ItaliaOggi, 30 ottobre 2019
Periscopio
Gli uomini che portano il marsupio sono un oltraggio al decoro urbano. Vittorio Sgarbi. (Alessandro Gnocchi). Il Giornale.Noi scriviamo del libri perché noi non siamo più capaci di guadagnare delle battaglie. Gabriele Matzneff, Elie et Phaeton. la Table ronde, 1991.
Oreste Del Buono, direttore di Linus, era un formidabile organizzatore, capace di dare al fumetto quella dignità culturale che in Italia mancava. Ma non lo definirei un uomo buono. Altan (Simonetta Fiori), la Repubblica.
Le aziende digitali o le start-up sono circondate in Italia da un interesse mediatico che, spesso, è inversamente proporzionale al loro successo economico. Nicola Porro. Il Giornale.
Il Libano si ribella. È una polveriera. Adesso le gente se la prende con il presidente Aoun che fu eletto presidente dopo 45 tentativi falliti in due anni. Fiamma Nirenstein. Il Giornale.
L’alto manager di una multinazionale, quando entra per un’intervista, mi chiede: «Signora o signorina?». E io gli rispondo: «E lei, signore o signorino?». Lilli Gruber, Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone. Edizioni Solferino.
Esce di nuovo il Riformista. Lo dirige Piero Sansonetti che non è omonimo, ma è proprio lui, dell’inviato dall’Unità (suo il leggendario titolone sulla morte di Lady Diana: «Scusaci, principessa»). È sempre lui, l’ex direttore di Liberazione (chiuso), de Gli altri (mai trovati), di Calabria Ora (fallito), del Garantista (fallito) e de Il Dubbio (che l’ha cacciato). Fra i collaboratori c’è anche la Boschi «che scriverà» si apprende «a titolo gratuito» (e ci mancherebbe altro che la pagassero). Marco Travaglio. Il Fatto quotidiano.
Discussioni in Paradiso. Cossiga: «Sei diventato geloso? Tu nel ’49, quando eri giovane sottosegretario agli spettacoli, avevi una passione per Anna Magnani e ti sei preso pure una sfuriata da donna Livia». Andreotti: «Ma che dici, la Magnani era bruttina ma appariscente. Comunque è vero, ho giurato che non mi sarei mai tinto i capelli dopo che, a dieci anni, sotto la canicola di luglio, durante una cerimonia a San Pietro vidi che sulla veste rosso porpora di un cardinale colava la tinta nero corvino». Luigi Bisignani, il Tempo.
Come invidio le sinistre che, se non sei d’accordo, ti danno del fascista e ti annichiliscono. Bello sarebbe se anche la destra avesse la parolina magica per zittire l’avversario. Dargli, per esempio, del comunista e lasciarlo impietrito. Messi alla pari, il confronto si incivilirebbe. Invece, è mancato al marxismo-leninismo l’analogo del processo di Norimberga che ha condannato agli Inferi il nazifascismo. E ora le cose stanno così: fascista è un insulto; comunista, per i più sfacciati, un vanto. Giancarlo Perna. la Verità.
Nel 1938, per ragioni di studio, mio padre si era trasferito in Giappone insieme a mia madre e a mia sorella Dacia. Nel 1939 nacque Yuki, nel 1941 io. Nel 1943 il governo giapponese, alleato di quello italiano, chiese a mio padre l’adesione alla Repubblica sociale. Rifiutò e fummo internati in un campo di concentramento. Ero molto piccola, non ho ricordi diretti. Salvo l’odore bruciato della buccia di mandarino. Erano gli scarti delle guardie. Mio padre recuperava le bucce e le faceva arrostire in modo che si potessero mangiare. Cercare cibo fu l’ossessione primaria. La situazione generale era durissima, aggravata dall’accanimento quotidiano delle guardie contro di noi. Al culmine dell’esasperazione mio padre decise per protesta di recidersi il mignolo. Per i giapponesi quell’atto cruento era un antico rituale samurai: lo yubikiri. Che fosse un occidentale a praticarlo come gesto di sfida impressionò enormemente le guardie. Da quel momento ci trattarono con minore durezza. Nel 1945 fummo liberati e tornammo in Italia. Con i miei ci stabilimmo in Sicilia, a Bagheria, dove la mamma aveva una casa. Toni Maraini, storica dell’arte (Antonio Gnoli), la Repubblica.
Quando cominciò a scrivere per un giornale Giavanni di Lorenzo, oggi direttore del quotidiano tedesco Die Zeit, era privo di macchina per scrivere. Si fece prestare una Triumph elettrica più pesante di un’affettatrice. A ogni articolo, cinque rampe di scale per ritirarla e altrettante per restituirla. Alla fine l’amico Heiko, impietosito, gliela cedette per 400 marchi. Fu un ottimo investimento. Infatti, mentre l’editoria mondiale arranca, nei suoi tre lustri di direzione Die Zeit è passato da 460 mila a 500 mila copie e ora è il secondo organo di stampa più venduto in Germania con il tradizionale formato lenzuolo, alle spalle dell’urlatissima Bild. Che nel frattempo è scesa a meno di 1 milione e mezzo di copie: un calo del 66 per cento in un ventennio. Giovanni di Lorenzo, direttore di Die Zeit (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Il mio luogo del cuore è Champlas Séguin, a 8 km da Sestriere. Lì ho una casetta. È un piccolo borgo, non c’è nulla, nemmeno un negozio, regna la tranquillità assoluta. Sestriere non mi piace poiché è stata costruita troppo. Champlas è molto naturale, genuino, e siamo vicini alle piste della Via Lattea. Massimo Perotti, ad di Sanlorenzo, numero uno al mondo delle imbarcazioni oltre i 30 metri (Piera Anna Franini). il Giornale.
Quand’era capodanno mio padre Mario (Rigoni Stern, ndr), a mezzanotte in punto, imbracciava la doppietta e diceva: «Andiamo ad ammazzare la guerra», e così andava sul pergolo e tirava due o tre schioppettate nel buio, e sembrava davvero di vederla, la guerra, quella brutta befana che gira per il mondo sulla sua scopa maledetta e non si ferma mai, e le schioppettate di mio padre, e anche di noi ragazzi a cui in via eccezionale prestava il fucile calibro 22 che non riuscivamo nemmeno a tenerlo dritto, la colpivano in pieno! Uno sforzo enorme. Gianbattista Rigoni Stern (Gian Antonio Stella). Corsera.
La prima volta che venni in Italia, 26 anni fa, notai, stupito, che gli uomini si abbracciavano, senza temere che qualcuno mettesse in discussione la loro eterosessualità. In Inghilterra tutti sono molto controllati, per gesti del genere ti avrebbero etichettato subito come gay. La libertà di mostrare gli affetti mi ha da subito conquistato. John Peter Sloan, docente di lingua inglese (Elvira Serra). Corsera.
Ad Ascoli Piceno, ambitissimo segno di legittimazione sociale è considerato il cartello di «sosta proibita consentita», da mettere dietro il parabrezza: ma se un orafo lo miniaturizzasse, tanti lo porterebbero all’occhiello come un distintivo del Rotary. Luca Goldoni, Viaggio in provincia. Mondadori, 1984.
Se vuoi vedere che faccia ha, non guardarlo in faccia. Roberto Gervaso. il Giornale.