31 ottobre 2019
Biografia di Carlos Tavares (quattro articoli)
Anais Ginori, la Repubblica
È nato con un volante tra le mani, dicono i suoi amici spiegando come sia capace di riconoscere a occhi chiusi un modello di macchina ascoltando solo il rumore del motore. Qualche settimana fa, Carlos Tavares, era nell’autodromo di Monza. Sempre di corsa, il presidente del gruppo Psa passa il poco tempo libero pilotando auto da corsa, una passione cominciata a quattordici anni sul circuito di Estoril, vicino a Lisbona, dov’è cresciuto in una famiglia in parte francese. Sua madre insegnava la lingua di Voltaire, il padre era un agente assicurativo. Dalle umili origini, Tavares si ritrova oggi a essere uno dei manager più pagati di Francia, con uno stipendio di 7,6 milioni di euro all’anno, creando qualche mal di pancia tra i tanti operai e i rappresentanti dello Stato nel capitale del costruttore.
Rifiutare qualcosa al nuovo "guru dell’automobile", definizione del Wall Street Journal , è complicato. Non certo i Peugeot che grazie a lui hanno salvato l’azienda di famiglia sull’orlo del fallimento. E neppure il governo francese che si è ben guardato da mettere i bastoni tra le ruote al progetto di fusione con Fiat-Chrysler che Tavares ha fortemente voluto e negoziato con il presidente di Fca, John Elkann. I due uomini hanno imparato a conoscersi negli ultimi mesi in vista di una possibile convivenza alla guida del nuovo colosso mondiale dell’automobile.
Per Tavares è l’ennesima rivincita sull’altro Carlos, quel Ghosn che lo ha espulso da Renault sei anni fa. L’ex potentissimo manager è finito nell’inferno giudiziario, in attesa di processo in Giappone mentre il delfino ripudiato è diventato un intoccabile. Si capisce che Tavares assapora la soddisfazione di riuscire forse a realizzare il progetto di unione con Fca che ha tentato invano Renault, il costruttore dov’è stato assunto a ventitré anni come ingegnere e in cui ha fatto tutta la sua carriera.
Profilo spigoloso, occhiali da vista, riceve i suoi interlocutori davanti a una scrivania completamente sgombra. I suoi collabortori sanno che detesta le scartoffie. «La burocrazia nuoce alla performance», dice spesso. Il portoghese ha uno stile quasi da travet, indossa sotto alla giacca camicie a maniche corte, anche d’inverno, uno dei suoi marchi come i famosi maglioni di Marchionne, il manager che ammirava. «Sarei pronto a fargli da vice», disse qualche anno fa, mettendo da parte il suo proverbiale egocentrismo.
Il destino ha voluto che Tavares possa prendere il posto di Marchionne, non solo come interfaccia con Elkann ma anche per la reputazione conquistata nel settore. Il franco- portoghese, sessantuno anni ben portati, si definisce uno "psicopatico del cambiamento". È di quelli che sposano le cause impossibili, vedi risanare un gruppo automobilistico che nel 2014 — anno in cui Tavares si insedia alla guida di Psa — perdeva 250 milioni di euro ogni mese. A colpi di piani di ristrutturazione, ha portato il gruppo francese a registrare l’anno scorso un utile netto a 2,83 miliardi di euro (+ 47%). Dietro ai spettacolari risultati c’è la scelta di diminuire volumi di produzione e lancio di nuovi modelli ma anche uno spietato taglio ai costi. «Quando parla con noi pensa solo ai profitti, non gli interessa nient’altro », racconta Jean-Louis Mercier, capo del sindacato Cgt, unica sigla apertamente schierata contro il progetto di fusione. Dopo aver acquistato Opel, due anni fa, Tavares è andato a muso duro contro i temibili sindacalisti tedeschi dell’Ig Metall, cancellando un terzo della forza lavoro. Ha svecchiato l’azienda centenaria della famiglia Peugeot, imponendo il trasloco dallo storico quartier generale, poco funzionale, vendendo ai cinesi il club di calcio che la dinastia aveva creato a Sochaux, la città- fabbrica all’estremo est della Francia.
