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 2019  ottobre 28 Lunedì calendario

Intervista al fisico Sergio Ferrara

Il Breakthrough Prize, premio di tre milioni di dollari destinato a fisici, matematici e scienziati, ancora non gode della notorietà del Nobel, almeno in Europa.  Basta, però, pensare alla macchina da guerra che si muove nelle sue retrovie, per prevedere che la competizione tra i due riconoscimenti si farà sempre più serrata. Il Breakthrough è stato lanciato nel 2012 da un consesso di miliardari dai nomi non proprio oscuri: Yuri Milner, Sergey Brin (Google), Mark Zuckerberg (Facebook) e Jack Ma (Alibaba).
Anche il contesto è del tutto adeguato: per la consegna di questa specie di Oscar della scienza va in scena una cerimonia stile Hollywood, trasmessa in diretta su National Geographic e YouTube. La location, del resto, è californiana, sia pure a nord rispetto a Los Angeles: siamo nella Silicon Valley, per l’esattezza a Mountain View, la cittadina dove – fra le altre aziende high tech – hanno sede Google, Mozilla e poco distante YouTube. 
Il 3 novembre, a ritirare lo Special Breakthrough Prize ci sarà il fisico italiano Sergio Ferrara che condivide il premio di tre milioni con Daniel Freedman (Mit e Stanford university) e Peter Van Nieuwenhuizen (Stony brook university). Il triumvirato viene premiato per la Supergravità, la teoria che realizza il sogno di Einstein. I tre furono i primi a decidere di abbattere le barriere che separavano la teoria della relatività dalla fisica delle particelle. L’intuizione risale al 1976, Ferrara, classe 1945, di Roma, già lavorava al Cern di Ginevra.Con i suoi due colleghi è arrivato alla teoria della Supergravità quando aveva trentun anni. Giovanissimo.
«A essere precisi, non li avevo ancora compiuti. Eravamo tutti e tre piuttosto giovani».
Eravate consapevoli della portata della scoperta?
«Sapevamo che avevamo fatto qualcosa di nuovo, ma che poi questo si potesse protrarre nel tempo, no, questo sfuggiva. Del resto, succede sempre così nella fisica teorica: si formulano nuove teorie che possono durare per sempre ma anche per una sola settimana. A essere modesti si potrebbe anche ammettere che ci vuole un pizzico di fortuna. In genere le teorie vengono dall’intelligenza della persona, ma non si sa se avranno applicazioni successive».
Potrebbe essere che rimangano sulla carta.
«Prediamo la teoria delle stringhe: diventerà teoria fisica quando verrà comprovata da esperimenti, cosa che potrebbe avvenire nei prossimi anni. Basta vedere la vicenda del Nobel Peter Higgs. La proiezione teorica risale a cinquant’anni fa, ma la dimostrazione è arrivata solo nel 2012, al Cern».
Lavora al Cern da quarant’anni. Cosa le ha detto Fabiola Gianotti della vittoria del premio?
«Mi ha mandato un messaggio calorosissimo. Avevo saputo del Premio il 20 luglio però la notizia era sotto embargo fino al 6 agosto. Fabiola, come direttore generale del Cern, era stata comunque messa al corrente». 
Lei stessa era stata premiata nel 2013 in Foundamental Physics con altri sei fisici del Cern.
«Tra cui l’italiano Guido Tonelli, per questo ho già pronto un discorsetto che terrò alla premiazione. Hanno espressamente chiesto di non ringraziare la Fondazione e di sfruttare quei pochi minuti per concentrarci su qualcosa di peso. Allora poiché si trae ispirazione dagli Oscar del cinema, ricorderò che sono tre gli italiani ad avere vinto lo Special Bp così come furono tre gli attori ad avere vinto il best actor nel ruolo principale: Anna Magnani, Sophia Loren e Roberto Benigni. Mi sembra una bella analogia da ricordare».
Saranno presenti anche attori hollywoodiani. Al momento si tace sui nomi, ma se potesse esprimere un desiderio: chi vorrebbe che le consegnasse il premio?
«Mi piacerebbe ci fosse Brad Pitt. Bravissimo attore, ma ancor prima, una persona intelligente».
