Corriere della Sera, 29 ottobre 2019
Stroncatura di Pierluigi Diaco
L’intervista di Pierluigi Diaco a Milly Carlucci è stata all’insegna dello sdilinquimento: un lungo chiacchiericcio da complici (Rai1, sabato, 23,55). La monarca di «Ballando con le stelle» ha rivelato una parte di quello che si nasconde dietro la «corazza», un lungo percorso per fare pace con sé stessa. Ma per favore! Dove appare Diaco si piange, ci si confessa, si fa finta di essere profondi e intelligenti immersi in una civetteria d’agonizzanti. Del resto, nessuno come lui ha saputo navigare nello scorrere degli eventi sapendo compiacere e approfittare per il fine supremo dell’apparire.Il nostro paraguru (il personaggio, non la persona) entrerebbe di diritto ne «Il libro dei mostri» di Rodolfo Wilcock, accanto, tanto per dire, al legnoso Erbo Meglio o al commercialista Occas Navi, in quella galleria dell’incongruo dove è impossibile scindere il tragico dal ridicolo. Ma Diaco non è ridicolo né tanto meno tragico, ruoli troppo gravosi per la sua provvista d’idee. Anche se recita molto bene la parte di chi ostenta le premure della complicità, non ne possiede il sentimento: è una fiamma senza fuoco, che non riscalda, ma non per questo cessa di spandere la sua luce.«Nientologo del tutto, tuttologo del niente», lo aveva definito anni fa Filippo Facci e resta un ritratto perfetto del blando abitatore del piccolo schermo.Tuttavia, è giusto riconoscerlo, ci vuole un certo talento per corteggiare spudoratamente le convenzionalità e programmare con pignoleria carriera e immagine pubblica, per imparare a memoria il codice dell’opinione pubblica. Soprattutto per non avere mai un pensiero ma fingere di averlo. Né gli fa difetto la vanagloria, quell’atteggiamento pieno di sussiego che gli permette di prendersi molto sul serio. Da giovane si esprimeva come un vecchio, corteggiando le smancerie, ora si comporta come un badante premuroso. Con modi educati e seducenti.