la Repubblica, 1 novembre 2019
Christie’s a processo per il diamante di Angiolillo
Da un salotto di Piazza di Spagna alla reggia dell’emiro del Qatar, passando dalla cassaforte di una banca svizzera e dai saloni newyorchesi della casa d’aste Christie’s. È il lungo e misterioso viaggio del Princie, quinto diamante più grande del mondo, il brillocco rosa-fenicottero da 34,65 carati valutato 40 milioni di dollari, un tempo appartenuto alla socialite Maria Girani. La sua vendita all’asta nel 2013 è da tempo al centro di un’aspra contesa legale. E sarà ora oggetto di un nuovo processo che si apre la settimana prossima a New York.
L’anello col famoso prezioso, proveniente dalle miniere indiane di Golconda e noto fin dal 1700, fu donato nel 1960 da Renato Angiolillo, il senatore liberale fondatore del quotidiano Il Tempo, alla seconda moglie Maria, appena sposata. Sì, quella regina dei salotti dal passato burrascoso (raccontato nel libro La Signora dei Segreti) che per anni aprì il suo “Villino Giulia” affacciato su Trinità dei Monti, al gotha della politica da Andreotti a Berlusconi. Quando nel 1972 Angiolillo morì, a Donna Maria rimase l’impressionante collezione di perle, zaffiri e diamanti accumulata dal marito: ma solo in usufrutto, “custode affidataria”. Alla sua morte, avvenuta nel 2009, tutto doveva passare dunque agli eredi di Renato: il figlio Amedeo e quattro nipoti. Che invece non trovarono traccia di numerosi gioielli, per un valore di almeno 100 milioni di euro. Era stato Marco Bianchi Milella, figlio di primo letto di Maria, a portarli via. Finito sotto accusa per appropriazione indebita, se la cavò nel 2017, perché il caso era intanto finito in prescrizione. Solo una minima parte del tesoro fu recuperato, a Montecarlo. Il Princie era stato venduto subito, nel 2010, in Svizzera, per 19 milioni di dollari. Ed era passato di mano tre volte, prima di approdare da Christie’s, dove nel 2013 fu battuto per 39,3 milioni di dollari, acquistato dallo sceicco Jassim Bin Abdulaziz al-Thani per sua moglie Al-Mayassa, considerata una delle figure più influenti del mondo dell’arte mondiale grazie ai suoi acquisti di capolavori a prezzi spropositati, da Gaugain a Cézanne. Ebbene, da tempo gli eredi Angiolillo cercano di dimostrare che la casa d’aste agì in malafede, consapevole che quella pietra “scottava” e sulla proprietà c’era un’indagine in corso. Christie’s si è già difesa in tribunale, sostenendo di aver speso 120 mila dollari per investigare la provenienza del prezioso, e aver accettato di procedere con la vendita perché quella pietra proveniva dalla Svizzera: dove vige la regola della “buona fede” sull’acquisto. Ora però i giudici della Corte Suprema di New York sembrano pensarla in un altro modo: a maggio hanno stabilito che la legge da applicare è quella americana, anche per «preservare l’integrità delle transazioni all’interno dei nostri confini e impedire che lo Stato diventi un mercato di beni rubati». Il processo si riapre, racconta il New York Times. La saga continua. Se pure gli eredi dovessero spuntarla, verrebbero tutt’al più risarciti. Il brillocco, c’è da giurarci, continuerà a fare bella vista di sé nei salotti del Qatar.