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 2019  ottobre 29 Martedì calendario

Intervista ad Al Pacino

«Ho recitato in The Irishman per merito di Robert De Niro. Per me è come un fratello, mi fido di lui». Al Pacino, 79 anni, è uno che ha sempre selezionato con cura i film in cui recitare. E la sua interpretazione in The Irishman è considerata una delle migliori della sua eccezionale carriera, culminata con il premio Oscar conquistato nel nel 1992 con Profumo di donna.

Nato nel Bronx da una famiglia di origine siciliana nell’aprile del 1940, è uno degli attori più influenti e studiati della sua generazione. Da anni alterna la sua passione per Shakespeare e il teatro a film che non ha mai scelto per l’aspetto commerciale. Di recente ha anche sperimentato la televisione, girando per Amazon una serie di 10 episodi intitolata The Hunt. Lo abbiamo incontrato al Four Seasons Hotel di Beverly Hills, dove arriva con passo svelto, i capelli lunghi tinti di scuro legati con un codino; si alza, cammina, gesticola.

E parla veloce, racconta, senza interrompersi.

Lei e De Niro vi conoscete da una vita. Come è nata la vostra amicizia?

«L’ho incontrato quando avevamo vent’anni. Un giorno me lo sono trovato di fronte, sulla 14esima Strada. All’epoca la mia meravigliosa compagna, Jill Clayburgh, che purtroppo non c’è più, conosceva Robert dai tempi della scuola di recitazione, e avevano lavorato insieme in film con Brian de Palma. Quel giorno lo incrociamo per strada e lei me lo ha presentato: non lo dimenticherò mai. Ho anche chiesto a Jill, chi è questo tipo? Sentivo che aveva qualcosa di speciale. E lei mi ha detto, “è un grande attore, ho lavorato con lui”. Poi siamo saliti alla ribalta più o meno nello stesso periodo, nei primi anni Settanta: io facevo teatro, lui molto cinema. Le nostre carriere hanno cominciato a prendere percorsi paralleli, ed eravamo spesso paragonati uno all’altro, anche se eravamo molto diversi. Ogni tanto riflettevamo insieme su quello che significava diventare famosi: non era come adesso, per noi era un universo sconosciuto».

Come è nata la sua passione per la recitazione?

«A 10 o 11 anni iniziai a partecipare alle recite a scuola per saltare le ore di matematica. Un giorno qualcuno mi disse: “tu sarai il prossimo Marlon Brando”, ma io non avevo idea di chi fosse. Poi ho dovuto lasciare la scuola a 15 anni per lavorare, mia madre si era ammalata, io vivevo da solo nel Greenwich Village e facevo lavoretti per aiutarla. Intorno ai 16 anni ho fatto un provino per caso all’Actor’s Gallery, che faceva un tipo diverso di teatro. A quel punto mia madre era morta, io ero solo e senza tetto, ma sul serio, e ho finito per dormire in quel teatro, la notte, dopo le recite. Mi bastava una birra, stavo insieme agli altri attori. Poi recitai in The Creditors di August Strindberg ed è scattato qualcosa, in quel momento ho capito che questo lavoro mi avrebbe salvato la vita, e così è andata. Ho scoperto che è quello che volevo fare. Sono stato fortunato».

Eppure a un certo punto lei per quattro anni aveva anche smesso di recitare.

«Sì, che è un tempo molto lungo per un giovane. Ma non sapevo bene cosa stessi facendo, avevo fatto dei film che non erano andati bene: ho pensato, provo a fare qualche altra cosa. Ma poi ho incontrato Diane (Keaton, ndr ) e sono stato con lei per parecchi anni, e grazie a lei ho conosciuto a Parigi una delle mie più care amiche, l’attrice Marthe Keller, e sono state loro che mi hanno convinto a tornare. E così ho fatto, ma è una decisione che ho preso anche perché non avevo più un soldo e sono stato costretto a farlo! (ride)».

Da allora come è cambiato per lei il modo di recitare?

«Non è cambiato. È come quando suoni l’oboe, puoi avere successo ma il tuo strumento è sempre l’oboe. Nel caso di un attore, tu sei lo strumento e hai un certo tipo di suono. Quando reciti cerchi di capire il personaggio e che legame ha con la tua vita, con la tua realtà, qualunque sia il tipo di film che stai facendo. Scorsese ha il suo modo di interpretare il mondo, e me lo ha spiegato. Ho una grande familiarità con il mondo del cinema, ma allo stesso tempo lui lo guarda attraverso lenti diverse».

A proposito di Scorsese, quanto sapeva di Jimmy Hoffa prima di The Irishman?

«Tutti sapevamo un po’ di Hoffa, e soprattutto della sua misteriosa sparizione – il corpo non è mai stato trovato - ma da lontano, e come sempre quando so che devo interpretare un personaggio ho fatto una grande ricerca. C’è molto materiale filmato su di lui, che mi ha aiutato molto. Ho scoperto delle cose importanti e cercavo di ricollegarle a quello che c’era scritto sul copione. Studiandolo mi avevano sopreso un paio di cose: innanzitutto che probabilmente era la seconda persona più popolare negli Stati uniti all’epoca, dopo il Presidente, era davvero un’icona perché era guidato da una passione reale come sindacalista e da un bisogno di aiutare i lavoratori. In quel senso era un visionario».

Ha 79 anni. I vantaggi di invecchiare?

«Dovrebbero essercene, vero? (ride, ndr ) Forse è vero che a una certa età pensi di essere più saggio, ma non è vero niente. Ho solo più esperienza, e mi sento meglio rispetto alle cose, alla gente, a questo incredibile mondo. E il mio lavoro cambia, non ti offrono più gli stessi ruoli. Ora per esempio voglio cominciare a concentrarmi su certe cause civili, voglio recitare per aiutare la gente a unirsi e leggere, che sia nelle prigioni o in altri luoghi in cui le persone sono in difficoltà. Sono sempre pronto a mettere in scena qualcosa, soprattutto Shakespeare, che puoi leggere e rileggere e ogni volta ci trovi qualcosa di diverso».

In cosa trova la motivazione ogni giorno?

«I miei figli innanzitutto, che sono una cosa che cambia costantemente, con alti e bassi, ed è divertente, oltre che essere il mio mondo. E poi ho appena fatto una grossa serie per Amazon, The Hunt, 10 episodi, una cosa nuova per me.

Sono tempi e ritmi diversi rispetto a quelli dei set cinematografici, non c’ero abituato, è un altro mondo. Ed è interessante. Non posso dirne molto perchè il mio è un personaggio chiave. Se vi dicessi chi è, potreste indovinare se poi ci sarà una seconda stagione!».