi della Magneti Marelli. Un altro miliardo è rappresentato dalla cedola ordinaria. Infine i 5,5 miliardi che saranno distribuiti come corollario della vendita a Peugeot. Di questa pioggia d’oro il maggior beneficiario è Exor che quando tutto sarà finito avrà portato a casa più di 2,4 miliardi. Ma gli azionisti di minoranza non hanno certo da lamentarsi. Da quando c’è John il titolo è salito del mille%. Vuol dire che 1000 euro investiti nel 2004 sono diventati 10mila. Senza contare il regalo aggiuntivo per le prossime nozze con i francesi.