Fissato con la linea, magrissimo, non beve, ha un organizzazione del lavoro quasi militare, giornate calibrate al secondo in cui sono bandite riunioni fiume. «Non voglio sentire parlare di problemi, s olo di soluzioni », ripete a chi lavora con lui. Risponde personalmente a tutte le mail ma non vuole essere disturbato la sera per preservare un minimo di vita privata con la moglie Armelle nella casa vicino alla foresta di Rambouillet dove custodisce la sua collezione di auto d’epoca che aggiusta e ripara personalmente. Il pilota Carlos, che ha fondato con alcuni amici la scuderia Clementeam, ha partecipato a più di cinquecento gare e non ha intenzione di smettere, anche se l’anno scorso ha avuto un piccolo incidente nell’autodromo di Le Mans. Durante un’assemblea di Psa un piccolo azionista l’ha interrogato sui rischi per il gruppo con un presidente che si diletta a sfrecciare a trecento chilometri all’ora nei weekend. «È qualcosa di fondamentale per il mio equilibrio» ha risposto lui. E non c’è stato modo di ribattere.
***
Leonardo Martinelli, La Stampa
Era il 14 agosto 2013. E Carlos Tavares osò dire in un’intervista all’agenzia Bloomberg: «A un certo momento uno ha l’energia e l’appetito per diventare il numero uno». Da due anni era il delfino di Carlos Ghosn, ai vertici di Renault. E lui non la prese bene per nulla. In due settimane lo fece fuori, cacciato. Da allora, Tavares, che oggi ha 61 anni, portoghese fiero e determinato (quella è l’unica nazionalità che ha mantenuto), di rivincite se n’è prese un bel po’. Nel 2014 raccolse le redini di un gruppo sull’orlo della bancarotta, Psa, riuscendo a realizzare un utile record di 2,83 miliardi di euro l’anno scorso. E che ancora oggi resiste alla crisi incombente nel settore. Non solo: perfino Opel, assorbita da Psa nel 2017, è ritornata con lui a macinare profitti (non lo faceva dal 2000). E ora Tavares potrebbe portare a termine questa nuova operazione, la fusione con Fiat-Chrysler. Il tutto alla faccia dell’altro Carlos, Ghosn, bloccato a Tokyo in attesa di giudizio.
Nell’ambiente Tavares è classificato come un «car guy». Si dice che «nelle sue vene non scorre sangue ma benzina». Insomma, in un settore che ha visto industriali avvocati (con la a maiuscola) e amministratori delegati laureati in filosofia o uno come Jean-Dominique Senard, attuale presidente di Renault, elegante aristocratico francese che sa parlare di vini e letteratura, Tavares ha avuto sempre quella passione lì, l’auto. Fin da ragazzino andava al circuito portoghese dell’Estoril a veder sfrecciare le Ferrari e le Lotus di Jacky Ickx ed Emerson Fittipaldi.
Non ha solo dimostrato di saperle vendere le macchine, ma lui ti prende un motore e lo smonta fino all’ultimo pezzetto, per poi rimontarlo alla perfezione (gli capita spesso con una delle vetture anni Settanta, che colleziona nella sua grande casa nelle Yvelines, che è già campagna ma alle porte di Parigi). Almeno un fine settimana su due, seguito dalla paziente Armelle (la moglie, da cui ha avuto tre figli), il presidente di Psa se ne va a correre in qualche competizione amatoriale. È scritto nero su bianco perfino nel suo contratto: vada come vada, lui si farà almeno 22 corse all’anno (e al Mans Classic 2018 se l’è vista brutta, coinvolto in un incidente tremendo).
Tavares è nato a Lisbona, in una famiglia del ceto medio portoghese. La mamma insegnava al liceo francese ed è lì che lui studiò, da borsista. Allievo brillante, dopo la maturità si trasferì in Francia, per entrare nel circuito competitivo delle «classi preparatorie», dove si seleziona la futura élite del Paese. Riuscì a passare uno dei concorsi più ambiti, quello dell’Ecole centrale, dove si laureò ingegnere. Nel 1981 entrò alla Renault, a 23 anni, dove lo misero a lavorare subito alla concezione della Megane 2. Rimarrà nel gruppo fino al 2013, a parte una parentesi nella controllata Nissan (dal 2005 al 2011) a gestire la filiale negli Usa. Diventò poi numero due di Ghosn, ma i due Carlos sono molto diversi. Se Ghosn amava il lusso ed era costantemente sovrappeso, Tavares si sveglia alle 5 di mattina per fare i pesi e restare in forma per le corse automobilistiche. È discreto (tiene i giornalisti a distanza). Si muove sui Tgv, l’alta velocità francese, in seconda classe e su aerei low cost quando, nei fine settimana, raggiunge i luoghi dove corre al volante di qualche auto, spesso d’epoca. Si veste di completi austeri, dove risalta il suo viso angoloso e gli occhiali dalla montatura leggera. Niente per farsi notare.
