la Repubblica, 29 ottobre 2019
Volley, una giocatrice su 5 si laurea
Memoria, intelligenza, applicazione. Il volley aiuta nello studio, ma dedicarsi allo studio non impedisce di avere un’ottima carriera nel volley. Almeno è quello che accade nella Serie A di pallavolo femminile, il campionato più “studioso” d’Italia. Tra A1 e A2 le ragazze in possesso di una laurea o quelle prossime a conseguirla sono ben 95, il 20,6% delle 460 giocatrici totali. Una su cinque, una percentuale altissima se confrontata, ad esempio, con il campionato di basket maschile (gli italiani laureati sono appena il 5,5% del totale) o con la Serie A di calcio, dove non si arriva all’1%. Un dato, quello del microcosmo del volley rosa, che sfiora la media nazionale assoluta dei laureati, il 26% tra gli italiani di età compresa tra i 25 e 34 anni. Numeri quasi incredibili, se si pensa alle difficoltà “pratiche” della vita di atleta. E altissima è anche la percentuale tra i maschi: in Superlega si sfiora addirittura il 25%, con proporzioni però ribaltate tra laureati (10) e laureandi (37).
«Non è per tutti – spiega Maria Luisa Cumino, palleggiatrice della Unet E-Work Busto Arsizio, nata a Chieri – È molto complicato conciliare orari, routine di allenamento, studio, frequenza alle lezioni, esami». Laureata in Ottica e Optometria a Torino. A 27 anni il suo futuro è già iniziato: «È molto importante, per me, tenere vive entrambe le carriere. Per la tesi ho condotto uno studio sulle mie compagne di squadra, dal titolo “Abilità visive nella pallavolo”, ho unito studio e sport, avrò un lavoro nelle mani dopo la carriera nel volley, è fondamentale». Un messaggio molto importante per chi si avvicina alla pallavolo: è possibile. Dura, ma possibile. «Ricordo le sveglie – racconta Virginia Berasi, regista della Delta Informatica Trento (A2) e laureata in Ostetricia a Udine – al mattino presto, prima di andare a lezione, assai prima delle otto. Poi, tornata a casa, pranzo, palestra, allenamento, così per cinque anni. Laurea dura, ma la pallavolo insegna a essere metodici, a scandire il tuo tempo, le tue giornate e viceversa, lo studio apre la mente, ti fa vedere cose in campo che non immagineresti, e questo vale soprattutto per una palleggiatrice. Tornassi indietro lo rifarei mille volte. So che è molto dura, soprattutto per le ragazze nel giro della Nazionale, che sono impegnate praticamente 11 mesi l’anno. Ma è molto positivo l’approccio che le università hanno nei confronti degli studenti-atleti. Non ti fanno sentire uno studente di serie B». Anche la capitana azzurra Cristina Chirichella è iscritta alla Cattolica di Milano, Scienze motorie. Durante il Mondiale 2018, nei piccoli ritagli di tempo, era su “Lineamenti di teoria e metodologia del movimento umano”. A un certo punto era diventato un rito scaramantico. «Studiare mi completa» raccontò lei.
Tra i maschi, a Piacenza, società tornata in Superlega (e in panchina c’è Andrea Gardini), hanno organizzato un contest, dedicato ai propri atleti capaci di sostenere almeno due esami universitari entro la sessione di giugno. Quest’anno ci sono riusciti in quattro, Fabio Fanuli, Ma ttia Cereda e Matteo Beltrami (Scienze motorie all’Università Telematica San Raffaele) e Riccardo Copelli, iscritto a Economia alla Cattolica di Piacenza. Il sito internet della Legavolley ha una pagina dedicata alle tesi di laurea prodotte da pallavolisti, ce ne sono decine, un’iniziativa che premia e sottolinea l’importanza della doppia carriera.
Dal canto suo, la Legabasket ha commissionato uno studio per capire come si possano accompagnare i giocatori verso una carriera universitaria soddisfacente, sulla scia del modello americano. Almeno un paio di atenei italiani hanno iniziative ritagliate sulle esigenze degli sportivi. La Luiss mette a disposizione il programma Top Player, che in quattro diverse forme offre borse di studio e un servizio di tutor. Dal 2011 anche l’Università di Trento ha una proposta simile, il programma Top-Sport. Nel volley l’ateneo trentino ha una sua squadra nella nuova A3. Nel rugby diversi Cus, i centri sportivi universitari, sono in A: Milano, Genova, Torino, Perugia. Mens sana in corpore sano, dev’essere vero.