Yuri Milner, il fondatore, sarà sicuramente presente. Anche Sergey Brin, Mark Zuckerberg e Jack Ma?
«Sì, anche perché suppongo vorranno pur vedere come sono spesi i ventuno milioni di dollari dei sette premi».
A proposito, sbaglio o non è presente su Facebook?
«Corretto, non ho Facebook e nessun altro social. Vanno troppo sul privato, uno poi diventa personaggio pubblico. E lo sei nel bene e nel male. Si aggiunga che non ho tempo per dedicarmi a questa attività: perché se la fai bene è una vera e propria attività».
L’aspetta una cerimonia hollywoodiana. Com’è messo con la mondanità?
«Non sono mondano. E credo che il 90% delle persone che vincono quel tipo di premio sia lontana dalla mondanità. In genere noi fisici, scienziati, professori abbiamo vite riservate. Però mi piace l’idea che per una volta siamo proiettati in un mondo diverso da quello cui siamo abituati».
Chiedo a lei che è scienziato. Come legge il fenomeno Greta? 
«La fanciulla dice quel che scienziati predicano da anni: però lei ha seguito, i secondi rimangono inascoltati». 
Dove sta il problema?
«Premessa. I Paesi più inquinati del pianeta sono Usa e Cina. E sono Usa e Cina ad avere i migliori scienziati sulla Terra, sono i due mondi più avanzati scientificamente. C’è un contrasto dunque. Mi pare evidente che i profitti economici siano tali che volutamente si intende tenere da parte gli scienziati, si teme che possano distruggere il mondo economico».
Cina vs Usa. Huawei vs Apple. Lei cosa ha?
«Apple».
Breaktrhough Prize vs Nobel. Il primo stacca assegni da tre milioni per singolo premio, e il secondo sta sotto il milione. Altre differenze?
«Inutile negare che il BP sia nato in competizione con il Nobel. Che però è ormai obsoleto. È tale per due motivi. Uno perché non ha istituito il premio per la matematica, disciplina che è fondamentale per l’ingegneria, la fisica, e oggi per il mondo digitale. È un pilastro. Il Nobel ha poi una limitazione. Ammette al massimo tre vincitori, quindi esclude la maggior parte delle collaborazioni sperimentali. Il BP invece va nella direzione opposta. Per questo il Nobel ha premiato i due teorici del Bosone di Higgs ma non la squadra del Cern che ha fatto l’esperimento: non è strutturato per farlo. Ultima cosa. Per evitare conflitti di interessi, il BP fa in modo che la giuria sia composta da ex vincitori. Ed essendo ex vincitori è facile immaginare l’altissimo livello della commissione».
Come ha comunicato la notizia della vittoria a sua moglie?
«Proprio come fa il Nobel, anche il BP comunica la notizia telefonicamente. E sono gli stessi giurati a telefonare il giorno stesso della nomina. Quel giorno, però, non ero a casa, ma al ristorante. Rientrato, ho trovato un messaggio sulla segreteria del telefono. Ho visto i nomi delle persone che avevano chiamato e mi sono detto: sta a vedere che ho vinto il BP. Ma no, impossibile. Ho richiamato, e mi hanno dato la bella notizia. Mia moglie stava in un’altra stanza. Vado da lei e le dico: sai che ho vinto il BP?. “Maccé, sei impazzito?”, è stata la sua prima reazione. Così, sono andato dritto al frigorifero dove c’è sempre una bottiglia di prosecco, e l’abbiamo stappata».
Teme di emozionarsi alla consegna del premio?
«Io non mi emoziono facilmente. Sono abituato a tenere conferenze davanti a centinaia di persone. A un convegno all’Argentina di Roma, erano in mille. Certo, qui è un discorso diverso, ma ripeto, non sono uno che cede alle emozioni». 
Risiede a Ginevra?
«Sì, da ormai quarant’anni. Anche le mie figlie sono naturalizzate svizzere».
Scienziate?
«No. La prima, Flaminia, è chef di cabina di Air France, la seconda, Federica, è manager all’aeroporto internazionale di Ginevra. Mi hanno dato tre bellissimi nipoti, Flavio, Adriano e Valeria».
