30 ottobre 2019
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Biografia di Don Winslow
Don Winslow, nato a New York il 31 ottobre 1953 (66 anni). Scrittore: «Uno dei pochi maestri contemporanei nell’arte del racconto» (Antonio D’Orrico, Sette, 9/9/2016) • Ha pubblicato diciotto romanzi • Dopo aver svolto le più svariate professioni (dall’investigatore privato alla guida turistica nei safari in Africa), ha esordito con London Underground nel 1991 (pubblicato in Italia nel 2016); dal 1997 fa il romanziere a tempo pieno • «Fisico minuto e giovanile di chi pratica e insegna surf […], viso molto mobile con due occhi chiari profondi, jeans e maglietta, un uomo che ha fatto i mestieri più curiosi nella vita, Don Winslow è considerato il miglior giallista americano del momento. E quello che vende di più. Ha cominciato vent’anni fa ad apprezzarlo una nicchia di lettori internazionali; fece colpo con L’inverno di Frankie Machine, dove un mafioso in pensione, appassionato di surf, veniva richiamato in servizio (e buon per lui che era un tipo meticoloso); poi è esploso con […] le due saghe iperrealiste sui narcos messicani che gli hanno dato il successo mondiale» (Enrico Deaglio, la Repubblica, 16/6/2017) • Tra le sue opere più famose c’è la trilogia delle avventure di Art Keller, un agente dell’agenzia federale anti-droga americana (Il potere del cane, 2005; Il cartello, 2015; Il confine, 2019) e il ciclo delle indagini del detective Neal Carey (London Underground, 1991; China Girl, 1992; Nevada Connection, 1993; Lady Las Vegas, 1994; Palm Desert, 1996) • Il potere del cane gli ha richiesto cinque anni e mezzo di documentazione • «Uno Shakespeare dei nostri tempi» (secondo una radio americana, perché, come il Macbeth per la politica scozzese dell’XI secolo, per comprendere la guerra della droga basta leggere lui) • «Il Cartello è il Guerra e Pace dei narcos» (lo scrittore James Ellroy) • «C’è una espressione nel mondo del surf che dice “A volte sei tu a cavalcare l’onda, a volta è l’onda a cavalcare te” […] Provo le stesse cose rispetto alla scrittura: “A volte sei tu a raccontare una storia, a volte è la storia che racconta te”» (a Federico Sabatini, Mangialibri).
Vita «Mia madre era una bibliotecaria e mio padre, veterano della marina, un formidabile storyteller, come i suoi commilitoni che frequentavano casa nostra. Io e Kristine [la sorella], che ha 3 anni più di me, siamo cresciuti ascoltando storie meravigliose, piene di avventure e luoghi esotici» (Marco Giovannini, Panorama, 5/12/2012) • «Sua nonna girava con una pistola nella borsetta» (Francesco Longo, Studio, 3/12/2015) • «Mia nonna Evelina gestiva una bisca... Ne aveva di storie! Diceva che il governatore Long, quello che si era messo in società con Lucky Luciano e Frank Costello e aveva riempito la Louisiana di slot machines, sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti se Roosevelt non l’avesse fatto uccidere. E che Kennedy era stato eletto con i voti di Carlos Marcello. Io ero un ragazzino, ma quando giravo per la Little Palermo di New Orleans tutti mi rispettavano perché ero il nipote di Evelina» (Deaglio) • Cresce a Perryville, «un villaggio di pescatori» nel Rhode Island: «e mio padre […] mi ha buttato in mare quando avevo 4 anni, e ovviamente non sapevo nuotare» • «Da bambino non leggevo narrativa ma solo testi di storia e biografie. Ricordo che il primo romanzo che esercitò un forte impatto su di me fu Something of Value di Robert Ruark, ambientato in Kenya» (Sabatini) • Da piccolo è fissato con Shakespeare, tenta di tradurre Giulio Cesare in latino • Nel 1971 va al cinema a vedere Il braccio violento della legge di William Friedkin e decide che vuole diventare scrittore: «Mi sconvolse per la bellezza e la scrittura […] E poi Serpico e Il Principe della città. […] questi film sono stati una grande fonte di ispirazione, come Jackie Chan e una certa Nouvelle Vague, penso a Bande à part di Godard. A volte, quando scrivo, cerco proprio a una narrazione cinematografica, un primo piano, una carrellata» • A diciassette anni si iscrive all’Università del Nebraska, studia giornalismo: «Sono stato addestrato al mestiere del giornalista e per questo tendo a restare molto ancorato ai fatti reali, alla cronistoria. A volte questo può risultare dannoso ai fini del romanzo, può capitarmi di perdere di vista oppure non prestare sufficiente attenzione all’evoluzione drammatica della trama» (a Angelo Murtas, il Mucchio, 31/1/2016) • «Scrissi il mio primo “romanzo” all’età di diciannove anni. Ricordo perfettamente quel senso di appagamento per il risultato raggiunto: “Wow! Hai appena scritto il tuo primo romanzo!”