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 2019  ottobre 29 Martedì calendario

Giovanni XXIII, l’antipapa

Baldassarre Cossa fu eletto Papa nel 1410 e prese il nome di Giovanni XXIII. Giovanni XXIII? Non è il nome che volle per sé Angelo Roncalli nel 1958 quando salì al trono pontificio come successore di Pio XII? È così. Quel suo predecessore di cinque secoli prima fu infatti un antipapa. Passato alla storia, tra l’altro, come un uomo corrotto, avido, sanguinario, sessualmente depravato. Ed è a lui, non a Roncalli, che Mario Prignano dedica una straordinaria biografia, Giovanni XXIII. L’antipapa che salvò la Chiesa, che sta per essere pubblicata da Morcelliana. In che senso quell’antipapa, secondo Prignano, «salvò la Chiesa»? Nella prefazione al libro, il cardinale Walter Brandmüller, grande studioso di quella complicatissima stagione della storia ecclesiastica, ricorda che Prignano, l’autore del libro, è un discendente della famiglia a cui apparteneva Urbano VI, al secolo Bartolomeo Prignano, la cui elezione dell’8 aprile 1378, fu, dopo appena tre mesi, messa in discussione. E fu contestata da parte di un gruppo di cardinali ribelli con la nomina di un antipapa, atto che portò allo scoppio dello Scisma d’Occidente (1378-1417).
Brandmüller loda l’autore del libro per aver preso le distanze «dal mainstream della storiografia» che ha sempre dipinto «e tuttora dipinge» il Giovanni XXIII del Quattrocento – ultimo Papa dello scisma del cui inizio ai tempi di Urbano VI si è testé detto – «con colori tetri e tratti brutti» attenendosi al racconto di Teodorico de Niem, ufficiale della Curia romana nonché accanito nemico di Cossa.
Brandmüller riconosce a Cossa di aver assunto «un ruolo decisivo» nel ricomporre l’unità della Chiesa. Chiesa ulteriormente divisa – in seguito al Concilio di Pisa (1409) – in tre obbedienze riconducibili ad altrettanti Pontefici (oltre a Giovanni XXIII, Angelo Correr, che prese il nome di Gregorio XII, e Pedro de Luna, alias Benedetto XIII). Il merito che va riconosciuto a Cossa, scrive Brandmüller, è dunque quello di aver convocato «con l’aiuto di Sigismondo, re dei Romani nonché futuro imperatore» il Concilio di Costanza (1414-1418). Accettando di convocare quel Concilio, secondo Brandmüller, Giovanni XXIII «fece i primi passi decisivi verso il recupero dell’unità della Chiesa».
Il maggiore segno che questo antipapa ha lasciato nella storia della Chiesa, aggiunge Prignano, sta nel ruolo da lui giocato a Costanza. Concilio a cui Cossa non era stato per principio contrario, anche se, prima di concordarne con Sigismondo la convocazione oltralpe, aveva sperato di «poterlo organizzare in territorio italiano o comunque lontano da influenze esterne sgradite (come poteva esserlo quella imperiale)» e di «poterne ricavare la sospirata definitiva legittimazione universale a danno degli altri due contendenti».
Pur intuendo con precisione i pericoli derivanti dalla scelta di Costanza, Cossa decise ugualmente di andare «per mancanza di alternative e per il timore della reazione di Sigismondo», ma anche «per un senso di fatalismo tipico della persona (senza scomodare le sue origini napoletane e marinare) che lo portò a fidarsi senza troppo riflettere delle rassicurazioni fornite dai suoi cardinali, peraltro gli stessi a cui incredibilmente aveva dato carta bianca nel definire con il re la sede dell’assise». «Ammetto che non sarebbe saggio affidarsi a gente che non conosco e che il Concilio non è una cosa che fa per me», confidò Cossa prima di prendere la decisione di varcare le Alpi, «ma che posso farci se sento che il mio destino mi porta lì».
Chi era Baldassarre Cossa? Fu eletto Papa tra i quaranta e i cinquant’anni, erede di una famiglia ischitana arricchitasi nei mari anche attraverso la pirateria. Ricchezze grazie alle quali – ma ancor più ai favori di un suo predecessore con lui imparentato, Bonifacio IX (al secolo Pietro Tomacelli) – fece una rapidissima carriera ecclesiastica. Divenuto Papa, Cossa ebbe a che fare con l’imperatore e re dei Romani Sigismondo, che lo costrinse a impegnarsi per la riunificazione della Chiesa. E a convocare, contro la propria volontà iniziale, il Concilio di Costanza.
Nell’autunno del 1414 Giovanni XXIII raggiunse dunque il lago di Costanza. Ai primi di novembre iniziò il Concilio. Sigismondo mise immediatamente in chiaro quale fosse lo scopo di quelle assise e chiese che lo scisma venisse «estirpato». Cossa tentennò, ma poi accettò di dimettersi da Pontefice, la cosiddetta «cessione», a patto ovviamente che lo stesso facessero gli altri due Papi. «Io, Giovanni Papa XXIII», disse, «per la pace del popolo cristiano, spontaneamente e liberamente dichiaro, m’impegno, prometto e giuro e faccio voto a Dio, alla Chiesa e a questo sacro Concilio di dare pace alla Chiesa di Cristo attraverso la semplice via della cessione, di realizzarla concretamente secondo la decisione del presente Concilio, se e quando Pedro de Luna e Angelo Correr, chiamati nelle loro obbedienze Benedetto XIII e Gregorio XII, cederanno direttamente o attraverso loro procuratori il diritto al pontificato che pretendono di avere… Questo avverrà se cederanno o se moriranno o in qualunque altro caso in cui la mia cessione potrà servire a dare unità alla Chiesa e a estirpare il presente scisma». Correr accettò, de Luna no. A quel punto Cossa pensò di esser caduto in un tranello, si impaurì e decise di abbandonare il Concilio.