Lei ha respirato aria di fisica in famiglia?
«Assolutamente no. Mamma era segretaria in una industria e papà era un ingegnere della Pirelli. Papà non voleva che facessi fisica: “Si guadagna poco, e non c’è mercato”, mi diceva. Avrebbe voluto vedermi chimico e di fatto io mi ero iscritto a chimica ma dopo un anno, appurando che ad attrarmi era i soggetti legati alla fisica, cambiai facoltà. Già nel 1970 ero nei Laboratori nazionali di Frascati, e ancora adesso sono associato senior. Alla fine il mercato c’era».
Gianotti dice che la fisica fa bene alla salute. Al Cern vi sono ottantenni che vengono in ufficio bicicletta. Una disciplina-elisir di lunga e sana vita.
«A parte la competizione che si innesca fra i vari gruppi, occuparsi di fisica è cosa rilassante. Non è il classico lavoro imposto. Uno lo fa spontaneamente e se fai cose che ti piacciono, le fai volentieri. Del resto, l’opzione “questo lavoro non mi piace” non esiste al Cern. Poi, certo, studi e studi, ma per diventare fisico e affermarti, devi avere qualità che è difficile prevedere quando sei al liceo o all’università».
Quali sono le qualità imprescindibili?
«Cito l’essenziale: l’intuito del fisico. A parte le cose nozionistiche che impari a scuola, c’è poco da fare: ci vuole proprio quello».
L’Italia è una stella di prima grandezza nel mondo della fisica.
«Basti pensare che il 70% dei miei collaboratori sono italiani. Stare al Cern è come stare in Italia. Trovi fisici e matematici italiani nei centri più referenziati del mondo».
Arriviamo alla conclusione che la tanto bistrattata scuola italiana ha pecche ma pure punti forza.
«Ormai conosco poco la realtà scolastica italiana. A 35 anni vinsi una cattedra, mi chiamarono a Roma ma già ero proiettato verso il Cern; ero molto giovane, preferivo fare ricerca fondamentale piuttosto che insegnare. Poi ho fatto tanti seminari e corsi brevi, in particolare al Galileo Galilei di Firenze. Ho mantenuto legami con le università di Milano, Roma e Torino. Però non conosco la scuola italiana nei dettagli per poter rispondere». 
Insegna ancora in Calfornia, all’Ucla?
«Ho chiuso nel 2018. Andavo un paio di mesi l’anno. L’età avanza».
Se dovesse spiegare la teoria della Supergravità a noi che fisici non siamo? Per dire: che ripercussioni ha sulla vita di tutti i giorni?
«C’è la fisica di tutti i giorni, poi c’è quella che cerca di spiegare l’evoluzione dell’universo dal Big bang ad oggi, infine la fisica del mondo subnucleare cioè degli acceleratori di particelle. Per intenderci, la risonanza magnetica è una particolare applicazione di quest’ultima. La fisica dell’infinitamente grande è una fisica che si basa sulla relatività di Einstein ed è quindi fondamentale per spiegare come noi siamo dentro l’universo. L’altra fisica studia i fasci di particelle, neutroni e protoni. Se vuoi vedere dentro il nostro corpo devi usare acceleratori di particelle. Questi due mondi sono difficili da rendere compatibili, perché l’uno usa le equazioni matematiche della meccanica quantistica. Mentre per la fisica dell’infinitamente grande gli effetti quantistici sono molto piccoli. Dunque se vogliamo capire l’inizio universo, il Big bang, dobbiamo usare la quantistica mettendo assieme l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Al momento, la supergravità è uno dei pochi esempi per cui si unisce il mondo dell’infinitamente piccolo, quindi delle particelle, con il mondo dell’infinitamente grande».
Ma dove scattò la scintilla che portò lei, Daniel Freedman e l’olandese Peter van Nieuwenhuizen alla formulazione?
«Già lavoravo al Cern però in quell’anno ero Parigi. Anche Freedman era a Parigi per alcuni mesi. Lì cominciammo a parlare di questo lavoro poi concretizzato con van Nieuwenhuizen».