Dei 56.000 groenlandesi, solo 3.000 sono cacciatori con licenza, ma si contano molti più pescatori che fanno del merluzzo la principale ricchezza del luogo, più del turismo e del petrolio. «Siamo noi le prime vittime del cambio climatico perché molti mesi l’anno non possiamo né cacciare né pescare. L’inverno non c’è abbastanza ghiaccio per le slitte o per le motoslitte, che ormai arrugginiscono nei garage, ma c’è spesso troppa neve per uscire con la barca», dice Heilmann.
Non è stata mai violenta, la colonizzazione danese, ma semmai "paternalistica", perché ha costruito ovunque ospedali, aeroporti e centri commerciali, e perché ha dotato ogni remoto villaggio di una scuola e di un ufficio postale. Nella capitale, dove il primo quotidiano in groenlandese fu fondato nel 1868, ci sono il parlamento locale, una mezza dozzina di ristoranti, un bel museo sulla storia degli esquimesi, un’università dal 1987 e oggi perfino un gruppo Lgbt. «In due generazioni gli inuit si sono adeguati alla way of life scandinava ma la loro cultura tradizionale è stata cancellata», ci spiega l’antropologo francese Jean-Michel Huctin dell’Université de Versailles Saint-Quentin-en-Yvelines che incontriamo in un festival rap di Nuuk. Huctin ha trascorso gran parte degli ultimi vent’anni a queste latitudini cercando di capire in che modo, dopo essere riusciti a sopravvivere per secoli a temperature polari, gli inuit hanno saputo adattarsi alle concentrazioni urbane dove i danesi li hanno costretti a vivere, all’inquinamento, e all’invasione e al sopravvento della cultura occidentale. «È stata dura per molti di loro, il che può spiegare l’alto tasso di alcolismo che si registrava soprattutto negli anni 70 e 80 del secolo scorso. Ma il peggio è passato e la Groenlandia è diventata un Paese nordico moderno, dove si contano più cellulari e computer che nel resto d’Europa. Sono tuttavia sempre più numerose le persone che vogliono riappropriarsi del loro patrimonio culturale scomparso. E lo fanno anzitutto mangiando carne di balena, foca, tricheco o renna».
Il buon livello di vita degli inuit è in parte garantito dalla Danimarca che finanzia la metà del budget di questa sua provincia fortemente autonoma, ma alla quale ancora impone il suo esercito, la sua moneta, e la sua politica estera. In cambio, il piccolo regno danese ne trae un grande prestigio geostrategico che altrimenti, con i suoi 5,7 milioni di abitanti, non avrebbe di certo. «E poi, i groenlandesi acquistano prodotti danesi, quindi i soldi versati da Copenaghen sono in realtà una sovvenzione alle proprie industrie», aggiunge l’antropologo. È anche vero che prima che la Danimarca si prendesse a carico questa grande isola, quando la caccia andava male interi gruppi di esquimesi morivano letteralmente di fame. Certo, l’era della foca si è per sempre conclusa molti decenni fa, eppure Heilmann ammette di averne già uccise 200 dall’inizio dell’anno. Questo cacciatore di pinnipedi è convinto che gli inuit siano stati vittime di un falso progresso, inadatto al loro genio. Ma è troppo tardi per tornare indietro. «Siamo in molti a volere l’indipendenza dalla Danimarca ma siamo abbastanza saggi per capire che non è ancora il momento di chiederla. Lo faremo quando avremo raggiunto uno sviluppo sufficiente a mantenere gli alti standard di vita ai quali ci hanno viziati i danesi. A quel punto, poco importerà se ad aiutarci saranno gli americani, i cinesi o i danesi».
Lo scorso luglio la calotta che ricopre l’ 84% dell’isola, in alcuni punti spessa più di tremila metri, s’è sciolta tre volte più in fretta del solito. Poche settimane dopo, la foto scattata da un climatologo danese con i suoi cani da slitta che corrono sull’acqua ha fatto il giro del mondo, anche perché le conseguenze del surriscaldamento riguardano l’intero pianeta. Infatti, solo l’estate scorsa lo scioglimento dei ghiacci groenlandesi ha provocato l’innalzamento degli oceani di un millimetro, e sull’isola c’è tanto ghiaccio da far salire il livello dei mari di 7 metri. Secondo il climatologo Jason Box del Geological survey of Denmark and Greenland, per via dell’inarrestabile aumento delle temperature, questa calotta glaciale è già condannata. «Possiamo solo chiederci quanto veloce sarà la sua scomparsa». Qui, intanto, il cambio climatico ha prodotto anche qualche piccolo effetto virtuoso. In un insediamento vicino a Nuuk, c’è una fattoria con una dozzina di vacche che brucano erba su praterie apparse solo recentemente, e nel sud dell’isola s’è cominciato a coltivare cavoli e patate. Per la prima volta, quest’anno sono perfino cresciute fragole groenlandesi.