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 2019  ottobre 28 Lunedì calendario

Per Gilles Kepel lo Stato islamico è finito

«Al Baghdadi era un’icona, un ologramma, un personaggio più virtuale che reale ma la sua fine sancisce la morte dello Stato islamico. Adesso si può finalmente pensare alla ricostruzione di quella parte del Vicino Oriente», sostiene l’islamologo Gilles Kepel, direttore della cattedra Moyen-Orient Méditerranée all’École Normale Supérieure di Parigi, in Italia per presentare il suo ultimo saggio Uscire dal caos (Raffaello Cortina). «Come Osama Bin Laden, anche lui è stato individuato grazie ai servizi segreti locali, turchi stavolta, che hanno scelto il momento più opportuno per offrirlo agli americani».
Lo scorso marzo, a Baghuz l’Isis ha perso la sua ultima roccaforte.
Quanto era ancora importante Al Baghdadi per l’organizzazione?
«Con la sua autorità incarnava una promessa di salvazione. Chi s’era rifugiato a Baghuz non aveva nessuna speranza di vincere militarmente, ma grazie ad Al Baghdadi credeva che prima o poi Allah l’avrebbe salvato. Lo stesso vale per le migliaia di suoi uomini sconfitti che hanno trovato rifugio nei villaggi sunniti in Siria e in Iraq, così come per i molti jihadisti che affollano le prigioni francesi. La morte dell’autoproclamato califfo è anche la fine dell’organizzazione carismatica che capeggiava. Si apre adesso l’era del dopo-Isis e, per noi, la grande sfida consiste nel capire come si prefigura il futuro della jihad».
Era ricercato da più di cinque anni. Perché l’esercito più potente del mondo ha impiegato tanto tempo per trovarlo?
«Al Baghdadi era nella regione di Idlib, l’unica ancora nelle mani della rivolta siriana, il che significa che i servizi segreti turchi non potevano non conoscere il suo nascondiglio.
Tutto fa pensare che la sua morte sia stata orchestrata ad hoc . Dopo lo scandalo suscitato per aver sguinzagliato soldataglie jihadiste contro i curdi, Ankara s’è voluta rifare una verginità geopolitica offrendo la testa di Al Baghdadi a Trump. Il quale può oggi vantarsi di una grande vittoria antiterrorista cercando di far dimenticare che militarmente gli Stati Uniti si sono quasi del tutto ritirati dalla regione, lasciando soltanto pochi soldati vicino ai pozzi petroliferi nel nord-est della Siria».
Ci saranno attentati per vendicarlo?
«Il rischio esiste, tanto più che oggi per compiere un attentato non è più necessario un ordine proveniente dall’alto. In Europa non ci sono più attacchi coordinati dagli uomini dello Stato islamico, bensì da parte di individui che vivono in quartieri salafiti, che ascoltano nella loro moschea prediche contro i valori occidentali, che trascorrono molto tempo su internet. Per le forze di sicurezza questi lupi solitari possono diventare un nemico ben più difficile da combattere che un’organizzazione più strutturata.
Dopo la scomparsa di Al Baghdadi il terrorismo sopravviverà in rete e nella miriadi di enclave salafite del pianeta».
Il fatto che si nascondesse a Idlib può diventare un’ulteriore giustificazione della pesante offensiva militare del regime di Damasco contro quella regione?
«Le truppe del presidente Bashar al Assad potranno riconquistare Idlib solo con l’assenso di Putin. Per via delle esitazioni americane e della totale assenza dell’Europa, solo la Russia è in grado di decidere del destino della Siria».
Può la morte di Al Baghdadi generare un segnale di rinascita?
«Per uscire dal caos, c’è un solo modo: ricostruire. E la fine dello Stato islamico è un elemento essenziale per la ricostruzione. Ma bisognerà ovviare a un altro problema e cioè la latitanza dell’Europa. Gli Stati Uniti se ne vanno e per riedificare Aleppo, Mosul, Raqqa e le centinaia di altre città e villaggi distrutti sarà necessario che russi ed europei si mettano d’accordo. Con un Pil pari a quello della Spagna, Mosca non ha i mezzi per investire nella regione».