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 2019  ottobre 31 Giovedì calendario

Storia e fortuna della depilazione

Ogni anno, a novembre, la campagna di sensibilizzazione “Movember” (da moustache, che significa “baffi”, e november), dedicata alla salute maschile, invita milioni di uomini a farsi crescere i baffi. Quest’anno Billie, una marca di rasoi americana nota per le sue pubblicità in cui – diversamente da quello che succede di solito – sono mostrati peli femminili, ha diffuso uno spot che invita anche le donne a fare lo stesso, dato che anche alle donne crescono peli sopra il labbro superiore.

La depilazione femminile è ormai un’abitudine talmente diffusa che ci comportiamo come se i peli non siano mai esistiti e ci stupiamo quando qualcuno li mette in mostra. Non vale solo per le pubblicità: quando una donna si presenta in pubblico non depilata, il suo comportamento viene considerato un gesto trasgressivo anziché una scelta come tante. Nel 2013 Instagram cancellò l’account della fotografa Petra Collins perché aveva pubblicato una foto in cui si vedevano i suoi peli pubici, come se questi fossero in qualche modo offensivi per gli utenti. Tutto questo mentre i peli maschili vengono considerati da sempre una cosa normale, nel privato e nel pubblico. Allo stesso tempo però qualcosa sta cambiando e nella cultura popolare sta cominciando a spuntare una visione più positiva dei peli femminili, anche se molto timidamente. Ma è possibile cambiare ideali estetici così radicati?

Breve storia della depilazione
I primi tentativi di rimozione dei peli risalgono all’antichità, quando si pensava che l’assenza di peli fosse segno di un’elevata classe sociale. Ci sono tracce di questa pratica tra gli Egizi, gli antichi Greci e gli antichi Romani. Si usavano rasoi di rame, pinzette, pomici e pare che Cleopatra si depilasse con una pasta a base di zucchero, un metodo usato ancora oggi. Secoli dopo, nell’Età Elisabettiana, cioè nella seconda metà del Cinquecento, le donne inglesi ripresero l’abitudine di depilarsi, ma gli unici peli che si strappavano erano le sopracciglia e i capelli della fronte per dare l’impressione di avere un’attaccatura più alta. In generale però, prima del Novecento, l’abbigliamento femminile era molto coprente e quindi la questione della presenza dei peli sulle altre parti del corpo non si poneva nemmeno.

Quando nel 1915 King Camp Gillette, inventore del rasoio da barba usa e getta, mise in commercio Milady Décolleté, il primo rasoio da donna della storia, forse non immaginava che la depilazione del corpo sarebbe diventata una considerevole fonte di profitti per molti anni a venire. Sicuramente però ci sperava, perché le pubblicità sulle riviste femminili di quegli anni contribuirono significativamente a diffondere la convinzione che le donne fossero più belle glabre e che i peli fossero qualcosa per cui provare imbarazzo. Sulla rivista Harper’s Bazar, che fu una delle prime a ospitare queste campagne, nel 1939 comparve una pubblicità che diceva: «Vanno bene le calze alle caviglie in università, […] ma non su gambe pelose». E nel 1941: «Se noi fossimo il preside delle donne, imporremmo una tassa su ogni gamba pelosa del campus».

Le pubblicità di quegli anni dettarono le regole nel momento in cui le donne cominciavano ad avere vestiti meno coprenti e a mettere in mostra parti del corpo prima nascoste. Si cominciò con le ascelle, poi si passò alle gambe, finché, nel 1964 le donne americane tra i 15 e i 44 anni che si depilavano raggiunsero il 98 per cento. Da allora, la depilazione non è mai passata di moda. Neanche le posizioni molto dure dei movimenti femministi degli anni Sessanta e Settanta riuscirono a cambiare l’idea radicata che i peli femminili dovessero essere estirpati o nascosti. La depilazione era criticata dalle femministe perché costosa e spesso proibitiva per le donne meno abbienti, ma soprattutto in quanto manifestazione del pensiero patriarcale secondo cui le donne dovevano rimanere sempre delle bambine di cui prendersi cura, anziché adulte autonome e indipendenti.

Da allora, in un certo senso, le cose per i peli andarono peggiorando e si arrivò alla diffusione della cosiddetta “ceretta brasiliana”, che prevede la rimozione di tutti i peli dell’inguine esclusa una piccola striscia simbolica sul davanti. La brasiliana nacque nel mondo del porno: in riviste come Playboy e Pentahouse le donne avevano pochissimi peli pubici, a volte nessuno. Alla fine degli anni Ottanta la brasiliana cominciò a essere adottata da molte donne a New York e poi nel resto del mondo. Qualcuno ricorderà la puntata uscita nel 1999 della serie tv Sex and the city in cui la protagonista, Carrie Bradshaw, la prova per la prima volta. Oggi è molto praticata anche dagli uomini.

