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 2019  ottobre 29 Martedì calendario

«Perché l’Archivio vaticano non è più segreto»

Muore l’Archivio segreto vaticano. Nasce l’Archivio apostolico vaticano. «Ecco il motu proprio di Papa Francesco che abolisce l’intestazione “secretum”...». Monsignor Sergio Pagano, custode dei misteri più ambiti del mondo, posa sulla scrivania i tre fogli con i quali, il 22 ottobre scorso, Jorge Mario Bergoglio ha deciso di cancellare quattro secoli di storia pontificia. È un ligure dai modi asciutti. Veste semplicemente, con una blusa talare grigia a mezze maniche col collarino ecclesiastico, che porta fuori dai pantaloni neri, e calza un paio di sandali di cuoio. Dalle grandi vetrate a mezzaluna protette dalle inferriate dello studio di Pagano, Prefetto di questa mitica istituzione da oltre vent’anni dei quarantadue passati lì, si scorge la casina dell’Accademia Pontificia delle scienze. E ai piani superiori e inferiori giacciono ben custoditi milioni di volumi e documenti che raccolgono quello che un tempo fu definito l’archivio centrale dell’Europa, e ora si può dire lo sia di un intero mondo. Si parlò di Archivum Secretum Vaticanum a partire dal 1646. Ma quell’aggettivo, «segreto», ha cominciato a «essere frainteso, colorato di sfumature ambigue, perfino negative», scrive Francesco nel documento reso noto ieri. Dunque, si cambia.
Perché Francesco ha deciso di cancellare l’aggettivo «segreto»?
«La decisione si deve alla forte sensibilità del Papa di fronte a un’esigenza di trasparenza. La sua volontà è che la Chiesa agisca senza quelle che possono essere considerate tendenze o tentazioni a nascondere, o faziosità».
Sì, ma in concreto che cosa cambia?
«Cambia il titolo. Non vengono modificate né la struttura né la funzione dell’archivio. Il problema è di avvicinarlo alla sensibilità della gente comune, di evitare l’“accezione pregiudizievole di nascosto da non rivelare e da riservare a pochi”, come scrive papa Francesco. Comunque, anche con l’aggettivo “segreto” l’archivio era stimato dovunque. Cambiando l’intestazione si avvicina agli altri archivi storici del mondo non segreti». 
Per capire: significa che ad esempio gli archivi su Pio XII saranno consultabili liberamente nella loro totalità?
«Da marzo prossimo sì, come previsto. Vede, a prescindere dal cambiamento dell’intestazione, l’Archivio vaticano all’atto di ogni apertura di pontificato rende disponibili tutte le sue fonti. Quindi anche prima di questo motu proprio le fonti sono state preparate per la consultazione degli studiosi nella loro totalità». 
Ma da adesso nell’archivio non ci sarà più nulla di segreto?
«Nulla, tranne alcuni tipi di documenti precisati nella legge del 2005 sugli archivi della santa Sede, emanata da San Giovanni Paolo II. Tutto il resto era ed è consultabile».
Quali sono i documenti che rimangono segreti?
«Gli atti dei Conclavi, i documenti del Pontefice e dei cardinali, i processi vescovili, le posizioni sul personale della santa Sede e le cause matrimoniali, oltre ai documenti indicati come tali dalla Segreteria di Stato. È tutto scritto».
Dell’ultimo Conclave, dunque, non si saprà nulla.
«Vi erano già disposizioni a riguardo del segreto del Conclave. E anche la legge sugli archivi di cui parliamo recepisce queste riserve. I risultati non potranno essere di dominio pubblico. D’altronde, le schede sono state bruciate. Ci saranno forse solo i sommari sui voti dei candidati». 
Scusi, ma non rischia di essere un’operazione gattopardesca? Si cambia il nome dell’Archivio segreto ma tutto rimane come prima.
«Capisco che un simile sospetto possa venire in mente alle persone comuni. Tuttavia, conoscendo lo stile del Papa, così diretto e attento alla sensibilità dei nostri tempi, questo sospetto non ha motivo di sussistere».
