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 2019  ottobre 31 Giovedì calendario

Intervista a Vito Molinari, che compie 90 anni

Regia di Vito Molinari. Impossibile dimenticare. La prima Rai del sabato sera. L’amico del giaguaro . Senza rete . Canzonissima . Lui e lei . Il suo nome è uscito in tv con i titoli di coda il 3 gennaio 1954: ha diretto la trasmissione inaugurale. Aveva appena 22 anni, il 6 novembre ne compie 90. Voleva festeggiarli nelle stanze dove ha passato più di mezzo secolo, in Corso Sempione e viale Mazzini. I dirigenti Rai hanno tentennato per due mesi. Poi gli hanno detto no.
Scusi Molinari, com’è possibile che una memoria storica con 2.000 trasmissioni tv e 500 Caroselli non venga autorizzato a festeggiare in Rai?
«Non penso che oggi in Rai si ricordino di me. Sono cambiati dirigenti e funzionari e i nuovi non hanno interesse e tempo per informarsi di cosa è successo prima di loro».
Potevano dedicarle almeno una trasmissione...
«Un “padre fondatore della tv” non viene ricordato; non interessa a nessuno».
Sembra un po sgarbato questo rifiuto.
«Sono impegnati a difendere la loro poltrona e a non essere fatti fuori a loro volta».
Ma lei è un pioniere Rai.
«Siamo rimasti in pochi. Pochissimi vivi, magari smemorati. Dei sopravvissuti...».
Ne parla come di un’era preistorica.
«Oggi nessuno ricorda più la paleotelevisione o la neotelevisione. Techetechetè a parte, diventata un grande business Rai, dato che non pagano nulla a interpreti e autori, e neppure segnalano i registi».
Come è arrivato in Rai?
«Nel Dopoguerra lavoravo a Genova come attore in compagnie filodrammatiche, poi semiprofessionali, infine come regista...».
...e la tv non c’era ancora.
«Niente di niente. Con il Centro Universitario Teatrale ci siamo inventati I processi celebri dell’antichità, con il professor Della Corte. Un successone: sceneggiavamo Cicerone, Lisia, Eratostene... È partito tutto da lì».
Chiamato senza raccomandazione.
«A Milano venne a vedere Le Catilinarie il dirigente Eiar Sergio Pugliese: era stato incaricato di realizzare la Tv in Italia. Mi arruolò lui e mi propose di “fare la tv”».
Lei rispose: obbedisco.
«Gli chiesi di fare il presentatore di programmi».
Bocciato in partenza, a quanto pare.
«”Con quel naso”, mi disse. “I presentatori devono essere belli, biondi e con gli occhi azzurri. Lei farà il regista”».
E cosi andò.
«Eravamo un gruppo di giovani registi che avevano fatto solo teatro. Pugliese aveva chiamato anche quelli del cinema, risposero picche».
Perché?
«Pensavano che la scatoletta con piccole immagini in bianco e nero ballonzolanti sarebbe durata pochi mesi».
I nomi della compagnia in corso Sempione?
«Eccoli: Franco Enriquez, Mario Landi, Daniele Danza, Eros Macchi, Mario Ferrero, tutti giovani e io ero il più giovane».
Chi comandava in Italia e in Rai?
«La Dc con pieni poteri. Presidente della Rai era Antonio Carrelli, ma comandava l’amministratore delegato Filiberto Guala, fanfaniano doc, azione cattolica...».
Che fine ha fatto?
«Quando si è dimesso è andato in convento: è diventato frate trappista».
Continui con l’organigramma.
«Direttore generale Gian Battista Vicentini (dirigente vaticanista), direttore dei programmi Sergio Pugliese, ex Eiar, compromesso col regime fascista, grande organizzatore e sensibile alla cultura; primo direttore del Tg Vittorio Veltroni, padre di Walter».
Come si lavorava?
«Eravamo liberi di sperimentare, cercavamo di inventare un nuovo linguaggio. La Rai iniziale era didascalica, didattica, doveva creare le basi. Un terzo degli italiani era analfabeta; due terzi parlava solo in dialetto. Nacque allora Non è mai troppo tardi».
Si faceva poca cultura?