Simpatico? Ecco, questo nell’ambiente non lo dice praticamente nessuno. Duro, freddo, autoritario, ma anche efficace, a millimetrare le riunioni e a imporre pasti rapidi e frugali ai colleghi. Alcuni fedeli collaboratori, comunque, lo seguono da una ventina d’anni e non l’hanno mai abbandonato. Super Carlos si autodefinisce «psicopata del cambiamento». Sempre in movimento.
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È nato con un volante tra le mani, dicono i suoi amici spiegando come sia capace di riconoscere a occhi chiusi un modello di macchina ascoltando solo il rumore del motore. Qualche settimana fa, Carlos Tavares, era nell’autodromo di Monza. Sempre di corsa, il presidente del gruppo Psa passa il poco tempo libero pilotando auto da corsa, una passione cominciata a quattordici anni sul circuito di Estoril, vicino a Lisbona, dov’è cresciuto in una famiglia in parte francese. Sua madre insegnava la lingua di Voltaire, il padre era un agente assicurativo. Dalle umili origini, Tavares si ritrova oggi a essere uno dei manager più pagati di Francia, con uno stipendio di 7,6 milioni di euro all’anno, creando qualche mal di pancia tra i tanti operai e i rappresentanti dello Stato nel capitale del costruttore.
Rifiutare qualcosa al nuovo "guru dell’automobile", definizione del Wall Street Journal , è complicato. Non certo i Peugeot che grazie a lui hanno salvato l’azienda di famiglia sull’orlo del fallimento. E neppure il governo francese che si è ben guardato da mettere i bastoni tra le ruote al progetto di fusione con Fiat-Chrysler che Tavares ha fortemente voluto e negoziato con il presidente di Fca, John Elkann. I due uomini hanno imparato a conoscersi negli ultimi mesi in vista di una possibile convivenza alla guida del nuovo colosso mondiale dell’automobile.
Per Tavares è l’ennesima rivincita sull’altro Carlos, quel Ghosn che lo ha espulso da Renault sei anni fa. L’ex potentissimo manager è finito nell’inferno giudiziario, in attesa di processo in Giappone mentre il delfino ripudiato è diventato un intoccabile. Si capisce che Tavares assapora la soddisfazione di riuscire forse a realizzare il progetto di unione con Fca che ha tentato invano Renault, il costruttore dov’è stato assunto a ventitré anni come ingegnere e in cui ha fatto tutta la sua carriera.
Profilo spigoloso, occhiali da vista, riceve i suoi interlocutori davanti a una scrivania completamente sgombra. I suoi collabortori sanno che detesta le scartoffie. «La burocrazia nuoce alla performance», dice spesso. Il portoghese ha uno stile quasi da travet, indossa sotto alla giacca camicie a maniche corte, anche d’inverno, uno dei suoi marchi come i famosi maglioni di Marchionne, il manager che ammirava. «Sarei pronto a fargli da vice», disse qualche anno fa, mettendo da parte il suo proverbiale egocentrismo.
Il destino ha voluto che Tavares possa prendere il posto di Marchionne, non solo come interfaccia con Elkann ma anche per la reputazione conquistata nel settore. Il franco- portoghese, sessantuno anni ben portati, si definisce uno "psicopatico del cambiamento". È di quelli che sposano le cause impossibili, vedi risanare un gruppo automobilistico che nel 2014 — anno in cui Tavares si insedia alla guida di Psa — perdeva 250 milioni di euro ogni mese. A colpi di piani di ristrutturazione, ha portato il gruppo francese a registrare l’anno scorso un utile netto a 2,83 miliardi di euro (+ 47%). Dietro ai spettacolari risultati c’è la scelta di diminuire volumi di produzione e lancio di nuovi modelli ma anche uno spietato taglio ai costi. «Quando parla con noi pensa solo ai profitti, non gli interessa nient’altro », racconta Jean-Louis Mercier, capo del sindacato Cgt, unica sigla apertamente schierata contro il progetto di fusione. Dopo aver acquistato Opel, due anni fa, Tavares è andato a muso duro contro i temibili sindacalisti tedeschi dell’Ig Metall, cancellando un terzo della forza lavoro. Ha svecchiato l’azienda centenaria della famiglia Peugeot, imponendo il trasloco dallo storico quartier generale, poco funzionale, vendendo ai cinesi il club di calcio che la dinastia aveva creato a Sochaux, la città- fabbrica all’estremo est della Francia.