. Poi lo lessi, e lo gettai immediatamente nell’immondizia. Era terribile. Ero da solo in una stanza e provai un senso di umiliazione. Credo ci vollero almeno dieci anni prima che riuscissi a trovare il coraggio di scrivere di nuovo narrativa» (a Sabatini) • Si specializza in Studi Africani, e viaggia molto nel continente nero • «Ho iniziato a scrivere per il teatro, e scrivevo – neanche a dirlo – dell’Africa. All’università ero il classico immaturo che pensava di aver capito tutto, e i miei primi tentativi riflettevano proprio questo» (Sabatini) • Poi torna nella Grande Mela: «Mi sono spostato a Times Square per lavoro negli anni ’70: in quel periodo era un casino di crack, prostitute e borseggiatori» • «Per quanto ha fatto il detective? “Una ventina d’anni. La mia famiglia – siamo italiani di origine – aveva delle attività a New York […] e io ho cominciato facendo la sorveglianza sui borseggiatori nei cinema. Poi mi sono occupato di frodi, di incendi dolosi, di abusi sessuali sui bambini: – la peggiore esperienza della mia vita. Ho visto tante cose. E per esperienza posso dirle che l’uomo non è buono. La vita ti fa diventare più furbo, non migliore”» (Deaglio) • Lascia il lavoro per iscriversi a un master in Storia militare: vuole lavorare nella diplomazia; poi però finisce a fare la guida turistica nei safari in Africa, nei viaggi organizzati in Cina, a lavorare per un teatro a Oxford durante l’estate • «Le esperienze di lavoro […] sono state miniere ricchissime di materiale […] Allo stesso tempo, quei lavori rappresentavano un ostacolo perché erano davvero lavori a tempo pieno e richiedevano un sacco di energia e di concentrazione che avrei potuto riversare nella scrittura. Un altro problema era che amavo davvero quei lavori, erano interessanti, emozionanti e mi facevano sentire appagato» • «Non ho mai avuto bisogno di una scrivania perché ho sempre scritto sulla strada, in hotel, in treno, in aereo, in ogni condizione, in ogni momento. Soprattutto quando facevo altri lavori per sopravvivere» (a Antonello Guerrera, la Repubblica, 19/6/2019) • «Ho cominciato imitando semi-coscientemente Elmore Leonard. […] Il mio primo romanzo nel 1991 è stato rifiutato da 14 editori. Poi ha vinto il premio Edgar, dedicato a un altro gigante: Edgar Allan Poe”. Perché ha aspettato tanto per provare a scrivere? “Allora mi dicevo che ero troppo occupato a procurarmi da vivere […] Col senno di poi, era semplice paura di un fallimento”» (Giovannini) • Torna in America, torna a fare l’investigatore privato e il consulente legale • Con la famiglia si trasferisce in Califormia • «Ero in un albergo a Costa Mesa, zona noiosissima. Avevo un giorno libero perché un testimone mi aveva rinviato l’appuntamento, ho preso una macchina e ho puntato a sud sulla Pacific Coast Highway: Laguna Beach, Corona del Mar, Crystal Cove, Dana Point mi sono sembrati i più bei posti che avessi mai visto. Ho chiamato mia moglie Jean, in Connecticut, e le ho detto di venire a vedere. Per tre anni siamo andati avanti e indietro, finché una sera lei mi ha confessato che l’idea di ripartire la faceva sentire male. La mattina dopo sono andato a comprarle un po’ di vestiti. Era il 1992» (Giovannini) • Il suo primo vero successo è Bobby Z, il signore della droga, nel 1997 • «L’ho scritto in treno fra San Juan Capistrano e Los Angeles. Poco più di un’ora di viaggio in cui l’obiettivo era un capitolo a volta. Quando il conduttore annunciava “Union Station di Los Angeles, 10 minuti”, a qualunque punto fossi dell’azione la facevo finire» (ibidem) • «Scrivevo con la voce narrante tradizionale, onnisciente, in terza persona e al passato. E mi è sembrata proprio sorpassata. Ho iniziato così a scrivere al presente. Un soffio di aria nuova: improvvisamente sembrava che gli eventi mi si rivelassero da soli, in tempo reale. Per la maggior parte del testo, ho continuato con quella voce. […] È pretenzioso forse, ma ho voluto fare con la letteratura criminale quello che fecero con il loro mezzo i registi della New Wave degli anni sessanta: ribellarsi alle regole arbitrarie. Volevo anche uno stile che riflettesse la frammentarietà con cui riceviamo oggi le informazioni – non solo nei libri, ma in internet, skype, negli sms, nei film e nella televisione» • Da quel momento il suo lavoro è scrivere.
