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 2019  ottobre 30 Mercoledì calendario

Anteprima del film su Craxi

“Hai paura che io muoia? Non aspettano altro”. Hammamet è il carrubo che inghiotte la gloria che fu, è il lettino per vegliare la notte, è il recinto col filare dei mitra spianati, è il giardino marziale del nipotino che avanza con truppe di soldatini, è la tenda da campo per le iniezioni di insulina, è la gamba nuda in cancrena. Hammamet è la prigione di un latitante che ha la pretesa di un rifugiato, è il Golgota di Bettino Craxi, la figlia Stefania è il cireneo. Hammamet è il film che va in sala il 9 gennaio – e che il Fatto può rivelare in anteprima – per i vent’anni dalla morte di Craxi, le riprese nella villa in Tunisia, il talento attoriale di Pierfrancesco Favino, la regia del pluridecorato Gianni Amelio, la produzione di Rai Cinema con la Pepito di Agostino Saccà, l’ex direttore generale di Viale Mazzini che da ragazzo fu segretario dei giovani socialisti in Calabria e da adulto fu prescelto di Silvio Berlusconi. Hammamet è la memoria funerea di Craxi che la tv di Stato consegna a chi non c’era e non può ricordare, a chi c’era e non vuole ricordare, è la storia dei vinti scritta con vittimismo, è la solita interpretazione cospirazionista delle inchieste di Mani Pulite, è un’insistente ricerca della pietà, una sofferenza ostentata che deprime l’arguzia e la ferocia politica di Bettino Craxi.
1989, cadono i muri. Ex fabbrica Ansaldo di Milano, congresso del Partito socialista italiano numero 45. Il volto di Craxi tracima dalla piramide di Filippo Panseca, è la metà di maggio, è sempre segretario, i garofani che stringe in pugno sono più brillanti che mai, dedica a Sandro Pertini la vittoria col 92,3 per cento dei delegati. Craxi ha lasciato da tempo Palazzo Chigi, non lo sguardo ostile per i comunisti: “Non sai che sono come i ravanelli? Rossi di fuori, ma bianchi e gustosi dentro”. Vincenzo è un ex operaio che il partito ha infilato nel Cda di un’azienda, porta il lutto a una festa, taglia la folla per avvisare il capo: “Entrano nel mio ufficio. Di notte. Ma non sono ladri. Aprono i cassetti, frugano nei registri. Vogliono le prove”.
È l’altro muro che sta per cadere, Craxi finge di non sapere. E Vincenzo l’affronta: “Tu non vuoi che il socialismo ti sopravviva”.
1994 e oltre. Hammamet è il ricovero infelice di un uomo assai malato, condannato dagli ex colleghi di governo e dai giudici italiani. Anita è la figlia Stefania, è l’inconscio che lo protegge in Tunisia. Anita come Anita Garibaldi. Giuseppe è il figlio Vittorio Michele detto Bobo, è l’erede non designato che lo protegge in Italia. Giuseppe come Giuseppe Garibaldi. Nel soffocante buio di Hammamet appare Fausto, un uomo che Craxi ha conosciuto da bambino, enigmatico e strafottente. È lo specchio che angoscia Bettino. Vincenzo, il papà di Fausto, s’è ammazzato. Vincenzo è l’unico compagno che non l’ha tradito, che non l’ha venduto ai magistrati. Fausto ha una telecamera per riprendere le ultime confessioni dell’ex potente ferito a morte però non ancora morto, non più combattivo, non più se stesso, con lo spirito che s’è indebolito assieme al corpo, rassegnato in un luogo che sente esilio, in una lugubre inedia che sembra Lo straniero di Albert Camus. Fausto segue Craxi, mentre addenta gli spaghetti, mentre fuma una sigaretta dietro l’altra, mentre subisce gli insulti dei turisti italiani. Quelli che lo chiamano ladro.
Anita detesta Fausto, perché la figlia ha il fiuto che il padre ha smarrito. Fausto s’incupisce, patisce lo strazio di Craxi, ma è in Tunisia per vendicare il papà e compra una pistola che, per una volta, non si vede e non spara. E poi scompare.
La nostalgia di Craxi è il duello in televisione tra l’imprenditore con la libreria posticcia e l’ex comunista con i baffi, è il racconto della moglie che parlò alla regina Elisabetta in francese, è il gioco del nipote Francesco che circonda con le statuette dei carabinieri gli americani a Sigonella, è l’amante che sfida la rigidità di Anita per l’estremo saluto, è il democristiano che gli rende omaggio con una visita inattesa e gli spiega come ha fregato i magistrati: “Scostumato, come sempre. Superbo. Arrogante. Villano. Tutto quello che un politico non dev’essere. E tu sei un politico, un grande politico. Ma ti scavi la fossa sotto i piedi, da solo…”. E Craxi: “Mi mancava la predica. Ora posso morire in pace”. Non c’è mai una luce giusta ad Hammamet, se troppa è per accecare, se poca è un cavedio da cui Bettino scruta una finta libertà. Craxi viene operato in un ospedale mal ridotto da un chirurgo italiano con la lampada tenuta a mano, a fatica. Va all’aeroporto per rientrare a Milano sotto una pioggia di iconico sapore, rinuncia all’umiliazione di una resa e rimane lì in un punto della Tunisia in cui se non c’è foschia si mostra l’Italia. “Perché per te questa vita è un girotondo/ che abbraccia tutto il mondo, lo so/ ed invece la corsa della vita/ per me si è già fermata negli occhi tuoi”. Canta Cento giorni di Caterina Caselli e poi compendia l’esistenza con un racconto onirico: il ritorno in Parlamento, l’incontro con il “giudice”, i calzoni corti in collegio, il volto del padre, il sacrificio di Ifigenia, le offese violente, la corruzione ovunque. Fausto è rinchiuso in un manicomio, regala ad Anita le registrazioni di Hammamet e le confida che ha spinto il papà Vincenzo dal balcone: “Era un criminale, io ne ho fatto un martire”. Craxi cita la lettera finale di Aldo Moro alla moglie Eleonora, come per fonderne i destini imposti da oscure ragioni di Stato: “Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, cosa ci sarà dopo…”. Non prosegue. “Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo”.
In Hammamet (Benedetto) Bettino Craxi, che pare volesse farsi prete per diventare papa, muore più volte senza sentire come, nel bene e nel male, ha vissuto davvero.