la Repubblica, 1 novembre 2019
Dalai Lama, le reincarnazioni sono finite
Gli studenti giunti a sentirlo in India dal Bhutan, dove si preservano le antiche forme di buddhismo tibetano, sono rimasti attoniti quando il XIV Dalai Lama ha per la prima volta esplicitamente demolito il mito secolare delle “Reincarnazioni”. In un discorso di due ore ha detto che l’intero sistema tibetano è basato su un retaggio feudale dominato da «reincarnati» – o tulku – che non sono sempre all’altezza, e di alcuni dei quali si «vergogna». Una svolta, la sua, dal sapore politico più che religioso.
Per il repulisti storico, il Dalai Lama intende cominciare dal suo lignaggio di re-monaco e da una tradizione che vede la sua figura sul trono dal 1642, così da togliere ai nuovi padroni del Tibet ogni pretesto per sostituirlo d’ufficio. Già tre anni fa al New York Times, il Dalai, quasi col gergo degli ex nemici maoisti, disse: «Tutte le istituzioni religiose, tra cui il Dalai Lama, si sono sviluppate in circostanze feudali, corrotte da sistemi gerarchici, e hanno cominciato a discriminare tra uomini e donne; sono giunti a compromessi culturali con leggi simili alla Sharia e al sistema delle caste. Pertanto (con me), l’istituzione del Dalai Lama, con orgoglio, volontariamente, si è conclusa».
Aveva del resto già detto le stesse cose nel suo pre-testamento risalente al 2011 quando compiva 76 anni: «Man mano che l’era degenerata pogredisce – scrisse –... sempre più reincarnazioni di alti lama vengono riconosciute, alcuni per motivi politici» e «con mezzi inappropriati e discutibili», come la legge del governo per «certificare i Buddha viventi».
Il leader spirituale dei tibetani è soltanto il più celebre tra i circa 500 “tulku” di una delle 4 scuole del buddhismo tibetano dove tale riconoscimento si concede a uomini e (rare) donne capaci di scegliere ora, luogo e futuri meritevoli genitori grazie al potere di preghiere e atti meritori. Ma dopo avere ricordato agli studenti che il titolo di reincarnato non è mai esistito nell’India del Buddha Sakyamuni, il Dalai ha attribuito anche alla sua ignoranza dei modelli democratici occidentali l’errore di credere da giovane nel sistema della casta di tulku.
«Le istituzioni devono essere di proprietà della gente, non di un individuo, come la mia stessa istituzione, l’ufficio del Dalai Lama», che dovrebbe «finire, o almeno cambiare con i tempi che cambiano». Nel pre-Testamento spirituale dedica nove pagine fitte al giorno in cui non ci sarà più. Manca solo l’ultima parte, quando (oggi ancora 84enne) raggiungerà l’ottimista traguardo che si è prefissato. «All’età di circa novant’anni – ha scritto – consulterò gli alti lama delle tradizioni buddiste tibetane, la nostra gente e altre persone che seguono il buddismo tibetano (non esclusi stranieri, ndr ) e rivaluterò se l’istituzione del Dalai Lama debba continuare o meno».
Il Dalai chiarisce che la decisione risolutiva per ogni candidato al suo posto sarà comunque presa col parere di una divinità femminile di nome Palden Lhamo. Di fronte all’immagine sacra o thangka ereditata dal V predecessore, si celebrerà la cerimonia della divinazione con diverse palline di farina fatte roteate dal medium per estrarre la giusta predizione, spesso sotto forma criptica. Soltanto così il risultato avrebbe valore.
Ma il Partito comunista ha già annunciato che utilizzerà un metodo diverso, l’estrazione di bastonicini di legno da una pretenziosa urna d’oro già usata per nominare 24 anni fa il Panchen Lama, figura numero 2 del buddhismo tibetano e oggi capo degli Affari religiosi del partito in Tibet. Pochi sanno che a estrarre il bastoncino col nome del XV potrebbero essere i sacerdoti seguaci di un “essere” nemico dei Dalai da 9 generazioni, un “Protettore” non vincolato al “sacro giuramento”, così controverso che il leader tibetano lo ha definito un “demone”, forse lo spirito vendicativo di un ex alto sacerdote che pretendeva per sé secoli addietro il titolo di Quinto Dalai lama.
Tra le soluzioni prospettate nel suo Testamento, il Dalai Lama parla della possibilità di proiettare una sua stessa “emanazione” nella mente di un lama “vivente”, un saggio o un giovane selezionato. Non esclude teoricamente nemmeno l’ipotesi sulla quale ha pesantemente scherzato lui stesso, ovvero rinascere donna e con un “corpo attraente”. Ma più seria sembra la terza opzione proposta: un’elezione come quelle della Curia che elegge il Papa, dando per scontato l’intervento dello Spirito Santo.