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 2019  ottobre 30 Mercoledì calendario

Don Beppe, cinque chiese e 5mila anime

CAVALLERMAGGIORE (CUNEO) – Le frasi di don Beppe rimbombano nel vuoto della canonica, salgono al soffitto, sfiorano le fotografie dei cresimati appese al muro, scivolano sugli armadi di legno scuro e poi gli tornano addosso. L’eco, il silenzio. Ogni cosa sembra spazio da riempire, lavoro da compiere, mansione da svolgere. Il prete è un uomo solo.
In Piemonte i sacerdoti sono calati in trent’anni del 35,1 per cento, è la maggiore decrescita d’Italia. «Lavoriamo sempre di più e la gente crede sempre di meno». Don Beppe Brunato ha 71 anni ed è sacerdote da 40, parroco a Cavallermaggiore, 5mila abitanti, addirittura 27 chiese sul territorio per lo più chiuse, ma cinque sono ancora attive tra le frazioni e il borgo. «La domenica dico sei messe, ogni mattina comincio alla Madonna del Pilone, sono quattro chilometri e col bel tempo ci vado in bicicletta». La sua Atala blu: «Una compagna fedele ». Fedele, almeno lei. «La gente non viene più, non crede più. È cambiato il mondo, noi ce la mettiamo tutta ma non sempre basta».
In Italia c’è un solo prete ogni 1.900 persone: pochi, troppe. E le chiese sono deserte. «Di norma avevamo il vice parroco, il sacrestano, la perpetua, l’organista, era una specie di squadra fissa. Invece oggi dobbiamo arrangiarci, non si sta mai fermi tra funerali, battesimi, messe, catechismo, oratorio, Caritas, gruppi diocesani, e il paradosso è sentire il mondo che si allontana così. Il mondo chiede, a volte pretende eppure si allontana. Io mi sento ancora un pastore di anime, non un funzionario della fede anche se questo siamo, per lo Stato: funzionari, responsabili civili delle ristrutturazioni edili e dell’incolumità dei bambini del catechismo. Se succede qualcosa, per esempio nelle gite, ne rispondiamo noi».
Il cellulare squilla molto, la suoneria è l’Alleluia. Usciamo dalla canonica per incontrare operai ed elettricista. «I muri dell’oratorio stavano crollando, bisognava intervenire. Sono figlio di un muratore veneto, non mi spavento di sicuro ». Scaldare i cuori gelati dall’indifferenza di Dio e decidere se togliere il contatore elettrico. «Andiamo, vi mostro il paese». Le strade sono vuote nel primo pomeriggio e le finestre chiuse, «qui la gente lavora », eppure sembra un borgo di spettri. «In provincia, il parroco è ancora una figura di riferimento ma sempre meno. Le mamme ci mandano i bambini, invece gli asili parrocchiali non esistono praticamente più, anche per le suore c’è una profonda crisi di vocazioni». Sul muro c’è scritto in grande: "Oratorio di San Michele", ma oggi è un pomeriggio di scuola e non c’è nessuno. «I ragazzini hanno agende pienissime, ormai lo sport lo fanno fuori di qui, il tempo pieno scolastico li porta altrove anche se l’Estate Ragazzi è sempre molto seguita».
Non siamo mica in Amazzonia, ancora non servono i preti sposati per colmare i vuoti: o forse sì? «Il primo problema è far tornare la gente a Dio. Abbiamo un Papa molto popolare e amato: quando parla di povertà lo ascoltano tutti, ma se dice che bisogna tornare in chiesa gli voltano le spalle». Eppure se i preti spariscono, se invecchiano lavorando e non hanno ricambio, come sostituirli? «Laici e diaconi già celebrano i funerali, certo senza dire messa. Ed è chiaro che la presenza delle donne dovrà aumentare, però la vera questione è il calo delle vocazioni e, più in generale, della fede. In chiesa vedo solo teste bianche, anziani».
Il 36 per cento dei sacerdoti ha più di settant’anni, proprio come don Beppe che ci accompagna al santuario di Maria delle Grazie, dieci minuti a piedi dalla canonica di San Michele, e poi alla pieve di Santa Maria. «Devo dividermi e lo faccio volentieri, finché il Signore mi darà l’energia vado avanti». Lo aspettano alla Caritas, dove la signora Anita sta preparando i vestiti e il cibo per i poveri «che sono sempre di più». Mille cose da far combinare, le famiglie sfrattate e ospitate in parrocchia, i locali per i 13 immigrati nigeriani che vivono lì, il calcio balilla e il ping pong, la dottrina e la riunione con le catechiste. «Bisogna tenere insieme tutto: la cura delle anime e l’assistenza, l’amministrazione e le funzioni burocratiche, bisogna prendersi cura delle persone ma anche dei muri che si sgretolano con una facilità che non si immagina». I muri come le anime, verrebbe da pensare. E tra poco arriva l’inverno e negli stanzoni della canonica farà freddo, e riscaldare costa. «Se almeno la gente chiedesse i sacramenti perché un poco ci crede e non solo per abitudine, tipo il matrimonio in chiesa che è più bello, certo, ma senza la fede? Perché la fede è altro ». Non c’è tempo per le tristezze, si avvicina Natale, bisogna preparare il presepe nei locali dell’ex peso pubblico. «Il lavoro allontana le stanchezze e la solitudine, che pure esiste ed è un rischio concreto. Tra noi preti ci troviamo ogni tanto a cena e parliamo dei nostri problemi, cerchiamo di aiutarci l’un l’altro, certo ormai nel seminario torinese non ci saranno più di trenta allievi: quando lo frequentavo io, eravamo 250». Il silenzio è interrotto dal canto degli uccellini, l’aria si scuote e don Beppe sorride. «Penso che la Provvidenza dovrà fare gli straordinari».