Fissato con la linea, magrissimo, non beve, ha un organizzazione del lavoro quasi militare, giornate calibrate al secondo in cui sono bandite riunioni fiume. «Non voglio sentire parlare di problemi, s olo di soluzioni », ripete a chi lavora con lui. Risponde personalmente a tutte le mail ma non vuole essere disturbato la sera per preservare un minimo di vita privata con la moglie Armelle nella casa vicino alla foresta di Rambouillet dove custodisce la sua collezione di auto d’epoca che aggiusta e ripara personalmente. Il pilota Carlos, che ha fondato con alcuni amici la scuderia Clementeam, ha partecipato a più di cinquecento gare e non ha intenzione di smettere, anche se l’anno scorso ha avuto un piccolo incidente nell’autodromo di Le Mans. Durante un’assemblea di Psa un piccolo azionista l’ha interrogato sui rischi per il gruppo con un presidente che si diletta a sfrecciare a trecento chilometri all’ora nei weekend. «È qualcosa di fondamentale per il mio equilibrio» ha risposto lui. E non c’è stato modo di ribattere.
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Leonardo Martinelli, La Stampa
Era il 14 agosto 2013. E Carlos Tavares osò dire in un’intervista all’agenzia Bloomberg: «A un certo momento uno ha l’energia e l’appetito per diventare il numero uno». Da due anni era il delfino di Carlos Ghosn, ai vertici di Renault. E lui non la prese bene per nulla. In due settimane lo fece fuori, cacciato. Da allora, Tavares, che oggi ha 61 anni, portoghese fiero e determinato (quella è l’unica nazionalità che ha mantenuto), di rivincite se n’è prese un bel po’. Nel 2014 raccolse le redini di un gruppo sull’orlo della bancarotta, Psa, riuscendo a realizzare un utile record di 2,83 miliardi di euro l’anno scorso. E che ancora oggi resiste alla crisi incombente nel settore. Non solo: perfino Opel, assorbita da Psa nel 2017, è ritornata con lui a macinare profitti (non lo faceva dal 2000). E ora Tavares potrebbe portare a termine questa nuova operazione, la fusione con Fiat-Chrysler. Il tutto alla faccia dell’altro Carlos, Ghosn, bloccato a Tokyo in attesa di giudizio.
Nell’ambiente Tavares è classificato come un «car guy». Si dice che «nelle sue vene non scorre sangue ma benzina». Insomma, in un settore che ha visto industriali avvocati (con la a maiuscola) e amministratori delegati laureati in filosofia o uno come Jean-Dominique Senard, attuale presidente di Renault, elegante aristocratico francese che sa parlare di vini e letteratura, Tavares ha avuto sempre quella passione lì, l’auto. Fin da ragazzino andava al circuito portoghese dell’Estoril a veder sfrecciare le Ferrari e le Lotus di Jacky Ickx ed Emerson Fittipaldi.
Non ha solo dimostrato di saperle vendere le macchine, ma lui ti prende un motore e lo smonta fino all’ultimo pezzetto, per poi rimontarlo alla perfezione (gli capita spesso con una delle vetture anni Settanta, che colleziona nella sua grande casa nelle Yvelines, che è già campagna ma alle porte di Parigi). Almeno un fine settimana su due, seguito dalla paziente Armelle (la moglie, da cui ha avuto tre figli), il presidente di Psa se ne va a correre in qualche competizione amatoriale. È scritto nero su bianco perfino nel suo contratto: vada come vada, lui si farà almeno 22 corse all’anno (e al Mans Classic 2018 se l’è vista brutta, coinvolto in un incidente tremendo).
