Corriere della Sera, 1 novembre 2019
Il discorso di Obama ai ragazzi indignati
«Vedo sui social che alcuni giovani pensano che i cambiamenti si ottengano giudicando gli altri il più duramente possibile. Se twitto che hai sbagliato nel fare o dire qualcosa, posso sentirmi soddisfatto di me stesso. Ma quest’idea di purezza ideologica, di non scendere mai al compromesso, di essere politicamente woke , dovreste dimenticarvela. Il mondo è un casino, complicato e ambiguo. Le persone che fanno cose buone hanno anche difetti».
Barack Obama ha parlato così mercoledì, al summit annuale della sua fondazione a Chicago. Woke è un verbo (passato di to wake), ma viene usato nello slang come un aggettivo con il significato di essere vigile nei confronti delle discriminazioni razziali e delle ingiustizie sociali. La woke culture è legata alla call-out culture — quel denunciare e giudicare di cui parla Obama – e anche alla cancel culture, il boicottaggio dei personaggi pubblici che commettono errori.
Obama dice di aver notato questi fenomeni nei college: la figlia Malia, 21 anni, studia a Harvard, ma se una figura cosi amata dalla sinistra come lui ha ritenuto necessario dire qualcosa è perché l’esigenza di essere costantemente woke — specialmente sui social – è diventata controproducente per i democratici. Nella corsa alla Casa Bianca, si parla in continuazione di quanto siano (o no) woke i candidati. La senatrice Kristen Gillibrand si è scusata per aver usato il termine «illegal alien», l’equivalente di extracomunitario clandestino; Elizabeth Warren per essersi definita nativa americana; Pete Buttigieg per aver pronunciato la frase «all lives matter» (tutte le vite contano) respinta dal movimento Black Lives Matter.
«Mi preoccupa – aveva commentato l’ex presidente già ad aprile – la rigidità nel dire che c’è un solo modo d’essere progressisti. Creiamo una sorta di “plotoni d’esecuzione circolari” per sparare agli alleati se si allontanano dalla purezza ideologica. Alla fine avremo un partito così piccolo che non potrà più vincere».
Già prima delle critiche di Obama, c’è stata una furiosa reazione conservatrice contro tutto ciò che è considerato woke e contro i social justice warriors (sjw, usato come un termine dispregiativo).
Greta viene attaccata perché avvolge nella plastica il panino o viaggia su una barca ecologica ma di lusso. I fanboys duri e puri del fumetto Watchmenstanno demolendo la serie tv appena uscita su Hbo (che inizia con il massacro dei neri nel 1921 a Tulsa) accusandola di insistere troppo sulla giustizia sociale rispetto all’originale, di essere – insomma – troppo woke, interpretando le battaglie per l’inclusione come un complotto contro i maschi bianchi. Lo stesso era successo con «L’ultimo Jedi», dove i fan più tradizionalisti avevano attaccato l’introduzione di personaggi femminili e delle minoranze e il «tradimento» del personaggio di Luke.
Obama naturalmente non critica chi crede nella giustizia sociale, ma insiste nel sostenere che accusare sistematicamente gli altri su Twitter non è attivismo, non porta nessun cambiamento – e a volte i compromessi sono necessari.