Quando la notte del 20 marzo 1415 – appoggiato da Federico d’Austria – fuggì da Costanza sostenendo che all’origine della decisione era «un malessere causato dall’aria malsana», non fu però, secondo Prignano, per un ripensamento rispetto alla promessa di cessione del papato: a quelle dimissioni si era già rassegnato e già tre volte le aveva annunciate al cospetto dei padri conciliari. Temeva piuttosto di fare la fine di Celestino V, l’uomo del «gran rifiuto», che in seguito all’abdicazione nel 1294 – dopo appena cinque mesi di pontificato – era stato rinchiuso dal successore, Bonifacio VIII, nella rocca di Fumone fino alla morte avvenuta due anni dopo, nel 1296. Vedeva in pericolo, insomma, la propria incolumità.
Costanza in quel momento stesso piombò nel caos. Dopo l’addio di Giovanni XXIII, scrive Prignano, i più si convinsero che, in assenza del Papa che l’aveva convocato, il Concilio era da considerarsi sciolto. Tra gli ecclesiastici alcuni si disperavano perché «ancora una volta lo scisma l’aveva avuta vinta», altri si preparavano «a far fagotto incerti se puntare verso i Paesi d’origine o seguire il Pontefice nella sua nuova residenza». Nel giro di qualche ora, «non meno di duecento tra segretari pontifici, inservienti e ufficiali di Curia» si misero in cammino verso Schaffhausen, dove si era rifugiato l’antipapa Giovanni. Altre centinaia di stranieri, soprattutto italiani e austriaci, connazionali del Pontefice e del duca Federico d’Austria suo grande sostenitore, si dileguarono per paura di ritorsioni.
Ovunque si vedevano «botteghe chiudere in fretta i battenti mentre, approfittando della confusione, gruppi di malintenzionati si gettavano sui palazzi che iniziavano a svuotarsi»: tra questi edifici quello del Papa fu il primo a essere saccheggiato. Il borgomastro chiamò alle armi i cittadini, molti dei quali, però, «preferirono blindarsi in casa, nascondere i beni più preziosi e attendere il passaggio della bufera». Nel tentativo di riportare la calma in città, re Sigismondo si lanciò al galoppo per le vie di Costanza, preceduto da schiere «di trombettieri e araldi dalla voce possente incaricati di minacciare i razziatori e rassicurare i più timorosi». 
Certo, neanche la fuga di Baldassarre Cossa fu tranquilla. Per qualche settimana, sostenuto da Federico d’Austria, in viaggio tra Schaffhausen e Friburgo, è perfino possibile, secondo Prignano, che Giovanni XXIII avesse sperato in tempi e condizioni migliori in cui avrebbe potuto deporre la tiara senza rischi per la sua persona. Ma poi fu «la stessa valanga messa in moto da quella sua folle e ingiustificabile diserzione a travolgerlo».