«Il primo soffio lo portarono i “corsari”, selezionati e seguiti da Pier Emilio Gennarini, cattolico di sinistra: tra loro Umberto Eco, Gianni Vattimo, Furio Colombo, Silva, Salvi... ma i migliori finirono per scappare dalla Rai».
Poche donne...
«C’erano le annunciatrici. Curiosamente potevano lavorare liberamente in tv le amanti ufficiali di dirigenti e registi, ma non le mogli...».
Stagione dei primi varietà: fu lei a lanciare «L’amico del giaguaro».
«Nacque a tavolino, a Milano. Volevamo mettere insieme due comici e una soubrette: Raffaele Pisu aveva già fatto Controcanale, Bramieri aveva fatto Leggerissimo. Con loro abbiamo chiamato Marisa Del Frate, recitava e ballava bene, spiritosa, divertente, sexy ma non troppo, amata anche dalle donne. A loro abbiamo aggiunto Corrado...».
Grande successo.
«Grandissimo. Per molti anni. Era un finto quiz, pretesto per presentare scenette comiche, balletti, cantanti. Abbiamo fatto anche spettacoli di rivista in teatro in tutta Italia».
Che cos’era Corso Sempione a Milano?
«Per noi era il centro dell’universo: un gruppo di ragazzi inventava la tv...».
Durò poco però...
«Pugliese spostò la direzione a Roma e molti lo seguirono: vicino al potere si tratta meglio, anche sui budget. Io rimasi a Milano, ridotta a provincia dell’impero. Il vantaggio era quello di essere meno controllati e censurati».
I copioni pero dovevano essere approvati da Roma.
«Usavamo uno stratagemma. Inserivamo battute molto forti, che venivano subito tagliate. Cosi si salvava il testo originale».
Andò male con «Canzonissima» di Dario Fo e Franca Rame: una censura storica...
«Della trasmissione ero regista e coautore con Leo Chiosso. La prova generale veniva vista a Roma da Ettore Bernabei e da Piccioni, figlio del ministro. Molti interventi di censura, ma fino all’ottava puntata si va avanti».
C’era stato lo scandalo delle gambe della Rame...
«Un parlamentare Dc aveva fatto un’interpellanza. La Rame non dovrebbe far vedere entrambe le gambe. Troppo sexy. Meglio una per volta...».
Ma lo scandalo fu un altro.
«Con Dario Fo volevamo mandare in onda uno sketch sulle morti bianche degli edili nei cantieri, per sollecitare misure di sicurezza. Veniva sempre censurato. Finché una settimana ci furono due morti bianche. Pensammo: è la volta buona. La censura Rai si oppose e ritirammo il copione: andarono in onda solo canzoni, senza presentatori e attori. Per Fo e Rame iniziò l’esilio».
Ha lavorato con Achille Campanile e Marcello Marchesi, colossi dell’umorismo.
«Persone eccezionali. Campanile diceva: l’umorismo è il solletico al cervello. Marchesi è stato come un fratello maggiore. Indimenticabile battuta: l’importante è che la morte ci trovi vivi».
Molinari lo troviamo anche in «Carosello».
«Ne ho diretti più di 500. Era amato dal pubblico, ma non dai pubblicitari: contestavano il troppo spazio dedicato allo spettacolo e il poco al codino pubblicitario».
È finito per questo?
«Sono stati i pubblicitari e le grandi agenzie americane a uccidere la trasmissione».
C’è un programma che rifarebbe?
«Atelier. Uno sceneggiato sulla moda, con la Martinelli, la Pitagora, Lino Capolicchio, la Venier, Jo Champa. Era il 1986 e la moda debuttava in tv. Avrebbe dovuto avere piu successo...».
E uno che vorrebbe fare?
«Ho già il titolo: Supergap. Per capire la differenza di gusti tra generazioni».
Che cosa guarda in tv?
«Spesso mi addormento davanti al televisore...».
Le pesa diventare vecchio?
«Per niente. Sono attivo, curioso, leggo di tutto, scrivo, sto preparando una storia personale: la mia Rai. E poi viaggio, ho fatto due volte il giro del mondo, non ho tempo per annoiarmi».
Deluso dalla dimenticanza della Rai?
«Un po’, ma pazienza. Farò da solo, il 6 e l’11 novembre a Roma e a Milano, con gli amici. Ricorda cosa diceva Marchesi? Siamo nati per soffrire e ci riusciamo benissimo».