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 2019  novembre 01 Venerdì calendario

Fiat, tutte le fusioni riuscite e mancate

In un giorno imprecisato di un anno imprecisato in uno dei momenti più duri della Guerra fredda, Vittorio Valletta, allora presidente della Fiat, si recò in Svizzera. E fin qui, niente di strano. Partì da un aeroporto svizzero a bordo di un aereo privato e fin qui, ancora, niente di strano. Durante il tragitto, il piano di volo, però, fu cambiato: la nuova destinazione era nientemeno che Mosca.
Valletta tornò in Italia con un accordo per costruire «chiavi in mano», in una località che poi si chiamò Togliatti, un grande stabilimento per l’industria sovietica Vaz. Così ebbe inizio un’attività vorticosa del colosso automobilistico italiano che l’ha portato a progettare, comprare, costruire, gestire – in proprio o con partner – stabilimenti e imprese di mezzi di trasporto di ogni tipo in Europa, America e Asia. E ora porta la Fca a fondersi con Psa.
Alla base di questo grande interesse operativo per l’estero vi erano, e tuttora vi sono, principalmente due convinzioni: quella di aver saputo sviluppare da anni al proprio interno tecnologie buone o ottime e, parallelamente, quella di non poter contare sul solo mercato nazionale – e neppure sul solo mercato europeo – per continuare a crescere al meglio nel lungo periodo. 
Vi era anche un terzo fattore per l’interesse estero della Fiat: l’attrazione culturale che il gruppo dirigente della Fiat provava, in particolare, per anglosassoni e francesi. Per loro poteva valere il detto inglese secondo cui «the world is my oyster», ossia «il mondo è la mia ostrica», il mio campo di azione è il mondo. Questo sentirsi cittadini del pianeta aveva fatto sì che già nel 1908, ossia nove anni dopo la fondazione, la Fiat aprisse una fabbrica nello Stato di New York, e vi costruisse per qualche anno una vettura chiamata Fiat 1 Fiacre, usata principalmente come taxi di un certo lusso. Del resto, l’avvocato Agnelli si trovava a suo agio tanto nella sua casa di Villar Perosa, la cittadina della Val Chisone di cui fu sindaco per 35 anni, quanto dal suo amico Henry Kissinger a New York e a Washington.
Senza queste premesse, non si comprendono bene i rapporti della Fiat, e successivamente della Fca, con i grandi dell’auto. Già nel 1968 il gruppo Fiat acquisì una partecipazione di minoranza, che secondo i progetti doveva raggiungere il 49%, nella francese Citroen, controllata dalla famiglia Michelin che aveva ottimi rapporti di amicizia con gli Agnelli, oltre che di fornitura col gruppo Fiat. 
Gli Agnelli e i Michelin avevano visto troppo lontano e l’«ostrica» non era ancora pronta. Certo, il mercato europeo dell’auto stava diventando davvero europeo, ma troppo spesso, per i politici, i produttori dovevano rimanere nazionali. In Francia era presidente il generale Charles De Gaulle, strenuo difensore della «francesità». E dopo quattro anni tormentati gli italiani si ritirarono. 
Poi arrivarono gli anni difficili della crisi petrolifera e la Citroen venne rilevata dal gruppo Peugeot e fusa nel 1974 in quello che oggi si chiama Groupe Psa. Nel 1978 Psa acquistò Chrysler Europe, la cui casa madre è diventata, insieme a Fiat, la colonna del gruppo Fca: quasi un balletto con scambi di partner, non infrequente nell’industria mondiale dell’auto. 
In questo balletto, mentre Peugeot veniva convinta ad acquistare Citroen, Fiat acquistò Lancia nel 1969 dal gruppo Italcementi, e soprattutto Alfa Romeo nel 1986, uno storico e pregiato marchio finito nel gruppo Iri nel 1933, che aveva molta difficoltà a pensare a un futuro indipendente in un settore nel quale erano richiesti sempre più capitali e sul quale sarebbero soffiati di lì a poco i primi venti della globalizzazione. 
Questa portò Fiat a sviluppare fortemente la sua attività in vari Paesi, come Brasile e Polonia, e a mantenere una presenza di vendita negli Stati Uniti. Proprio grazie a questa presenza, capitò che la prima auto acquistata da un giovane studente della Columbia University fosse una Fiat Ritmo (negli Stati Uniti ribattezzata «Strada»). Particolare apparentemente irrilevante, ma quello studente si chiamava Barack Obama.
Per Fiat stava per aprirsi il grande capitolo americano, caratterizzato da due crisi. La prima della stessa Fiat, nel capitale della quale, nell’anno 2000, entrò General Motors, con il 20% delle azioni e l’opzione in mano agli Agnelli per vendere il resto. Cinque anni dopo, in un mercato sempre più pesante, acquistare il resto della Fiat al prezzo pattuito sarebbe stato pesantissimo: Sergio Marchionne convinse General Motors a rinunciare all’acquisto pagando persino una penale. 
Nel frattempo la crisi raggiungeva gli Stati Uniti, Chrysler si trovò in difficoltà gravissime e il presidente Obama si ricordò della sua Fiat Strada. Con il consenso dei sindacati, il gruppo Agnelli divenne di gran lunga il primo azionista e nacque Fca. Ora Fca va a nozze con Psa e la storia dell’automobilismo mondiale acquisisce un nuovo personaggio.
Riusciranno queste nozze? Ci sono due buoni auspici: il primo è che da quasi 40 anni Fiat e Peugeot hanno due stabilimenti in comune, Sevel Nord in Francia e Sevel Sud in Abruzzo, dai quali escono veicoli industriali e commerciali leggeri dei due gruppi. Il secondo? Entrambi hanno una visione globale del mondo dei motori e non sono ancorati alle sole auto. Hanno dimostrato di essere versatili e la versatilità è importante per le sfide del futuro.