La Stampa, 29 ottobre 2019
Ancora sulla galleria di Tanzi all’asta
Il catalogo è questo: Monet, Magritte, Chagall, Pissarro, Matisse, Degas, Modigliani, Severini (due), Van Gogh (idem), Grosz, Ligabue, Renoir. E poi: Utrillo, Boccioni, Segantini, Manet, Cézanne, Balla (tre). E ancora: Kandinskij, Toulouse Lautrec, Picabia, De Nittis, Signac, Picasso, Mirò. Un museo in vendita, un incanto all’incanto, che dopo essere stato esposto al pubblico questa sera verrà battuto nella sede milanese della celebre casa d’aste fiorentina Pandolfini.
Però questo quadri non hanno solo una storia artistica, ma anche giudiziaria. Perché i "Tesori ritrovati - Impressionisti e capolavori moderni" che il catalogo indica pudicamente in arrivo «da una raccolta privata» sono in realtà una vendita giudiziaria, e la collezione cui appartenevano è quella di Calisto Tanzi. Lui, il patron della Parmalat, l’uomo più detestato dai risparmiatori italiani, condannato a un numero impressionante di anni di galera per una collezione altrettanto ricca di condanne, aggiotaggio, bancarotta fraudolenta e così via. I quadri furono recuperati, narrarono le cronache, in imprecisati nascondigli svizzeri o anche nel garage dell’imprenditore, poi sono rimasti in deposito alla Galleria nazionale di Parma. Adesso, a quasi 16 anni dal crac, vanno all’asta: il ricavato andrà agli innumerevoli creditori. Un’asta giudiziaria si è già svolta a Parma per i pezzi meno pregiati della collezione Tanzi.
Se i bond Parmalat erano farlocchi e i bilanci taroccati, sui quadri nessun dubbio: «In Italia non ho mai visto andare all’asta un nucleo di opere di questa importanza, e anche all’estero è inconsueto», spiega Pietro De Bernardi, direttore di Pandolfini, annunciando che se ne stanno interessando non solo i privati ma anche le istituzioni: per esempio il Museo Van Gogh di Amsterdam, ingolosito da un’insolita natura morta (base d’asta, 280-350 mila euro) e da un meraviglioso acquerello, un salice di una malinconia devastante (e qui si parte da 200-300 mila euro). Le stime sono abbastanza basse, si fa per dire, «e contiamo che in certi casi siano ampiamente superate», sempre De Bernardi. La più ghiotta spetta alla "Falaise du Petit Ailly à Varengeville" di Monet: da 800 mila al milione e 200.
Già, ma che genere di collezionista era Tanzi? Qui risponde Marco Riccomini, storico dell’arte e curatore della mostra: «Direi un collezionista vorace, che ha inseguito i nomi dei pittori che fanno sognare: in effetti, non ne manca quasi nessuno. Ha avuto certamente qualche buon consigliere». E allora ne scelga lei tre per noi: «Parto con la "Finestra di Dusseldorf" di Balla, uno dei quadri più commoventi del Novecento italiano», e anche sorprendente per chi è aduso al Balla futurista (stima: 70-100 mila euro). «Poi sceglierei "Samois. Etude n.11" di Signac: viene voglia di passarci sopra la mano sopra accarezzare i rialzi del colore» (sempre per il coté bottegaio: da 120 a 180 mila euro). «Infine, il Kandinskij che non t’aspetti, che nel 1905 va a Sestri Levante e dipinge il porticciolo come avrebbe fatto un espressionista» (coraggio, qui bastano - forse - soltanto 250 mila euro).
Saziati gli occhi, sulle papille restano due retrogusti contrastanti. Uno, amaro: queste meraviglie sono pur sempre i resto di un naufragio, i relitti di un fallimento, forse non solo economico ma anche morale e umano, sia che fossero i beni rifugio di un arricchito sia che fossero i giocattoli da adulto di un appassionato vero. L’altro riguarda quella cosa misteriosa che è, alla fine, la giustizia. Il crac della Parmalat, i risparmiatori truffati, i bond fasulli, costarono, secondo varie stime, 14 miliardi. Per quanto costosi siano questi quadri, non sarà certo la loro vendita a risarcirne completamente le vittime e nemmeno a ridare serenità a vite che l’hanno perduta in quel momento. Che però servano almeno in piccola parte a questo dà il sentimento di una giustizia magari un po’ basica, ma per una volta giusta.