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 2019  ottobre 31 Giovedì calendario

Biografia di Luigi Marattin

Marattin è bello. Marattin è elegante. Marattin è televisivo. Marattin è grosso e un po’ aggressivo: alza la voce in tv e le mani in Parlamento. Ma per difendere le sue idee: un guerriero senza patria e senza spada. Marattin è in maggioranza, è un deputato semplice ma pare un leader dell’opposizione: sul governo giallorosa picchia sempre, forte e duro. Marattin è ovunque: lo vedi in giro per talk show per rimettere al posto loro sovranisti, euroscettici, grillini, ex compagni. Il termine “cialtrone” gli è caro più di ogni altra parola del vocabolario, gli serve a identificare una categoria umana: quelli che non sono Luigi Marattin. Allo stato attuale è il volto più telegenico e presentabile di quel che resta del renzismo. Secondo Renzi in persona “è il migliore, la punta di diamante di Italia Viva” e ha solo un difetto: “È juventino”. Difficile perdonarlo a chi è nato a Napoli 40 anni fa: Marattin aveva 5 anni quando Maradona sbarcava a Capodichino. Ma al Sud c’è rimasto poco: gli anni della scuola sono a Ferrara, la carriera da economista è all’Università di Bologna.
È proprio a Ferrara che fa politica nei Ds e nel Pd: il primo mandato è da consigliere comunale, il secondo da assessore al Bilancio. Non si può dire che sia sotto i riflettori della politica nazionale, ma è da lì che lo pesca Renzi nel 2014. Marattin fa parte del micidiale think tank di economisti che devono forgiare la Renzinomics, in squadra con Marco Fortis, Yoram Gutgeld e Tommaso Nannicini.
All’epoca – colpevolmente – la politica italiana non si era ancora accorta di lui. Si sapeva che fosse un giovane ferrarese più renziano di Renzi. L’unico quarto d’ora di notorietà se l’era conquistato il 2 novembre 2012 con un tweet non riuscitissimo. Quel giorno l’impulsivo Marattin aveva invitato Nichi Vendola – reo di aver associato Renzi alle sconfitte di Tony Blair – a “elargire prosaicamente il tuo orifizio anale in maniera totale e indiscriminata”. Un lord. Scattò l’inevitabile carosello di accuse di omofobia e richieste di dimissioni, soprattutto all’interno del Pd. Lo difese Renzi. Lo sconosciuto assessore di Ferrara rimase sotto traccia per un po’. Matteo non si era dimenticato di lui: quando prese il potere a Roma se lo portò con sé.
D’altra parte, il senso di riconoscenza che sfiora l’idolatria per Renzi è raccontato nell’epica orazione pronunciata da Marattin nell’ultima Leopolda: “Ci hanno raccontato che la politica per un giovane era ‘tu stai buono al posto tuo’, fin quando non è arrivato un ragazzo di Rignano che ci ha insegnato che c’era una generazione che non si rassegnava a questo e voleva prendersi il futuro senza chiedere il permesso a nessuno. Ce l’ha insegnato quel ragazzo di Rignano, ce lo continua a insegnare e ce lo insegnerà ancora per molto tempo”. È amore. Reciproco.
Marattin oggi è il sacerdote del renzismo in tv. Buca lo schermo: alto, occhi azzurri, lineamenti puliti, barba curata. Aveva rischiato di bruciarsi la carriera con un tweet – paradosso – ma piace molto ai talk show. Ha assimilato una legge fondamentale degli studi televisivi, che infatti grondano di mitomani (tra politici e giornalisti): la spocchia funziona alla grande. Non è tanto importante cosa si dice, ma è fondamentale essere assertivi. A ben vedere le sue idee economiche non sono di mostruosa originalità: europeismo e rigorismo, il recupero della lezione di Monti fino addirittura alla riscoperta della odiata (un tempo) legge Fornero. Marattin però parla bene: occhione blu puntato in camera o sull’avversario, discorsi limpidi, un sacco di numeri sparati a mitraglia per sostenere i suoi argomenti. È lapidario e a volte provocatorio con i suoi interlocutori: gli autori dei palinsesti tv ci vanno pazzi. Così Marattin avanza, puntata dopo puntata.
Se c’è qualcosa che lo frega è l’amore di sé: in politica dev’essere temperato dalla freddezza, altrimenti ci scappa la cazzata. E a Marattin scappano. Alla Camera è il primo che si butta nei mischioni quando c’è una rissa, e questo gli porta dei problemi. Come quella volta che si è avvicinato al collega grillino Zolezzi per omaggiarlo con un paio di buffetti poco simpatici, vagamente minacciosi.
Gli ex compagni non lo amano. Secondo Dario Franceschini “ha smania di visibilità”. Per Carlo Calenda è “campione del mondo di controcanto”. Per tutti è un po’ schiavo del suo personaggio, bello e bullo. I gossippari in Parlamento (e sulle riviste) gli attribuiscono un flirt con “miss” Italia Viva, Maria Elena Boschi. Marattin invece posa con la compagna Gloria su Instagram: “È grazie a lei – ha detto in un’intervista a Repubblica – che ho capito che non sempre bisogna urlare più forte per ottenere un effetto”.
Se non urla più (“In realtà sono un timido”) almeno twitta ancora. A ripetizione. Con la stessa supponenza televisiva. L’ultimo cavallo di battaglia è in linea con l’ossessione del renzismo per fake news e troll: una proposta di legge per rendere obbligatorio l’uso di un documento di identità per aprire un profilo sui social network. Semplice: basta violenti su Internet, schediamo tutti! Per sostenere la battaglia, Marattin ha lanciato una petizione sul sito di Italia Viva: molto ironicamente, non è richiesto un documento d’identità. La giornalista Gisella Ruccia – è solo un esempio – ha firmato a nome Maria Antonia Giuseppa Giovanna d’Asburgo-Lorena. Funziona: il metodo Marattin non ha fatto una piega.