Tavares è nato a Lisbona, in una famiglia del ceto medio portoghese. La mamma insegnava al liceo francese ed è lì che lui studiò, da borsista. Allievo brillante, dopo la maturità si trasferì in Francia, per entrare nel circuito competitivo delle «classi preparatorie», dove si seleziona la futura élite del Paese. Riuscì a passare uno dei concorsi più ambiti, quello dell’Ecole centrale, dove si laureò ingegnere. Nel 1981 entrò alla Renault, a 23 anni, dove lo misero a lavorare subito alla concezione della Megane 2. Rimarrà nel gruppo fino al 2013, a parte una parentesi nella controllata Nissan (dal 2005 al 2011) a gestire la filiale negli Usa. Diventò poi numero due di Ghosn, ma i due Carlos sono molto diversi. Se Ghosn amava il lusso ed era costantemente sovrappeso, Tavares si sveglia alle 5 di mattina per fare i pesi e restare in forma per le corse automobilistiche. È discreto (tiene i giornalisti a distanza). Si muove sui Tgv, l’alta velocità francese, in seconda classe e su aerei low cost quando, nei fine settimana, raggiunge i luoghi dove corre al volante di qualche auto, spesso d’epoca. Si veste di completi austeri, dove risalta il suo viso angoloso e gli occhiali dalla montatura leggera. Niente per farsi notare.
Simpatico? Ecco, questo nell’ambiente non lo dice praticamente nessuno. Duro, freddo, autoritario, ma anche efficace, a millimetrare le riunioni e a imporre pasti rapidi e frugali ai colleghi. Alcuni fedeli collaboratori, comunque, lo seguono da una ventina d’anni e non l’hanno mai abbandonato. Super Carlos si autodefinisce «psicopata del cambiamento». Sempre in movimento.
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Laura Galvagni, Il Sole 24 Ore
«Se l’operazione dovesse andare in porto per Fca sarebbe una rivoluzione positiva». È questo il pensiero che si raccoglie tra i banchieri d’affari che osservano interessati la recente evoluzione Fca-Psa. E il giudizio non è legato agli aspetti industriali della partita, piuttosto è riferito all’uomo destinato a prendere il timone del potenziale colosso dell’auto: Carlos Tavares.
Lui, si racconta, è un manager davvero globale che ama lavorare in team. Ma soprattutto è un capo azienda che a curriculum ha tutte le abilità indispensabili per affrontare al meglio la rivoluzione che il settore sta attraversando tra mille scossoni: è partito da zero, ha una lunga esperienza in tema di ristrutturazioni, Nissan prima e Psa poi, sa dialogare con gli azionisti e con il mercato. E soprattutto ha visione. Ha quella capacità di individuare punti di forza e di debolezza che rendono poi estremamente efficaci le soluzioni che adotta.
Ne è un esempio “Back to the race”, lo slogan con il quale nel 2016 ha voluto presentare il manifesto della resurrezione di Peugeot. Quando è entrato in azienda, dopo un lungo percorso in Renault, talmente lungo da lasciare interdetto il mercato per il repentino cambio di casacca, si è trovato a dover fare i conti con una compagnia sull’orlo del precipizio. Per Tavares è stata una vera sfida che alla fine il manager ha vinto. Prima ha riportato in utile la compagnia poi, nel 2017, ha acquistato Opel e Vauxhall dalla General Motors. A questo ha sommato una joint-venture finanziaria con Bnp-Paribas, capace di sostenere lo sviluppo dei marchi acquistati ma soprattutto di fare da volano alle vendite di vetture sui mercati internazionali. Insomma, ha fatto “tornare in pista” Psa. D’altra parte Tavares, 61 anni, sposato, tre figli, ama correre e adora le auto, tanto più se d’epoca. In Francia è arrivato che era ancora adolescente e dopo la laurea in ingegneria meccanica all’École Centrale Paris, era il 1981, è entrato alla corte di Renault per lavorare a due progetti simbolo del brand francese: la Clio e la Mégane. Una vetrina che gli ha dato l’opportunità di scalare velocemente il vertice aziendale e che lo ha fatto diventare vicepresidente strategia e sviluppo della Renault, ruolo che lo ha poi trasformato nel tassello chiave dell’alleanza con Nissan, dopo un duro lavoro di rilancio della casa giapponese. E infine nell’uomo di fiducia dell’allora presidente Carlos Ghosn. Panni che Tavares ha di fatto “abbandonato” quando neppure tanto velatamente ha dichiarato che gli sarebbe piaciuto molto diventare “il numero uno” della casa francese. Era fine 2013 e alla sua porta già bussava Psa.
