Fabrizio Peronaci per il “Corriere della sera - Edizione Roma”, 28 ottobre 2019
RE CECCONI, IL MISTERO CONTINUA - I DUBBI DEL FIGLIO DI MAESTRELLI: “MAI CREDUTO ALLO SCHERZO DELLA RAPINA. SONO SICURO CHE ‘CECCO’ NON DISSE NULLA, NÉ TANTOMENO "QUESTA È UNA RAPINA!" NON ERA NELLE SUE CORDE. ENTRÒ NELLA GIOIELLERIA CON LE MANI IN TASCA E IL BAVERO ALZATO PER IL FREDDO. GHEDIN FECE A TEMPO AD ALZARE LE MANI, VEDENDO LA PISTOLA, CECCO NO: IL SUO TENTATIVO DI SCANSARE IL COLPO FU FATALE, PERCHÉ… -
«Io c' ero, fuori da quella gioielleria. Era buio, faceva freddo. Babbo ci aveva lasciato da poco più di un mese e in quegli istanti, steso su un marciapiede vicino casa, in attesa dell' ambulanza, se ne stava andando anche Cecco». Bella e terribile, la vita. «Vero. Ci aveva riservato la gioia più grande e ora ci presentava un duro conto...»
Lui era a terra e «Cecco era stato portato fuori dal negozio e qualcuno gli sosteneva la testa» Maestrelli, Re Cecconi. Il mister dello scudetto e la mezzala più amata. Trionfi e tragedie. Radiocronache sportive e fattacci di nera. Era appena iniziato un anno cruciale della storia italiana, spartiacque tra la fantasia al potere e il crepitio delle armi, quando la traiettoria tragicamente perfetta di un colpo di pistola Walther 7.65 consegnò alla storia cittadina una delle pagine più sconvolgenti.
Era il 18 gennaio 1977, ore 19.30. Il calciatore della Lazio Luciano Re Cecconi, 28 anni, sposato, due figli, entrando con il collega (terzino) Pietro Ghedin nella gioielleria di un amico in via Nitti, a Collina Fleming, pensò di fare uno scherzo, stando alla versione accreditata. Si tirò su il bavero ed esclamò: «Fermi tutti, questa è una rapina!» L' orefice, Bruno Tabocchini, fu una saetta: impugnò la pistola e sparò. Un unico colpo. Al cuore. Re Cecconi ebbe solo il tempo di dire, stramazzando, «ma io scherzavo» Titoli di scatola sui giornali.
Lo sport in lutto. L' Italia sconvolta. Due famiglie si ritrovarono legate per sempre. Due cognomi-idolo della curva Nord, gli artefici, assieme a "Giorgione" Chinaglia, del tricolore del 1974. Papà Tommaso, l' allenatore, era morto il 2 dicembre 1976 per un tumore. Massimo Maestrelli, broker, ex procuratore di calcio, oggi ha 56 anni ed è l' unico che può ricordare. Anche Maurizio, il fratello gemello, è mancato. Anche la sorella Patrizia. Sempre lo stesso male.
La memoria selettiva l' aiuta a scartare i brutti ricordi? «Macché, mi sembra ieri. Avevo 14 anni. Quella sera io e Maurizio tornavamo dalle ripetizioni di latino da casa di nostra cugina Bina. Man mano che ci avvicinavamo, il brusio cresceva. Arrivati davanti al negozio, infilandoci nella folla, capimmo: Cecco era stato portato fuori. Facemmo in tempo a guardarlo in viso e a chiedergli cosa fosse successo. Lui ricambiò con lo sguardo dolce. Ma non parlò, era stordito».