Tanto più che nello scontro tra Federico e Sigismondo la paura dei porporati che avevano seguito Giovanni XXIII non era, scrive Prignano, di finire nelle mani di Sigismondo «ma, al contrario, di restare troppo a lungo in quelle del suo nemico, Federico». I cardinali, insomma, temevano che «continuando a scappare insieme al Papa e al duca avrebbero finito per trasformarsi in ostaggi alla mercé di quest’ultimo, che prima o poi avrebbe potuto… servirsene in una trattativa per salvarsi la vita». E così andò: Federico consegnò Giovanni XXII all’imperatore, che lo imprigionò e lo sottopose a processo. 
Processo peraltro già istruito. Due mesi dopo la fuga, a fine maggio 1415 a Costanza si decise di deporre il Papa fuggito, scaricando su di lui una impressionante quantità di accuse. E «sembrò normale inserire tra queste anche la fuga», concepita, si disse, «per far fallire il Concilio». In realtà non era stato questo lo scopo di Giovanni XXIII, ma ormai contro di lui fu ammesso qualsiasi capo di imputazione. Nel processo che seguì, Cossa fu accusato di aver amministrato il pontificato «in modo indecente, scandaloso e disonesto». D’essere simoniaco – come sostenne l’arcivescovo di Bari Landolfo Maramaldo – sodomita e perfino maomettano. Maomettano? L’arcivescovo di Milano, Bartolomeo della Capra, asserì che Baldassarre aveva ammesso «di discendere da un nonno o un bisnonno saraceno, abitante in un’isola del Regno di Sicilia dove era sbarcato come prigioniero dei pirati». E, in un momento di intimità, gli avrebbe confidato che riteneva essere «da bestia» il credere nella resurrezione dei morti.

Nel maggio del 1415 Giovanni fu deposto e rinchiuso in un castello da cui in extremis avrebbe tentato di evadere. Ma senza fortuna. L’11 novembre 1417 fu eletto Papa di una Chiesa riunificata Martino V (Oddone Colonna), che era stato in passato un fedelissimo di Giovanni XXIII (lo aveva seguito nella fuga da Costanza, anche se poi era tornato spontaneamente nell’assemblea conciliare). Martino non dimenticò Cossa: nel 1418 lo fece liberare, lo «perdonò» e gli concesse di rientrare nel Sacro Collegio, nominandolo vescovo del Tuscolo. L’ex antipapa morì l’anno successivo, nel 1419.
Bilancio della sua esperienza? Convocando il Concilio di Costanza e recandovisi nonostante tutto, sostiene Prignano, Cossa ha mostrato, «pur in modo contraddittorio e incerto», un qualche «senso di responsabilità che però non ha retto alla prova dei fatti», perché nel giro di qualche settimana si è tramutato in terrore panico per la propria incolumità al punto di indurlo ad «abbandonare Costanza come il pastore abbandona le pecore davanti al lupo». Trascinandolo senza possibilità di redenzione dalla parte del torto. È questo «complicato miscuglio di fatalismo, di furbizia spicciola e di paura, non l’ostinato rigetto di qualunque ipotesi di rinuncia o il colpevole disinteresse verso la divisione della Chiesa ad aver caratterizzato», secondo Prignano, il rapporto tra Cossa e il Concilio che lui convocò e che poi lo depose. 
Cinque secoli dopo, il 27 settembre 1958, un mese prima di essere eletto Papa, il cardinale Angelo Roncalli, in visita a Lodi, davanti a un quadro che raffigurava un Pontefice seduto sul suo trono in posa benedicente (probabilmente si trattava di Pio VI) lo scambiò o finse di scambiarlo per Baldassarre Cossa e disse, al cospetto di un uditorio alquanto sorpreso, che quell’uomo degli inizi del Quattrocento «in fondo» aveva avuto «il merito» di convocare il Concilio di Costanza che aveva restituito l’unità alla Chiesa. Poi prese il nome pontificale di quel Papa lontano nel tempo e ciò rese ancor più rilevante il «riconoscimento» di Lodi. Riconoscimento che in un certo senso anticipava le tesi sostenute adesso esplicitamente e con solidi argomenti storiografici da Brandmüller e Prignano.