Tavares è un duro con una fama di tagliatore di costi. Gli analisti qualche tempo fa lo hanno accomunato a Sergio Marchionne. Per il carisma, per la capacità e perché i due forse si sono sempre apprezzati e spesso hanno anche condiviso lo stesso pensiero. Qualche anno fa Tavares, come già Marchionne aveva fatto, ha messo in dubbio la portata della rivoluzione “elettrica” dell’auto, salvo poi adeguare velocemente l’azienda allo scenario mutato. E lo ha fatto con una tempistica da manuale: già da quest’anno ogni nuovo modello Psa ha la versione elettrica o ibrida. A Tavares piace correre e sembra lo sappia fare bene. E poi è nato a Lisbona. Un altro portoghese in casa Agnelli dopo la stella di Cr7.
«Se l’operazione dovesse andare in porto per Fca sarebbe una rivoluzione positiva». È questo il pensiero che si raccoglie tra i banchieri d’affari che osservano interessati la recente evoluzione Fca-Psa. E il giudizio non è legato agli aspetti industriali della partita, piuttosto è riferito all’uomo destinato a prendere il timone del potenziale colosso dell’auto: Carlos Tavares.
Lui, si racconta, è un manager davvero globale che ama lavorare in team. Ma soprattutto è un capo azienda che a curriculum ha tutte le abilità indispensabili per affrontare al meglio la rivoluzione che il settore sta attraversando tra mille scossoni: è partito da zero, ha una lunga esperienza in tema di ristrutturazioni, Nissan prima e Psa poi, sa dialogare con gli azionisti e con il mercato. E soprattutto ha visione. Ha quella capacità di individuare punti di forza e di debolezza che rendono poi estremamente efficaci le soluzioni che adotta.
Ne è un esempio “Back to the race”, lo slogan con il quale nel 2016 ha voluto presentare il manifesto della resurrezione di Peugeot. Quando è entrato in azienda, dopo un lungo percorso in Renault, talmente lungo da lasciare interdetto il mercato per il repentino cambio di casacca, si è trovato a dover fare i conti con una compagnia sull’orlo del precipizio. Per Tavares è stata una vera sfida che alla fine il manager ha vinto. Prima ha riportato in utile la compagnia poi, nel 2017, ha acquistato Opel e Vauxhall dalla General Motors. A questo ha sommato una joint-venture finanziaria con Bnp-Paribas, capace di sostenere lo sviluppo dei marchi acquistati ma soprattutto di fare da volano alle vendite di vetture sui mercati internazionali. Insomma, ha fatto “tornare in pista” Psa. D’altra parte Tavares, 61 anni, sposato, tre figli, ama correre e adora le auto, tanto più se d’epoca. In Francia è arrivato che era ancora adolescente e dopo la laurea in ingegneria meccanica all’École Centrale Paris, era il 1981, è entrato alla corte di Renault per lavorare a due progetti simbolo del brand francese: la Clio e la Mégane. Una vetrina che gli ha dato l’opportunità di scalare velocemente il vertice aziendale e che lo ha fatto diventare vicepresidente strategia e sviluppo della Renault, ruolo che lo ha poi trasformato nel tassello chiave dell’alleanza con Nissan, dopo un duro lavoro di rilancio della casa giapponese. E infine nell’uomo di fiducia dell’allora presidente Carlos Ghosn. Panni che Tavares ha di fatto “abbandonato” quando neppure tanto velatamente ha dichiarato che gli sarebbe piaciuto molto diventare “il numero uno” della casa francese. Era fine 2013 e alla sua porta già bussava Psa.
Tavares è un duro con una fama di tagliatore di costi. Gli analisti qualche tempo fa lo hanno accomunato a Sergio Marchionne. Per il carisma, per la capacità e perché i due forse si sono sempre apprezzati e spesso hanno anche condiviso lo stesso pensiero. Qualche anno fa Tavares, come già Marchionne aveva fatto, ha messo in dubbio la portata della rivoluzione “elettrica” dell’auto, salvo poi adeguare velocemente l’azienda allo scenario mutato. E lo ha fatto con una tempistica da manuale: già da quest’anno ogni nuovo modello Psa ha la versione elettrica o ibrida. A Tavares piace correre e sembra lo sappia fare bene. E poi è nato a Lisbona. Un altro portoghese in casa Agnelli dopo la stella di Cr7.