L' Angelo biondo, così lo chiamavate. «Ci legava un affetto fortissimo. Babbo non voleva che i suoi calciatori avessero contatti con noi figli, soprattutto per evitare storie con le mie due sorelle, ma con lui aveva fatto eccezione. Già dai tempi di Foggia, Cecco una volta a settimana ci portava al cinema, a mangiare una pizza, il gelato. Avrò avuto 7 anni... Nel film "Ninì Tirabusciò" Monica Vitti s' era alzata la gonna, facendo "la mossa", e io e Maurizio restammo colpiti, emozionati. Lui era lì con noi. Restò il nostro segreto con Cecco».
Quella sera, in via Nitti «Tutti ci guardavano come i fratellini minori. L' ambulanza non arrivava e Cecco fu caricato su un' auto. Tornammo di corsa a casa, tra le braccia di mamma, a raccontarle cos' era successo, ma l' aveva già saputo da un' edizione speciale del tg. Poi tutti noi Maestrelli andammo al San Giacomo, ma Cecco era volato via».
Muore giovane chi al cielo è caro. «Ci ho pensato. Io e Maurizio ci siamo detti tante volte "se fossimo arrivati 5 minuti prima, Cecco si sarebbe fermato a parlare con noi e sarebbe vivo" . Sembrerà strano, ma da quel doppio terribile lutto la mia famiglia ha tratto valori positivi. Ci ha insegnato ad affrontare gli altri dolori e a capire che c' è qualcosa, oltre la vita su questa terra». Maestrelli - Re Cecconi, sodalizio unico. «Emozioni da riempire una vita. Cecco con babbo a Foggia, babbo alla Lazio che chiede Cecco e Bigon, Lenzini che ne concede uno solo e lui sceglie Cecco. Lo scudetto vinto, purtroppo, contro il "loro" Foggia. Entrambi campioni e volati troppo presto. Babbo portato al funerale dai ragazzi, e Cecco davanti, impermeabile bianco e occhi gonfi: un' immagine che ancora mi commuove».
La ricostruzione è stata posta in dubbio. Tanti ipotizzano che Luciano quella frase scherzosa non l' abbia pronunciata. Stefano, il figlio, è amareggiato perché suo padre «è stato fatto passare per cretino». Cosa ne pensa? «Ci fece male la superficialità di chi volle liquidare il tutto parlando del solito gesto stupido di un calciatore. L' opinione pubblica era innocentista, l' orefice fu assolto. Noi non eravamo nella gioielleria, ma sono sicuro che Cecco non disse nulla, né tantomeno "questa è una rapina!" Non era nelle sue corde. Entrò con le mani in tasca e il bavero alzato per il freddo. Ghedin fece a tempo ad alzare le mani, vedendo la pistola, Cecco no: il suo tentativo di scansare il colpo fu fatale, perché espose il petto al proiettile. Se fosse stato fermo»
L' unico a poter dire una parola definitiva, forse, è Ghedin, in quanto presente. «Pietro lo vedo spesso, ma non abbiamo mai affrontato cos' è accaduto quella sera. Io non ho chiesto e lui non me ne ha parlato. Peccato» E ora quel furetto biondo è nella memoria collettiva. «Quanto accaduto a Luciano ha influito sulla vita della città. Oggi chiunque sa chi è stato Cecco: un uomo sano, pulito, di grandi valori. L' unico di quella Lazio che dopo gli allenamenti faceva qualche giro di campo in più per assaporare l' odore dell' erba, sentire il tono dei muscoli, il respiro dei propri polmoni».
Sente ancora la moglie Cesarina, che tornò subito, vedova giovanissima, a Nerviano, vicino Milano? «L' ho vista al matrimonio di Stefano, meno di due anni fa. La nostra famiglia, soprattutto mamma, le è stata vicina. Ma da certe tragedie la vera forza va trovata in noi stessi. Lei è stata un leone. Con Stefano c' è forte empatia. Ci sentiamo e vediamo, sempre col sorriso sulle labbra. I nostri occhi si illuminano come di rado ci accade, consapevoli di aver vissuto parallelamente la storia di due grandi uomini, che si sono conosciuti, si sono piaciuti e hanno condiviso grandi gioie, sino alla fine assieme. I nostri papà».