Quando ha saputo che Francesco voleva cancellare il «segreto»?
«Ne siamo venuti a conoscenza il cardinale archivista José Tolentino de Mendonca e io alcuni mesi fa».
Nel redigere il documento il Papa le ha chiesto un parere?
«Come spesso avviene in Curia, è naturale che il Papa nella sua prudenza chieda pareri e suggerimenti a organismi interessati dalle sue decisioni. Così è capitato sia al cardinale de Mendonca che a me di offrire la nostra esperienza». 
E al di là del Papa, chi premeva per questa novità?
«Di preciso non ne sono a conoscenza. Ma penso che le maggiori obiezioni sulla conservazione di un aggettivo così ambiguo come “segreto” provenissero dalla chiesa statunitense, tedesca e latino-americana». 
Voi vivete anche di donazioni. Questa novità le favorirà o le danneggerà?
«Penso onestamente che in buona parte la mutazione del titolo non creerà perplessità in nessuno dei nostri benefattori. Per un’altra buona parte, penso che avere tolto ogni minimo sospetto o falsa concezione di segretezza possa anche indirettamente favorire di più le donazioni in diverse nazioni del mondo».
Lei è Prefetto dell’archivio segreto vaticano da oltre vent’anni. Non soffrirà una crisi di identità adesso?
«Neanche tanto... anche perché io ho sempre considerato l’Archivio segreto come tale nella sua accezione originaria di “privato”, senza intenderlo nel senso deteriore che gli si dà oggi. È da quattro secoli che siamo aperti a chi richiedeva copie dei documenti, sia studiosi laici che ecclesiastici. Gli storici sanno bene che intere collezioni di documenti papali dagli eredi dei secoli XVII-XIX (penso, ad esempio, ai Bullaria dei vari ordini religiosi, ma anche agli Annales di Cesare Baronio sulla storia della Chiesa) così come singole monografie sui papi e sul papato, non sarebbero state possibili senza l’aiuto prestato ai diversi studiosi dall’Archivio Segreto Vaticano in tali secoli».
Neanche un po’ di nostalgia come custode di tanti segreti? Lei è identificato con l’Archivio segreto.
«Come studioso e come prefetto fino a questo motu proprio e a quanto esprime in esso il Santo Padre, non ho mai avvertito la necessità di giustificare il titolo di Archivio segreto. E quando ne sono stato richiesto in conferenze, lezioni, articoli, ho sempre potuto spiegare agevolmente che quel “secretum” voleva solo dire “privato”. Non è mai stato l’archivio dello Stato pontificio prima, dello Stato vaticano poi. È solo l’archivio privato del Papa, sottoposto in tutto alla sua esclusiva giurisdizione. Tuttavia capisco bene che forse appartengo a una generazione per la quale il latino parla ancora, e il latino non è una lingua facilmente equivocabile. Ora, nella contingenza moderna comprendo pure le giuste osservazioni di papa Francesco legate al bisogno di avvicinare l’istituzione anche al sentire comune».
Scusi ma che differenza c’è tra «segreto» e «apostolico»?
«Si tratta di termini storicamente e giuridicamente quasi sinonimi. Segreto significa privato, apostolico vuol dire del domnus apostolicus, che nel lessico curiale antico e moderno indica solo il Papa. Quindi rimane l’archivio del Papa».
Non teme le critiche? Prima gliele facevano come prefetto dell’Archivio segreto, ora magari gliele faranno per avere accettato questa novità.
«Il Papa ha deciso, e io come tutti dobbiamo non solo obbedire ma collaborare».
Secondo Lei, tra quattrocento anni magari l’Archivio tornerà a chiamarsi segreto, se esisterà ancora? 
«Non penso proprio. Questa decisione avvicina le due istituzioni “parenti” della Biblioteca e dell’Archivio. E segna una svolta storica di grande peso: soprattutto simbolicamente».