la Repubblica, 31 ottobre 2019
Il futuro elettrico fra Fca e Psa
Ginevra, un giorno dello scorso marzo. Robert Peugeot e John Elkann pranzano insieme. I cronisti sono incuriositi. Che cosa bolle in pentola? «Nulla. Qui al Salone tutti incontrano tutti. È normale no?». Non era normale. Era l’ultimo di una serie di incontri. I costruttori, tutti i costruttori, si cercano. Sanno che non potranno vivere da soli a lungo. I costi sono troppo alti. E aumenteranno. I tempi stringono. La rivoluzione elettrica e quella della guida autonoma stanno arrivando e lasceranno spazio a cinque o sei costruttori al massimo. Tutto il resto sarà tecnologia, tutto il resto sarà Google.
Quel giorno di marzo a Ginevra è partita la corsa di Psa e Fca. Corsa a ostacoli, con la parentesi della trattativa fallita del Lingotto con Renault. Corsa inevitabile per gli eredi di due delle famiglie dell’auto mondiale. Le regole stanno cambiando e bisogna mettersi al riparo, sfruttando anche – con investimenti troppo sostanziosi per essere affrontati in solitaria – le nuove opportunità.
All’inizio è stata l’Europa. Proprio quella di Bruxelles, quella dei burocrati, come va di moda dire oggi. Sono loro ad aver scritto la norma che impone ai costruttori di auto, dal gennaio 2020, «una media di emissioni di 95 grammi di anidride carbonica per chilometro». Lo scorso anno erano 118. Ed è scattata la scintilla: la corsa ad inserire nella gamma di tutti i produttori le auto elettriche o ibride, che abbassano le emissioni e, soprattutto, evitano o riducono le multe dell’Ue. Perché saranno multe salate. I costruttori più legati al motore a scoppio hanno comperato i crediti verdi dai più virtuosi, come Tesla, che produce solo auto elettriche. Lo ha fatto anche Fca. Ma è una soluzione tampone. Così il Lingotto ha deciso di produrre in Europa la prima auto elettrica, la 500 E. Linea produttiva nuova, nell’antico stabilimento di Mirafiori. Per la prima serie il pacchetto elettrico arriverà dalla Corea, dalla Samsung. Ma anche questa, in fondo, è una soluzione tampone. Un’auto elettrica ha poco a che vedere con i modelli tradizionali. Le batterie? Sono un tappeto di elettrodi steso sul pianale, il fondo della scocca. Niente in comune con i cubi di plastica bianca che tutti conosciamo. Sono batterie composte da tante celle di litio riunite in moduli e poi adattate alla forma della carrozzeria dell’automobile. Chi produce le celle di litio? I cinesi. Fino a pochi anni fa. Quando un ingegnere laureato al Politecnico di Torino, Paolo Cerruti, ha lasciato la fabbrica di Elon Mask, in California, e si è trasferito a Skelleftea, nel nord della Svezia, vicino alle miniere. Per costruire celle di litio tutte europee. Questione di supremazia su un mercato decisivo. Ci avevano pensato anche i tedeschi proponendo ai francesi, due anni fa, la costruzione di una grande fabbrica di batterie nel cuore del Vecchio Continente.
Insomma, tutti si muovono. I francesi del gruppo Peugeot sono tra i più bravi a costruire pianali per auto elettriche. Anzi, pianali che si adattano sia al tappeto di batterie sia ai motori tradizionali. Una rarità. Quella è la vera dote che porterà Psa al Lingotto. Se non è la scossa della passione (forse quella era scattata a maggio, con Renault) è sicuramente quella della convenienza. Tra Torino e Parigi si mettono in comune gli investimenti per far nascere le auto del futuro. A Mirafiori (dove non mancano certo gli spazi) Fca ha fatto nascere un primo “hub” per la produzione delle batterie. Arriveranno qui le celle, forse quelle svedesi del professor Cerruti. E nasceranno i moduli da montare sulle piattaforme dei francesi per costruire le auto elettriche.
Tutto filerà liscio? Presto per dirlo. Le indiscrezioni dicono che tra le clausole dell’accordo ci dovrebbe essere l’impegno a non ridurre l’occupazione. Una buona promessa, non semplice da mantenere. I dipendenti del mega gruppo saranno 400 mila in tutto il mondo. Per garantire il lavoro a tutti si dovranno vendere molte più auto di quelle sfornate oggi. Ci sono anche altre incognite. La prima è quella del governo francese. Avrà potere di veto, come, nei fatti, fu a giugno quando fallirono le nozze con Renault? Questo si capirà nelle prossime settimane, quando la trattativa in esclusiva tra le due parti che verrà annunciata oggi entrerà nel vivo. E se Parigi sarà interventista chiedendo garanzie per gli stabilimenti francesi, lo farà anche il governo italiano? Dettagli in grado di far saltare tutto – Renault insegna -in un minuto. L’altro interrogativo è il ruolo che giocherà la parte americana di Fca. In Usa non c’è il problema della riconversione elettrica. Anzi. Di recente i costruttori hanno deciso di dare una mano a Trump nella sua battaglia contro le norme antinquinamento della California. In Usa Fca realizza gran parte dei suoi utili. Dagli Usa viene l’amministratore delegato del gruppo, Mike Manley. Che dovrà cedere la tolda di comando ad un franco-portoghese molto determinato, Carlos Tavares. Forse l’ultimo dei grandi amministratori delegati dell’auto. L’America accetterà tutto senza reagire? E se sì che cosa otterrà in cambio di un evidente riequilibrio a suo sfavore dei pesi nel nuovo gruppo?
La scommessa più difficile per Elkann, Peugeot e Tavares, nelle prossime settimane, è proprio in questi punti interrogativi. Condurre in porto la nave della trattativa sarà la prima prova per la loro leadership. Se concluderanno l’accordo, tra Detroit, Parigi e Torino nascerà il quarto gruppo mondiale dell’auto. In grado di dire la sua nella rivoluzione elettrica prossima ventura.