Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  ottobre 31 Giovedì calendario

Una vecchia intervista a Clint Eastwood

Anticipiamo una delle interviste a Clint Eastwood (del 1976) dalla raccolta “Fedele a me stesso”, in libreria con Minimum Fax dal 7 novembre.
Com’è approdato alla regia?
Ho cominciato a interessarmi alla macchina da presa mentre recitavo negli Uomini della prateria. Stavamo girando la scena di una mandria di bovini lanciati in una corsa impazzita: io cavalcavo in mezzo a tremila mucche, la polvere volava ovunque e l’effetto era davvero straordinario. Sono andato dal regista e gli ho detto: “Dammi una macchina da presa. Là in mezzo c’è roba stupenda che tu non riesci a vedere”. Se ne sono usciti con tutta una serie di problemi sindacali… Alla fine mi hanno dato un contentino: ho diretto alcuni trailer.
Perché la regia era così importante per lei?
È un percorso naturale se si è interessati ai film. Il concetto di film in generale per me era più importante della semplice recitazione.
Lei ha un’incredibile percezione del materiale, molto più oggettiva dei colleghi.
Intende nel saper scegliere i film da interpretare?
E quelli da dirigere.
Semplice istinto. Se ci stessi troppo a pensare, cambierei idea e farei qualcosa di sbagliato… Se ho un pregio, è la risolutezza: prendo in fretta tutte le decisioni, giuste o sbagliate che siano.
Ha un difetto principale come regista?
Ne ho a bizzeffe, probabilmente. A volte, quando recito in una scena, mi distacco troppo. È difficile passare dalla regia all’interpretazione.
Lei ha avuto un ruolo chiave nella messa in discussione del concetto di eroe: cosa pensa degli eroi?
Sono fra coloro che hanno portato gli eroi ancora più lontano dal classico personaggio sul cavallo bianco. In Per un pugno di dollari non si scopre chi è l’eroe fino a un quarto del film, e neanche allora se ne ha la certezza; si presume che sia il protagonista, ma solo perché tutti gli altri sono peggio di lui. Mi piacciono i nuovi eroi. Mi piace che abbiano punti di forza, lati deboli, mancanza di virtù…
E il senso dell’umorismo?
Esatto. E anche una punta di cinismo ogni tanto. Ai vecchi tempi, con le regole di ingaggio del Codice Hays, non potevi tirare fuori l’arma se non te ne puntavano una contro. Ma se un tizio cerca di uccidere il personaggio che interpreto, io gli sparo alle spalle.
Pauline Kael (critica cinematografica, ndr) le ha lanciato diverse frecciate antimachismo.
Be’, erano fuori luogo… Continua a parlare della necessità di mostrare il lato debole degli uomini, e quello va bene, c’è spazio per farlo. Ma perché allora non dovrebbe esserci spazio per personaggi immaginari di cui vorremmo avere l’astuzia? La Kael è ossessionata da qualcos’altro; lo si vede nei film che le piacciono. Si è costruita un’immagine di schiettezza, perciò deve trovarsi qualcosa su cui esercitarla. Ha scelto il machismo perché è la questione del momento. Negli anni Sessanta era il razzismo; chissà di cosa si tratterà in futuro. Non mi crea problemi, perché quello che dice lei non ha effetto sul successo dei miei film. Il texano dagli occhi di ghiaccio incasserà più di Nashville.
John Milius sosteneva che Pauline Kael fosse innamorata di lui perché non faceva altro che parlarne.
Oh, l’ho detto anch’io. Giusto per farmi due risate, ho chiamato uno psichiatra e gli ho letto l’articolo. Mi ha detto: “È ciò che si definisce ‘formazione reattiva’. La signora vuole farsi una scopata con lei”. E io ho risposto: “Non penso proprio”. E lui allora: “Be’, forse non è così, ma è comunque divertente pensarlo”.
Il machismo è sotto tiro in questo periodo.
Oh, sì. Il modo in cui Jack Nicholson interpreta il tizio del Nido del cuculo è estremamente macho… Fra un anno o due tutti ripenseranno a questa pellicola e diranno: “Dio, magari si facessero ancora film del genere”. Ovviamente io non sono come quei personaggi. Non sparo alla gente per strada.
Cosa rimane oggi all’eroe?
Non lo so. Prenda Josey (protagonista del Texano dagli occhi di ghiaccio, ndr): al contrario degli altri personaggi che vanno e vengono, trovando qualcosa di cui vendicarsi, nel suo caso si vede cosa lo rende così com’è, cosa lo fa crescere gradualmente. Ma non lo considero un eroe, bensì una persona. Diventa eroico, tanto eroico quanto l’ho voluto io.
Quando uscì Breezy, in una sede della Universal erano furiosi perché la casa madre non l’aveva promosso.
Lo sapevo, si capiva. È uno dei motivi per cui non faccio tutti i film con la Universal. Non hanno promosso neanche Brivido nella notte… I manager mi chiamavano e mi dicevano: “Maledizione, il film sta andando bene”. E io: “Perché non dovrebbe?”. Al che loro rispondevano: “Be’, non so, non è un western e tu non fai il poliziotto”.
Sondra Locke, che ha recitato nel Texano, ha raccontato: “Non avevo battute nel film e il direttore della fotografia ha risposto: ‘È molto meglio così. Se non parli, staranno tutti in trepidazione aspettando che parli!’”.
L’ho fatto anch’io per 14 film, poi alla fine ho aperto la bocca e ho rovinato tutto-