La depilazione oggi
Secondo un’indagine condotta dall’Università della California nel 2016, circa l’84 per cento delle donne negli Stati Uniti si depila. Tra le ragazze è sempre più diffusa la tendenza a sottoporsi a tecniche di depilazione “definitiva” (con le virgolette perché lo è fino a un certo punto) con la luce laser; in città come New York e Los Angeles alcuni genitori scelgono questo tipo di soluzioni per le figlie, anche di 8-12 anni, se molto a disagio con i propri peli. E anche tra i ragazzi la depilazione è sempre più diffusa. Allo stesso tempo però, sono comparsi alcuni segni di un’inversione di tendenza: si sente parlare sempre di più di donne che hanno deciso di non depilarsi e che hanno fatto di questa scelta una questione politica, riprendendo le istanze femministe da sempre critiche nei confronti dei canoni estetici che sviliscono la percezione che le donne hanno del proprio corpo al naturale.

Emily Ratajkowski, una delle modelle più famose al mondo, seguita sui social network da milioni di persone, ha recentemente pubblicato un articolo accompagnato da una foto di sé con un’ascella pelosa in mostra, in cui scrive che i peli sono per le donne un’altra opportunità (come anche l’abbigliamento, per cui lei stessa è stata spesso criticata) di esercitare la loro capacità di scegliere per sé stesse, sulla base di come si sentono. Non è la prima: dagli anni Novanta Julia Roberts, Madonna e poi Lady Gaga e molte altre donne del mondo dello spettacolo hanno sfruttato la propria visibilità in occasioni pubbliche per fare, più o meno esplicitamente, lo stesso discorso. 



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“Give women the opportunity to be whatever they want and as multifaceted as they can be.” I wrote an essay for @harpersbazaarus about the importance of women’s right to choose (how she dresses, what she posts, if she decides to shave or not) no matter what influences have shaped the way she presents herself. Do your thing ladies, whatever it might be. Link in bio.

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Forse però negli ultimi anni qualcosa sta davvero cambiando. In un articolo pubblicato a giugno sul Guardian, Rebecca Tuhus-Dubrow ha raccontato come ultimamente l’atteggiamento nei confronti dei peli sia molto meno conflittuale mettendo in luce alcune differenze rispetto a come il tema era stato affrontato negli anni Settanta. In questa nuova ottica, i peli non rappresentano più una parte del corpo semplicemente trascurabile, ma, secondo Tuhus-Dubrow, sono stati integrati in un nuovo ideale di bellezza. Se le femministe di cinquant’anni fa si facevano crescere i peli perché volevano liberarsi del peso della cura del corpo, oggi le donne che si fanno crescere i peli lo farebbero anche per sentirsi più belle, contribuendo a costruire un nuovo ideale estetico.

Negli ultimi anni alcune opere di fotografe e artiste così come alcune campagne pubblicitarie in cui i peli femminili sono visibili stanno pian piano contribuendo a costruire un’immagine femminile diversa. Tra queste, per quanto ancora fenomeni di nicchia, ci sono Ashley Armitage che ha lavorato alla campagna pubblicitaria dei rasoi Billie, e Ben Hopper, solo per citarne alcune. È ancora presto per dire se questo contribuirà a un reale cambiamento, ma se pensiamo a come negli ultimi anni la fotografia di moda ha convinto moltissime donne a tenere le sopracciglia incolte, forse anche per quanto riguarda altri peli corporei le cose potrebbero non essere destinate a rimanere sempre uguali.

Un mercato florido
Nonostante tutto però, la richiesta di prodotti depilatori continua a crescere: secondo un’indagine condotta dalla società di ricerche di mercato Transparency, il valore del mercato di questi prodotti crescerà del 9 per cento entro il 2022, arrivando a 1,35 miliardi di dollari. Il recente successo di alcune startup conferma questa tendenza. Per esempio Harry’s, un marchio che dal 2013 vende prodotti per la rasatura della barba, ha da poco lanciato negli Stati Uniti Flamingo, una linea di prodotti per la depilazione del corpo, per rispondere alla domanda di milioni di donne che già usavano i rasoi Harry’s da uomo.

Billie, che oltre a vedere rasoi offre anche un servizio di abbonamento con consegna delle lame a domicilio, esiste dal 2017 e ha ricevuto 25 milioni di investimenti dopo appena due anni di attività. La comunicazione di Billie ha avuto fortuna anche perché si è posizionata esplicitamente contro la cosiddetta pink tax di cui si è cominciato a parlare nel 2015, quando un’indagine ha dimostrato che negli Stati Uniti centinaia di prodotti cosmetici e di abbigliamento per uomini costavano in media il 7 per cento in meno di quelli analoghi per donne: i rasoi erano tra i prodotti più “tassati”. 



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