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Pierluigi Bonora, il Giornale
Sarà Carlos Tavares, se tutto andrà per il verso giusto, a guidare operativamente il nuovo gruppo Fca-Psa. Portoghese, 61 anni, sposato, di formazione francese (si è diplomato alla Grandes Ecoles) e una grande passione per le corse in auto (ogni fine settimana lo passa in autodromo e un mese fa è stato avvistato sfrecciare a Monza insierme a Richard Mille, il fondatore della maison svizzera di orologi), Tavares in 6 anni ha portato il gruppo Psa dall’orlo del fallimento a generare profitti record nella prima metà di quest’anno. E acquisita Opel nel 2017 da Gm, è riuscito nella missione, considerata fino a prima quasi impossibile, di far rivedere alla Casa tedesca i conti in attivo, traguardo raggiunto con due anni d’anticipo. Per certi aspetti, Tavares assomiglia all’ex ad di Fca, Sergio Marchionne, scomparso lo scorso anno: entrambi, infatti, hanno evitato il baratro ai rispettivi gruppi, portandoli negli anni a una nuova dimensione.
Come il collega italo-canadese, il presidente e ad di Groupe Psa è ritenuto un manager abile e duro, un grande spronatore pronto a tutto pur di raggiungere l’obiettivo («non si discutono gli obiettivi, ma si discute su come raggiungerli», è solito dire a chi lo circonda). E come Marchionne (in pullover e pantaloni neri sempre e comunque), anche Tavares non è molto curato nel vestire nonostante indossi la giacca.
E se l’ex ad di Fca era un indubbio re della finanza che per scaricare la tensione si lanciava con la sua Ferrari sul circuito di Balocco, il collega-pilota nato a Lisbona è sicuramente più uno stratega dell’auto e, per centi aspetti, più lungimirante (sul fronte della elettrificazione, Groupe Psa si è presentato puntuale all’appuntamento).
In passato, come racconta nel libro «Sergio Marchionne» il giornalista Tommaso Ebhardt, i due top manager si sono annusati parecchio, arrivando vicino a unire le rispettive società (Tavares, riconoscendo la bravura del collega, era disposto ad assumere il ruolo di numero due), ma non se ne fece nulla. Del resto, la convivenza di due galli nello stesso pollaio non sarebbe stata facile, anche perché Tavares arrivava dalla scuola di Carlos Ghosn, in Renault, nemico giurato di Marchionne.
Il capo di Psa, spiegano i bene informati, conduce una vita monastica, dedicata per lo più al lavoro. In azienda, secondo la sua visione, le regole valgono per tutti. E così lo si può incontrare sul Tgv seduto in seconda classe oppure su un volo Easyjet come un turista qualunque. «Profitti, profitti, profitti!» (il chiodo fisso) aveva esclamato anni fa al termine di una visita alla filiale italiana del gruppo, a Milano.
Due i piani grazie ai quali Psa ha ripreso gradualmente quota: «Back in the race», il primo, «Push to pass», il secondo. Tra efficienza, tagli dei costi, gamme semplificate, investimenti in ricerca e sviluppo, e condivisione delle piattaforme, il gruppo è via via cresciuto consolidando il suo secondo posto in Europa. Ma resta ancora il mercato cinese la spina nel fianco di Tavares, nonostante la presenza (ancora per poco viste le intenzioni manifestate) di Dongfeng nell’azionariato (12%, come le quote della famiglia Peugeot e del governo francese).
Uno degli assi nella manica del numero uno di Groupe Psa riguarda la creazione delle due piattaforme multienergy che, a questo punto, potrebbe condividrere con Fca. La prima, Cmp, riguarda i segmenti B e C (auto compatte e medie), la seconda, Emp2, i modelli di segmenti superiori e i Suv di tutte le taglie. L’architettura Cmp consente di produrre veicoli con alimentazioni diverse: benzina, diesel, elettrica. Con Fca, insomma, impegnata a realizzare la Fiat 500 elettrica e i primi modelli ibridi, l’integrazione calzerebbe a pannello.
Le nozze tra Torino e Parigi, inoltre, permetterebbero a marchi come Alfa Romeo (soprattutto) e Maserati, di cui è stato appena varato il piano strategico, di accelerare i progetti di crescita.