Libero, 28 ottobre 2019
Biografia di Luigi Marattin
L’onorevole Luigi Marattin non dovrebbe apparire alla tivù in fascia protetta: è spaventoso. Un mostro di bullismo e destrezza che lo rendono la prima scelta di autori e conduttori alla ricerca dello splatter per un copione destinato alla buona audience. Nella baby gang di Italia Viva è lui il più ricercato assaltatore mediatico, dopo il maestro e leader politico Matteo Renzi di cui è il tirapugni prediletto dacché fu ingaggiato come consigliere economico a Palazzo Chigi nel 2014. Tuittatore seriale, se non proprio social-dipendente, manganellatore di veri o presunti colleghi economisti al servizio delle idee sbagliate, Marattin è il ritratto della competenza contundente di una sinistra alla quale piace fare la destra riuscita. È senza dubbio un esperto di cose economiche (ramo amministrazioni pubbliche), il Marattin, nato napoletano e poi adottato da alcune raccomandabili università più a nord: da Ferrara (dove ha fatto anche il consigliere comunale) a Bologna, da Siena alle anglosassoni Warwick e New York. Ascoltandolo, però, tutti si convincono subito che abbia un trono alla Bocconi di Milano come Mario Monti. Non è vero ma ci starebbe benissimo. IL PRODIGIO Oggi è appena quarantenne, e già quindici anni fa si era fatto notare dalla politica come un enfant prodige del rigorismo: un po’ tecnocrate un po’ guardiano della soglia nel castello stregato dell’ordoliberismo imperante. La parola che preferisce pronunciare è “cialtrone”, e in effetti è questo l’epiteto con il quale si rivolge spesso agli avversari del giorno per giorno. È toccato anche e noi di “Povera Patria” su Raidue, la volta che azzardammo (azzardai) la compilazione di un editoriale televisivo troppo garibaldino sulla sovranità monetaria e incautamente ci mettemmo di mezzo il “signoraggio”, parola tabuizzata dai salotti democratici. Nel diluvio d’insulti ricevuti, invero non tutti strumentali, giunse atteso anche il suo ma non fu una palata di fango gratuita. Al contrario: ne nacque una breve ma significativa corrispondenza tra il professore (lui) e il guastatore che avrebbe rivelato un suo lato caratteristico: Marattin forse non lo sa ma ha l’anima di un rugbista: ti si avventa addosso perché gli piace la lotta furibonda, però è sportivo nel darle come nel riceverle e se lo inviti a mettersi nella tua posizione non si tira indietro. Ma sopra tutto, finita la zuffa, arriva la stretta di mano. Sarà per questo che, nell’ultimo anno della sua onorata carriera di picchiatore prima in quota Pd anti sovranista e adesso pure in versione anti demostellata, Marattin è riuscito a stringere rapporti di cordialità o perfino stima con gli avversari più distanti da lui; per esempio i radicali euroscettici leghisti Alberto Bagnai e Claudio Borghi, ma – si dice – anche con il più tempestoso Antonio Maria Rinaldi. NELLA BAGARRE E siccome è nella bagarre che dà il meglio di sé, può capitare invece che Marattin debba travolgere con poche e micidiali parole i meno stentorei ex amici rimasti alla corte di Nicola Zingaretti. Si capisce che lo fa malvolentieri. Ultimamente, con l’aria neghittosa di uno che si diverte poco, ha dovuto bastonare l’istinto collettivista e tassatore personificato dai dirigenti del Pd; lo ha fatto in qualità di “campione del controcanto” che si batte perché “non voglio che aumentino le tasse”. Ne è nato un permale con l’umbratile e inespressivo Dario Franceschini che a Marattin, quanto a bagarre, non riesce a dare sufficiente soddisfazione: «Non sono il tipo che porge l’altra guancia, se mi attaccano io replico», ha commentato con delusione dopo uno scambio di tuìt affilati con il ministro della Cultura. Ci è capitato invece di vederlo raggiante, quasi illuminato da un rivolo di sangue al lato della bocca, la volta che si è ritrovato su un palco estivo in Liguria a fronteggiare da solo quattro presidenti di regione targati centrodestra in un dibattito su autonomie e infrastrutture; sembrava Marlon Brando in Apocalypse Now: «Mi piace l’odore del napalm al mattino…». SECCHIONE IRONICO Ma non è mai uno spettacolo per cuori delicati, quando appare Luigi Marattin, e la cosa non vale soltanto per la televisione: alla Camera dei deputati sono censiti almeno due tafferugli che l’hanno visto protagonista: un anno fa, durante la discussione sulla legge di bilancio gialloverde, per poco non si è preso a cazzotti con il sottosegretario leghista Nicola Molteni; pochi mesi dopo è toccato al grillino Andrea Zolezzi, impegnato a insultare i dem mentre i suoi colleghi facevano il gesto delle manette, ricevere uno schiaffetto pedagogico dal professor Marattin. Fu un episodio poco rugbistico e sin troppo calcistico (genere svenimenti simulati e altre bellurie): le vittime inconsolabili aizzarono la campagna social #marattinchiediscusa, lui la considerò una medaglia e tirò dritto in silenzio. Dritto, sì, ma verso dove: palco o realtà? Per sciogliere il rinunciabile enigma, mesi fa i colleghi di Infosannio si sono affidati al critico televisivo Giorgio Simonelli, secondo il quale Marattin rischia sempre «l’effetto “lei non sa chi sono io”…»; vittima di «un modello comunicativo alla Roberto Burioni», per capirci. Ma è un rischio sopravvalutato: a differenza di Burioni, Marattin è un secchione anche ironico. E alla fine di questo articolo ci ringrazierà col manganello di velluto.