Scrivere Lavora in piedi • «Scrivo più di un libro contemporaneamente, così se un giorno non mi sento particolarmente ispirato per un’opera passo direttamente a un’altra» (a Guerrera) • «Quale è una sua giornata tipo? “Sveglia alle 5, caffè che una volta mi macinavo da solo, proprio come Frankie Machine, 10 minuti di kata, le forme di una combinazione di stili di arti marziali. Leggo i giornali e poi comincio a scrivere, fin verso le 11. Pranzo e poi nel pomeriggio ancora sport (corsa o camminata in collina, nuoto o surf), prima di ricominciare a scrivere. Se ho ancora idee fresche e energia, continuo dalla mattina. Se no mi dedico a qualcosa d’altro» • «Per scrivere Il cartello ho passato un anno a collezionare documenti, fatti di cronaca, rapporti di polizia: 153 pagine di notizie scritte a spazio uno. Ne ho selezionate quindici, poi ho cominciato ad andare a trovare persone e a far loro domande, poi a immaginare dei personaggi, delle emozioni, dei sentimenti. Alla fine ne sono rimasti due, e il tema del loro rapporto era la vendetta. Sono uno scrittore realista, probabilmente iperrealista. Il mio editor ogni tanto mi ferma» (Deaglio) • «Rileggo sempre dieci, quindici volte quello che ho scritto, ogni giorno. Perché la prima versione è ciò che sento io, le riletture successive le dedico al lettore: cerco di plasmare la mia scrittura, di renderla accessibile, comprensibile, funzionale a chi legge. Evito a prescindere gli avverbi. Ingolfano. Sono inutili» (a Guerrera).
Lettori «Chi è per lei il lettore: qualcuno da manipolare, il suo vero padrone, un amico, un complice? “È l’uomo o la donna che incontro in un bar o su un treno e siccome dobbiamo restare insieme per qualche ora stringiamo il patto di divertirci insieme”» (Giovannini) • Tra gli italiani: Matteo Salvini, Fabio Volo, Gué Pequeño.
Vita privata Una moglie, Jean. Un figlio, Thomas. «Anche sua moglie è una surfista? “No, è nata in una fattoria del Nebraska. Ama la spiaggia, ma è difficile anche solo farla entrare in acqua. Dice che vuole sapere dove poggia il sedere”» • Vivono a Julian, in California.
Droga «Winslow si alza e va alla staccionata. Prende una pietra. “Questo oggetto qui vale uno”. Lo trasporta oltre il legno. “Arrivato di là, lo vendi a 50. Produrre è importante, ma molto di più è occupare lo spazio da quest’altra parte della staccionata. Questo vuol dire corrompere, decapitare, sterminare. Il cartello è questo: non è la cronaca di diversi assassinii, ma il flusso di una merce diventata regina del mercato americano. I narcos vogliono il monopolio. Chi si oppone muore” […] Ma lei fa lo scrittore o il sociologo?
“Scrittore, assolutamente. La crime novel è fatta per intrattenere il lettore. Però ci tengo anche a fare qualcosa per cambiare la situazione”» (Deaglio) • «Mi stupisce sempre che i millennial progressisti boicottino una catena di alimentari perché non acquista caffè certificato dal commercio equo e solidale ma poi tornino a casa a farsi di droghe che gli arrivano dagli assassini, torturatori e sadici dei cartelli» • «Ci dev’essere un modo per sconfiggerli... “[…] Siamo noi che compriamo i prodotti dei narcos e finché ci sarà domanda ci sarà offerta. I governi dovrebbero avere il coraggio di fare scelte coraggiose e liberalizzare ogni droga. Perché finché ci saranno droghe illegali ci saranno trafficanti. La liberalizzazione della marijuana in certi stati americani ha già fatto crollare le importazioni messicane del 40%. Col risultato che oggi l’eroina messicana è più economica degli psicofarmaci ed è tornata nelle strade. Bisogna legalizzare tutte le droghe per levarle per sempre dalle mani dei criminali» (Anna Lombardi, la Repubblica, 13/7/2015) • Il figlio ventitreenne di una sua amica è morto per un’overdose di eroina.
Curiosità Fece chiamare lo scrittore Adrian McKinty, che voleva smettere di scrivere, dal proprio agente per convincerlo a continuare • Gli piace l’Italia: ama Puccini ed è amico di Roberto Saviano • Ha accettato di scrivere (e di registrare) un audiolibro da ascoltare in auto per conto della Bmw (titolo: A beautiful ride; storia: Ted ha perso tutto tranne una Z4 convertibile) • Anche sua sorella Kristine fa la scrittrice • «C’è un lieto fine? “Io lo cerco, ma... Quando devo trovare una fine, comincio ad ascoltare molto jazz, soprattutto il sax di Sonny Stitt. Il finale che cerco deve avere due caratteristiche: essere sorprendente e inevitabile. E questo Stitt me l’ha sempre suggerito. Note, silenzio, notturno, ritmo. Il jazz è il miglior amico dello scrittore di polizieschi”» (Deaglio) • Su Netflix non guarda Narcos: «Non è disprezzo, né spregio. Ma non voglio essere influenzato da altre opere. E poi dopo aver scritto per dieci ore sul narcotraffico, secondo lei mi metto a guardare una serie tv sullo stesso tema?» (a Guerrera).